Allo scoccare della mezzanotte del 24 settembre sarà disponibile nelle librerie italiane Harry Potter e la maledizione dell’erede, ovvero — come viene diffusamente definito — Harry Potter 8. In realtà si tratta del testo dello spettacolo teatrale che è stato rappresentato per la prima volta a Londra lo scorso 30 luglio.
Sarà comunque l’ultima storia dedicata a Harry Potter, ha assicurato la sua autrice, J.K. Rowlings.
E’ passato molto tempo da quando questa scrittrice inglese, fino ad allora sconosciuta, scrisse un testo per bambini — poi divenuto una saga in sette libri — ponendosi in continuità con la migliore tradizione della letteratura fantastica inglese, da Lewis Carroll a C.S. Lewis: una rappresentazione simbolica del mondo, con i suoi valori, le sue tragedie, i suoi conflitti. Una storia che senza usare discorsi moralistici porta il lettore a comprendere che compiere il bene è la cosa più giusta da fare, dove il successo ottenuto senza fatica, la ricchezza, la pretesa di una vita eterna su questa terra, non sono niente, sono solo illusioni e come ciò che veramente conta sono l’impegno, l’amicizia, l’amore.
Hogwarts, con le sue leggi e i suoi valori, incantò i lettori per anni, ponendosi come una piccola ma significativa risposta alle false certezze dell’uomo postmoderno, che cerca sicurezza nelle cose materiali, che usa gli altri come oggetti a propria disposizione, che ostenta superiorità cercando di affermare se stesso, perché in fin dei conti ha paura di tutto ciò che esula dal suo piccolo orticello. Crede di possedersi e invece è posseduto dalle stesse cose che possiede. È l’uomo che non sa più sperare, perché non ha più un cielo cui guardare. È l’uomo che non sa più di essere creatura di un Creatore, perché Lo ha rinnegato. È l’uomo che fa dell’indifferenza il suo metro di misura, cioè non si misura, non si pone domande sulla sua origine, sul suo futuro, vive l’oggi costruendosi bisogni nuovi, perché il consumismo lo ha ridotto ad essere considerato solo consumatore di beni. Tutto ciò era perfettamente rappresentato dal mago Voldemort, un personaggio che rappresenta la brama di potere, il mito moderno del super-uomo, al di sopra del bene e del male, che tuttavia ha un punto debole: una grande, ossessionante paura della morte, perché, dopo quest’ultima, vede solo il nulla.
Cos’è rimasto di questa narrazione affascinante nell’ultimo Harry Potter? Ben poco, purtroppo.
J.K. Rowling stessa ha imboccato una strada personale molto particolare: ha scelto di diventare un’icona del politicamente corretto, del conformismo ideologico alla cultura dominante. A saga conclusa, ha fatto fare coming out al personaggio di Albus Silente. Evidentemente si era resa conto che nella saga si era dimenticata questo tipo di persona, così come di altre “categorie”. Non per niente nello spettacolo teatrale Hermione era rappresentata da una giovane attrice di colore.
La Rowling negli ultimi anni è anche intervenuta pesantemente in alcuni momenti cruciali della storia di due Paesi: la Scozia, in occasione del referendum sull’indipendenza del 2014, dove sostenne in modo veemente la posizione unionista, arrivando anche a insultare gli indipendentisti scozzesi col titolo — potteriano — di Mangiamorte. La seconda occasione è stato il referendum irlandese dello scorso anno sul matrimonio tra persone dello stesso sesso. Anche in questo caso la scrittrice inglese si fece sentire appoggiando i fautori delle unioni omosessuali.
Infine, dopo aver tentato con scarso successo la via di altri generi letterari, è tornata al suo maghetto, nonostante avesse assicurato che con lui aveva chiuso.
Questo lavoro è una sorta di “next generation”, dove troviamo un Harry Potter impiegato al Ministero della Magia, padre di tre figli, in forte contrasto generazionale con uno di essi, che porta il nome di Albus. Non è l’unica figura di erede: c’è anche una surreale figlia di Voldemort e di Bellatrix Lestrange. E meno male che in passato la scrittrice aveva criticato Guerre Stellari per la soluzione “Luke, io sono tuo padre“!
Il difficile rapporto tra le diverse generazioni emerge anche dal positivo approfondimento del personaggio di Draco Malfoy, che emerge come un ex bambino competitivo solo perché spinto, come accade spesso nella realtà, da un genitore estremamente ambizioso. La Rowling sembra così attenuare la sua ostilità nei confronti dei Serpeverde, e prendere in considerazione l’idea che non c’è una genìa di indole malvagia, quanto piuttosto delle personalità, come quella di Draco, debole e influenzabile.
Come ha fatto notare la maggiore studiosa del mondo di Hogwarts, Marina Lenti, autrice de La Metafisica di Harry Potter, questo è l’aspetto più positivo di questo lavoro: la riflessione sul tema profezia-predestinazione-libero arbitrio.
Non sappiamo se questo libro segnerà davvero la fine della saga di Harry Potter. In realtà ci sarebbe molto di interessante su ciò che ha preceduto le vicende dei sette anni scolastici ad Hogwarts. E’ di un prequel, eventualmente, di cui si potrebbe sentire la necessità. Vedremo se la scrittrice più ricca e famosa di Inghilterra avrà la volontà e la creatività per farlo.