Giovanni e Andrea furono i primi discepoli di Gesù. Secondo il Vangelo di Giovanni, un pomeriggio, mentre stavano con Giovanni Battista, videro passare Gesù e il Battista lo indicò loro con le parole che la liturgia abitualmente ci fa ripetere: «Ecco l’Agnello di Dio». I due futuri apostoli seguono Gesù per un tratto di strada; Gesù si rivolge a loro chiedendo che cosa vogliono, e alla loro risposta segue l’invito a venire con lui. La decisione di seguirlo è immediata. Poi gli avvenimenti sembrano assumere un ritmo incalzante: «Essi dunque andarono, videro dove abitava e stettero con lui quel giorno».
Nessun accenno a quello che si dissero e a come trascorsero l’arco di quel pomeriggio. Ma l’impressione suscitata dal Maestro fu tale, che essi decisero non solo di rimanere con lui, ma di condividere questa notizia anche coi loro amici e parenti. E fu talmente grande l’impatto di questo incontro, che l’evangelista ritenne opportuno registrare (cosa abbastanza inconsueta, se non nel caso di avvenimenti di grande importanza) anche il momento preciso della giornata in cui esso avvenne: «Era circa l’ora decima» (cioè le quattro del pomeriggio).
Di questi due personaggi è venuto alla luce recentemente il ritratto più antico che ci sia giunto. Si tratta di una rappresentazione recuperata, grazie a un lungo lavoro eseguito con tecniche d’avanguardia, nelle Catacombe di Santa Tecla, un sito non aperto al pubblico che si trova sotto un palazzo di Roma. Le stesse catacombe già ci avevano restituito immagini antichissime di S. Pietro e S. Paolo. Il prezioso reperto risale alla metà del IV secolo. L’importanza di questa scoperta è stata già ampiamente sottolineata dalla stampa: vorrei aggiungere qui l’impressione di chi, pur non essendo specialista di archeologia o di arte cristiana, percepisce il rilievo di questo avvenimento anche dal punto di vista della fede. Vorrei brevemente notare tre punti.
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1. Le immagini delle catacombe hanno una notevole importanza documentaria: ci fanno sapere gli orientamenti, gli interessi, le letture, insomma lo sfondo culturale della primitiva comunità cristiana. Una delle immagini presenti nella catacomba raffigura una matrona adornata di gioielli che reca in mano un libro. Siamo nel momento in cui il cristianesimo si diffonde, pur tra contrasti e resistenze, nell’ambiente della nobiltà romana, grazie all’azione di Papa Damaso e di San Gerolamo: essi predicano il messaggio cristiano alle donne colte e dotate di mezzi delle élites romane, con l’opposizione spesso dura dei mariti e dei padri, che ritengono eccessive le esortazioni di Gerolamo a una severa vita di ascesi (tanto che ad un certo punto Gerolamo preferì allontanarsi da Roma e recarsi in Palestina). Di tutto questo avevamo una consistente documentazione attraverso le lettere di Gerolamo. La raffigurazione pittorica conferma quanto sapevamo dalla documentazione letteraria e ci fornisce quasi una fotografia di quell’epoca e di quel contesto.
2. La coerenza, rilevata dagli specialisti, tra l’immagine di Andrea e Giovanni recuperata nella Catacomba e quelle dei secoli successivi mostra l’esistenza di una tradizione iconografica che risale sicuramente più in là del IV secolo e alla quale i pittori della Catacomba dovevano ispirarsi. In una parola, i primi discepoli e i cristiani dei primi secoli sentirono il bisogno di conservare una memoria di avvenimenti e personaggi fondamentali della Chiesa primitiva attraverso una tradizione di documenti (testi e immagini) che veniva consegnata alle generazioni future.
3. Il ritrovamento di queste immagini degli apostoli aggiunge un ulteriore tassello a un quadro di conoscenze già molto ampio circa la vita delle prime comunità cristiane. Ogni nuova scoperta non fa che aggiungere conferme a quanto già si sapeva o si ipotizzava. Tanti dubbi e tanti scetticismi sono stati spazzati via negli ultimi decenni. Per esempio, fino a una cinquantina di anni fa alcuni mettevano in dubbio l’esistenza storica di Ponzio Pilato e asserivano che i soli passi di storici antichi in cui si menzionava la sua figura (degli scrittori giudaico-ellenistici Filone Alessandrino e Flavio Giuseppe e dello storico romano Tacito) erano aggiunte posteriori fatte da cristiani. Poi nel 1961 venne alla luce a Cesarea (in Palestina) un’iscrizione latina dell’età di Tiberio (l’imperatore durante il cui regno ebbero luogo il processo e la crocifissione di Gesù) in cui compariva il nome del personaggio.
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Facendo un ulteriore passaggio, le ultime scoperte confermano che la vita e la cultura della Chiesa primitiva nasce e ruota attorno ai Vangeli canonici, dei quali viene ribadito il ruolo di fonte primaria: ciò mostra il carattere spregiudicato e sostanzialmente ascientifico delle ricerche di quanti hanno ritenuto, anche recentemente, di trovare dati utili per la biografia di Gesù e per la conoscenza della Chiesa primitiva nei testi non canonici, nati (spesso in ambienti gnostici) non con lo scopo di fare conoscere la figura e le parola di Gesù, ma con intenti ostili o faziosi, spesso per dimostrare determinate tesi aprioristiche, e comunque estranei a qualsiasi interesse storico.
Questo naturalmente non risolve i problemi della fede, perché nessuna lettura dei Vangeli può fare a meno della fede: ma la fede è chiamata a pronunziarsi sulla base di documenti saldamente ancorati alla storia che hanno tutti i crismi del racconto fedele e imparziale, in una parola della fonte storica affidabile. Aggiungiamo ancora, di una fonte storica che gode di numerosi privilegi, perché di nessun testo scritto dell’antichità abbiamo una documentazione neppure lontanamente paragonabile (qualitativamente e quantitativamente) a quella del Nuovo Testamento: manoscritti copiati accuratamente e pervenuti in quantità notevolissime, trascritti magari a pochi decenni o addirittura a pochi anni di distanza dagli originali, mentre per gli altri scritti dell’antichità greco-romana è normale che la distanza che passa tra la redazione del testo e le prime copie pervenute sia superiore al millennio ed è frequente che la documentazione testuale sia limitata e sfigurata da guasti.