Quest’anno il premio Nobel per la chimica è stato attribuito agli statunitensi Erik Betzig, e William E. Moerner, e a Stefan W. Hell, rumeno ma che ha lavorato soprattutto in Germania. Betzig è nato nel 1960, si è laureato nel 1988 alla Cornell University di Ithaca e insegna nello Howard Hughes Medical Institute in Virginia (Usa); Moerner è nato nel 1953, si è laureato anch’egli alla Cornell University e insegna Fisica applicata nell’università di Stanford (Usa); Hell è nato nel 1962, si è laureato all’università di Heidelberg (Germania) e attualmente dirige l’Istituto Max Planck di Chimica.
La motivazione del premio recita: “per lo sviluppo della microscopia a fluorescenza ad altissima risoluzione”. Si tratta di due tecniche, una sviluppata da Hell l’altra da Betzig e Moerner, che hanno permesso di superare il limite teorico di ingrandimento della microscopia ottica.
La luce è un fenomeno ondulatorio e, in quanto tale, è caratterizzata dalla lunghezza d’onda: la luce visibile ha una lunghezza d’onda compresa tra i 750 nm (rosso) e i 450 nm (violetto), un nanometro (nm) è un miliardesimo di metro. È noto da molto tempo che il potere risolutivo teorico, e quindi il potere di ingrandimento, di un microscopio è limitato alla metà della lunghezza d’onda della luce utilizzata: due punti distanti tra loro meno di tale quantità non possono essere distinti. Per questo motivo è stata sviluppata la microscopia elettronica (che ha valso a Ernst Ruska il premio Nobel 1986) che utilizzando fasci di elettroni al posto della luce permetteva di ottenere lunghezze d’onda molto più piccole e quindi potere risolutivo molto maggiore.
Nelle applicazioni biologiche la microscopia elettronica ha il difetto che non può essere applicata in vivo e anzi la preparazione del campione spesso altera considerevolmente il materiale. Per questo motivo gli sforzi per superare i limiti della spettroscopia a luce visibile non sono mai cessati.
La fluorescenza è molto usata in biologia molecolare, perché permette di seguire una molecola nei vari processi biologici: alla molecola in esame si attacca un gruppo chimico che se investito da una luce di una data lunghezza d’onda la riemette con una lunghezza d’onda più grande, fenomeno che prende appunto il nome di fluorescenza. Il fenomeno può anche essere interrotto con una sorgente di lunghezza d’onda opportuna.
Sia il metodo sviluppato da Hell che quello sviluppato da Betzig e Moerner si fondano su questo fenomeno attivando e spegnendo la fluorescenza delle molecole delle proteine che compongono il campione in esame.
Il metodo di Hell consiste nello scansionare il campione con due fasci laser di lunghezza d’onda diversa: il primo eccita la fluorescenza, il secondo, con un fascio anulare, la spegne dappertutto tranne in un’area del diametro di qualche nanometro. Un detector raccoglie il segnale che permette di ricostruire l’immagine in modo analogo a come nei vecchi televisori a tubo l’immagine era composta da righe.
Betzig e Moerner invece utilizzano un metodo in cui vengono raccolte molte immagini che sovrapposte danno l’immagine finale ad alta risoluzione. In questo caso le molecole vengono marcate in modo da emettere colori diversi: se le molecole che emettono lo stesso colore sono più distanti del limite teorico di 200 nm l’immagine di quel colore può essere risolta da un normale microscopio ottico; provocando in successione la fluorescenza delle altre molecole e raccogliendo immagini separate per ogni colore è possibile, sovrapponendole, ottenere un’immagine finale a risoluzione molto maggiore. Ogni immagine non supera il limite ma un colore completa l’informazione che manca nell’immagine di altro colore.
Una piccola osservazione: man mano che i nostri strumenti di indagine diventano sempre più potenti il vedere non è più un rapporto diretto del nostro occhio con la realtà, sia pure attraverso l’oculare di un microscopio o di un telescopio, ma diventa l’analisi di immagini sintetiche prodotte da una procedura complessa. Possiamo ancora dire: l’ho visto?