L’avvio sofferto e travagliato dei Tfa risente dell’assenza di un quadro certo di riferimento per quanto riguarda il sistema di reclutamento del personale docente. In effetti la delega che già nel 2007 consegnava al ministro il compito di riformare, insieme, la formazione iniziale e il reclutamento degli insegnanti è stata esercitata solo in parte: definiti i percorsi di studio, che prevedono appunto una laurea integrata da un tirocinio formativo attivo con valore abilitante, rimane tuttora irrisolto il nodo del reclutamento, reso particolarmente intricato dal fatto che alle difficoltà di individuare modelli condivisi di rinnovate procedure concorsuali si aggiunge la pressione della vastissima platea di quanti aspirano ad un lavoro nella scuola, con aspettative più o meno solidamente fondate e – inevitabilmente – in reciproca concorrenza. Sullo sfondo, a rendere ancor più complesse le questioni, uno squilibrio drammatico tra domanda e offerta di lavoro.
In questo clima, che non può certo definirsi disteso, prende avvio il Tfa, o meglio la fase transitoria, di passaggio ad un nuovo modello nel quale il Tfa segnerà il completamento di percorsi di laurea finalizzati alla docenza, a loro volta al primo avvio. I corsi dell’anno accademico 2012/13 sono infatti rivolti, e non poteva essere diversamente, ai laureati con l’attuale sistema di formazione, sostanzialmente utilizzando gli stessi criteri che venivano seguiti per disciplinare l’accesso alle vecchie Ssis. Con notevole ritardo rispetto alle ambizioni iniziali, che traguardavano la conclusione del primo Tfa entro l’anno accademico 2011/12, si sono finalmente aperte le iscrizioni alle procedure preselettive, iscrizioni che si chiuderanno fra pochi giorni, il 4 giugno.
Restano invece da definire – e qui entriamo nel pieno di alcune fra le questioni più controverse – le modalità di attivazione delle procedure abilitanti riservate in modo specifico ai docenti che, pur non abilitati, hanno accumulato una consistente esperienza di lavoro, essendo stati assunti, per anni, una volta esaurite le graduatorie degli aspiranti supplenti abilitati, per consentire il funzionamento delle scuole. Il problema è stato assai dibattuto nel corso dell’iter di emanazione del regolamento sulla formazione iniziale (DM 249/2010): le richieste di ammettere direttamente al Tfa, senza il vaglio dei test preselettivi, i supplenti con almeno 360 giorni di servizio, con motivazioni condivise anche da fonti autorevolissime come il Consiglio di Stato e la Corte dei Conti, non avevano incontrato alcuna disponibilità da parte del Governo e conseguentemente non trovano riscontro nella formulazione del Regolamento.
Di diverso orientamento si mostra oggi il Miur, anche se la consistenza del requisito di esperienza professionale richiesta è stata elevata all’equivalente di tre anni scolastici (e non più due, che è quanto valgono i 360 giorni, da tempo consolidata consuetudine nella normativa in materia di accesso a procedure abilitanti riservate).
Tuttavia, come precisato in una nota comparsa recentemente sul sito del ministero, attivare procedure abilitanti diverse da quelle ordinarie presuppone una modifica del Regolamento, da farsi ripercorrendo lo stesso iter di emanazione e acquisendo i pareri espressi dalle Commissioni parlamentari, dal Cnpi, dagli organi di controllo (Consiglio di Stato e Corte dei Conti): è dunque impossibile realizzare, come sarebbe stato auspicabile, il contemporaneo avvio dei corsi ordinari e di quelli destinati ai precari di lunga attività. Pertanto, a giugno partiranno le procedure finalizzate ad ammettere ai corsi 20.067 aspiranti, cioè coloro che supereranno positivamente la batteria dei 60 test della prova preselettiva e, successivamente, l’ulteriore selezione attraverso una prova scritta e una orale. Non potrà avvenire prima del prossimo autunno, invece, per quanto rapidamente avvenga la raccolta dei prescritti pareri, il varo delle modifiche regolamentari e conseguentemente delle altre procedure abilitanti; difficile dire con precisione quanti siano i potenziali interessati, pur sapendo che sono oltre 100mila i contratti di supplenza stipulati anche nell’anno scolastico in corso.
Alle preselezioni ordinarie, nel frattempo, potranno partecipare tutti coloro che sono in possesso del titolo di studio di accesso all’insegnamento. Per tutti sarà previsto il medesimo percorso formativo, senza alcuna distinzione tra giovani neolaureati, precari con periodi di lavoro più o meno lunghi, docenti già di ruolo in cerca di un’altra abilitazione da spendere nella mobilità professionale: tutti trattati allo stesso modo, come neofiti intenti a formarsi per essere avviati alla professione di insegnante, anche coloro che di fatto la stanno da tempo già svolgendo. E’ assai probabile che il “ripensamento” operato dal Miur e la conseguente decisione di mettere in campo percorsi diversi per abilitare chi già lavora derivino proprio dalla considerazione di quanto differiscano tra loro le condizioni riscontrabili nell’ampia e variegata platea degli abilitandi. Ma pesa anche quella che la stessa Amministrazione definisce un’emergenza, cioè la necessità di prevenire il contenzioso che può nascere rispetto alla mancata attuazione di norme comunitarie in materia di stabilizzazione del lavoro e di valore professionalizzante dell’attività lavorativa, contenzioso in cui facilmente si può incorrere quando si mantengono rapporti di lavoro precario oltre il limite dei tre anni.
La sfasatura dei tempi tra procedure ordinarie e quelle speciali sta oggi generando, ed è comprensibile, insofferenza e disagio per quanti si vedono costretti ad iscriversi alle preselezioni, con il conseguente onere economico che i tanti possibili aspiranti al percorso speciale avrebbero altrimenti evitato.
Non sono peraltro ancora del tutto chiariti molti aspetti, a partire da quello – fondamentale – dei criteri in base ai quali individuare i requisiti di servizio utili ad accedere ai corsi (solo nella classe di concorso per cui ci si abilita o cumulando anche servizi diversi?), o dell’incognita che tuttora grava sull’attuazione dei percorsi per i docenti della scuola primaria e dell’infanzia, con la controversa questione del valore da riconoscere ai diplomi (a nostro avviso di per sé abilitanti) rilasciati dai soppressi istituti e scuole magistrali fino all’ a.s. 2001/02. Questioni delicate e complesse, su cui prosegue la discussione al tavolo di confronto tra MIUR e sindacati.
Come si diceva all’inizio, è tuttavia quanto mai indispensabile che chi ha la responsabilità delle politiche scolastiche si assuma quanto prima anche quella di proporre un chiaro progetto di sistema di reclutamento, creando così le condizioni per un confronto approfondito e per il più possibile affrancato dalla necessità di inseguire infinite e ricorrenti emergenze.