Che i 10 comandamenti non godano al giorno d’oggi di grande osservanza è risaputo; ma il decimo, “non desiderare la roba d’altri” è forse il più impopolare e disatteso, a livello planetario. Che si tratti di greci o di immigrati (che non possiamo più nemmeno chiamare clandestini, visto che andiamo a prenderli a poche miglia dalle coste da cui sono partiti) il significato è uno solo: vogliamo anche noi le stesse condizioni di vita che avete voi, e in nome dell’uguaglianza, dei diritti universali, della solidarietà, dell’inclusione, o di qualsiasi altro principio massimo, voi ce li dovete garantire. L’accostamento della vicenda greca a quella degli immigrati, non è casuale né forzato, io credo, perché figlie entrambe di una stessa logica. Un’operatrice addetta all’accoglienza dei profughi in un porto siciliano intervistata dalla televisione non poteva essere più chiara: “La prima cosa che spieghiamo a chi sbarca sono i loro diritti”. L’esito del referendum greco ne dà solo un’altra conferma: no, al piano di aiuti, e connesse condizioni, proposto dall’Europa; e allora sì a cosa? E’ presto detto: cacciate i soldi che ci servono, per continuare a vivere come voi, alle condizioni che diciamo noi.
Il paradosso è che populisti di destra ed estremisti di sinistra vedono in questo, prima ancora che una vittoria (non si sa su che cosa), una grande prova di democrazia: democrazia per democrazia, si provassero allora a proporre un referendum in tutto il resto d’Europa, chiedendo: “volete che continuiamo — per la terza volta — a dare soldi alla Grecia, scontando anche, come chiede il suo ministro dell’economia, un terzo del debito che già ha, e che non riesce a ripagare?”. Se il risultato fosse, come sarebbe probabile, una sonora pernacchia, l’accusa di egoismo nazionale è già pronta da un pezzo. Un’accusa alla quale Varoufakis ha aggiunto, bontà sua, quelle di ricatto e di terrorismo; ma se non altro era stato chiaro: “l’euro non deve servire al rigore, ma alla condivisione del benessere”, ovviamente, ma questo non lo ha detto, coi soldi degli altri. Nient’altro che furbizia levantina, verrebbe da dire, ma sotto c’è molto, molto di più. Comunque, nonostante tutto, in qualche modo se ne uscirà, io credo, anche se a questo punto voglio proprio vedere come, perché sarà difficile uscirne senza che qualcuno perda la faccia.
Ma c’è un’altra cosa importante che va detta, più importante delle cifre, delle strategie politiche, della stessa questione europea, arrivo a dire, e degli errori e dei malintesi che ne stanno alla base, e che ex-post siamo tutti bravi a denunciare. E’ più che naturale, anzi, è un bene che ciascuno, popolo o individuo che sia, aspiri a migliorare la propria condizione, perché se così non fosse, addio progresso, saremmo ancora ad aspettare l’invenzione della ruota. Questo appetito, nella storia, è spesso stato soddisfatto con la guerra, il banditismo, la rapina, il furto, vale a dire, con l’espropriazione a mano armata della ricchezza altrui.
Solo raramente, forse, con comportamenti imitativi virtuosi, vale a dire, impegnandosi in prima persona per raggiungere gli stessi risultati a cui si ambisce. E certamente il “no” greco al piano europeo, non rientra in questa categoria: altro che prova di “orgoglio nazionale”, come lo si vuole spacciare! Non è un caso che insieme al “no” all’accordo vi sia l’80% di greci, secondo i sondaggi, favorevole all’Europa: e vorrei vedere che non lo fosse, perché a chi altri potrebbe rivolgersi per mantenere un livello di vita sproporzionato al suo livello di sviluppo economico? Bravo Obama, che chiede il salvataggio della Grecia; furbo Putin, che sta alla finestra, ma nessuno dei due ci mette i sodi che servirebbero, perché sotto sotto non si fida. Resta il fatto che oggi, per raggiungere quel risultato non si usano quasi più pistole e fucili, fortunatamente, ma un’arma più potente: il ricatto morale in nome di un’uguaglianza assurta a diritto naturale e universale, che finisce per cambiare la natura stessa del diritto, trasformandolo in pretesa di comportamenti altrui corrispondenti alle proprie aspettative.
Come è stata possibile questa sorta di mutazione genetica di un concetto nobilissimo di suo, fondativo direi dello sviluppo economico e civile dell’intero Occidente? Perché di questo si tratta, io credo. Per quanto ci riguarda, da oltre mezzo secolo di pace e di crescita, innanzitutto, che poco o tanto ci ha fatti tutti sentire “signori”, generosi, solidali, per cui, dimenticando in fretta da dove siamo partiti, ci commuoviamo di fronte alla fame nel mondo, al lavoro minorile, allo sfruttamento nelle fabbriche delocalizzate dai paesi occidentali a quelli in via di sviluppo o sottosviluppati, alla migrante incinta che arriva sul barcone, al cittadino greco che non ha più assistenza sanitaria, e via di questo passo, misurando il mondo con nostro metro.
Per quanto riguarda invece i “pretendenti diritto”, nulla mi toglie dalla testa che non si tratti affatto ( o solo) di “presa di coscienza”, ma piuttosto dell’esito pavliano della possibilità, data loro, di “guardare in casa nostra”, al nostro modo di vivere, come mai avvenuto in passato: con la radio prima, la televisione poi, e infine internet, che hanno reso possibile gettare lo sguardo oltre ogni confine e indotto milioni di persone a iniziare un viaggio di migliaia di chilometri per bussare alle nostre porte. Un viaggio che non è solo nello spazio, ma nel tempo, un viaggio che annulla secoli e secoli di gap di sviluppo.