Augusto Del Noce (1910-1989) è uno dei pochi italiani del secondo dopoguerra per il quale la qualifica di “cattolico” risulta essere essenziale. Un pensiero “cattolico” il quale – e questo è un “unicum” nel panorama culturale italiano – riesce a interrogare, in profondità, il pensiero laico, anche quello più distante dalla posizione religiosa.
Ciò è davvero singolare se si pensa che il giovane Del Noce non si è formato in un contesto cristiano (AC, Fuci) ma in un ambito laico, il Liceo D’Azeglio e l’Università di Torino, dove la coscienza morale antifascista era propria di maestri e giovani di estrazione laica, non cattolica. Da loro ha mutuato la sua opposizione personale al fascismo cercando di conciliarla con la sua fede cristiana. Il che avverrà con la lettura assidua di Jacques Maritain, durante la guerra, la cui opera lo libererà dal “complesso di Croce”, quello per cui un cattolico, in quanto cattolico, non poteva dirsi antifascista.
La provocazione di Maritain lo porterà anche a riscoprire il nesso tra cattolicesimo, storia, impegno politico. Una dimensione questa che, a parte la breve parentesi del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, sembrava preclusa ai cattolici dopo la formazione dello Stato nazionale. A guerra conclusa Del Noce, scrivendo nelle colonne de “Il Popolo Nuovo” di Torino, diviene uno degli intellettuali di punta del nuovo partito dei cattolici, la Democrazia Cristiana.
Leggendoli, come ha osservato Norberto Bobbio nella prefazione a una preziosa raccolta di quegli articoli (Centro senza fine ,Reset 1995), si ha “un’idea della serietà e dell’acutezza delle osservazioni, dell’ampiezza dell’informazione, dell’autonomia dei commenti, della maturità di giudizio,che il giovane filosofo aveva mostrato nell’affrontare per la prima volta temi di politica militante”.
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È in questi articoli che appaiono i punti fermi: il nesso tra cristianesimo e democrazia, la centralità del partito cattolico a tutela della libertà contro fascismo e comunismo, l’affermazione chiave che “il post-fascismo non deve essere un fascismo in senso contrario (antifascismo) ma il contrario del fascismo (dunque libertà e non violenza)”.
Sono gli elementi che Del Noce ritiene di vedere concretamente attuati nella politica e nel governo di Alcide De Gasperi, lo statista trentino che egli assume a modello al punto da concepirsi, per tutti gli anni ‘50, come il “filosofo” di De Gasperi, il teorico del suo modello politico. Allo scopo il suo lavoro filosofico corre parallelo alla sua riflessione politica. Il punto cardine del degasperismo è l’alleanza tra cattolici e laici all’insegna della libertà. Ciò permetteva di superare lo storico steccato tra guelfi e ghibellini la cui presenza aveva favorito il successo del fascismo in Italia.
Questo incontro, secondo Del Noce, poteva risultare produttivo solo se accompagnato da una serie di correzioni ideali. Per i cattolici si trattava di superare la pregiudiziale antimoderna, di comprendere il nesso tra cattolicesimo e liberalismo (Rosmini), di riscoprire il nesso fede-storia (Vico) contro l’“anistoricità” dello spiritualismo cristiano moderno. Per i laici si trattava , invece, di dissociare il liberalismo dal liberismo economico, nonché dal perfettismo, radice della concezione statolatrica. Una critica, questa, che avvicinava Del Noce a Croce e Tocqueville.
Una riflessione di grande spessore che si troverà però privata del suo contenuto allorché, agli inizi degli anni ’60, il centrismo cederà il posto al centro-sinistra. Un appuntamento importante, segnato dall’incontro tra cattolici e socialisti, a cui la DC andava incontro con un impressionante vuoto di idee. La teoria che andava per la maggiore nell’intellettualità filodemocristiana era quella sul necessario tramonto delle ideologie a seguito del diffondersi della “società del benessere”. Il comunismo sarebbe morto non perché sconfitto sul piano ideale, ma perché la società dei consumi, innalzando il livello di vita, toglie le differenze di classe che motivano la spinta rivoluzionaria. In parallello anche la Dc avrebbe perso il suo volto ideologico e sarebbe divenuta il partito della democrazia senza aggettivi.
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Del Noce conveniva con questa prospettiva, ma la sua valutazione del processo in atto, in ciò pienamente d’accordo con il teorico della sinistra cattolica Franco Rodano, era profondamente negativa. La “società opulenta” toglieva la rivoluzione solo estendendo al massimo l’alienazione, riducendo l’uomo a consumatore e privandolo di ogni spinta ideale. Nella duplice elisione del comunismo e del cattolicesimo la società opulenta dava luogo a un nuovo potere, economico-mediatico, che univa ricerca illimitata del benessere, censura della dimensione religiosa, relativizzazione di ogni valore.
Del Noce si incontrava qui con Pier Paolo Pasolini nel delineare il volto di un nuovo avversario rispetto al quale la Dc “americanizzata”, abituata a vedere nel comunismo l’unico nemico, si mostrava incapace di risposta.
Stretta tra l’avversario comunista e quello di una nuova destra, per la quale il movimento continuo era il metodo per conservare il potere, la riflessione delnociana patisce, tra la fine degli anni ‘60 e gli inizi degli anni ‘70, una solitudine profonda. La Dc non comprendeva che il suo senso ideale, fuori da ogni clericalismo, poteva risiedere solo nella tutela del “senso religioso” presente. Il mondo cattolico, da parte sua, cercava disperatamente le fonti del suo impegno ideale nel marxismo.
Sarà l’incontro con il Movimento Popolare e con l’esperienza di Comunione e Liberazione, a metà degli anni ‘70 , a dargli nuovamente speranza. Dopo la fine del “dossettismo”, Cl rappresentava la seconda posizione “ideale” del cattolicesimo italiano del dopoguerra. Era l’interlocutore, composto in gran parte da giovani, che necessitava il magistero di Del Noce.
Da questo incontro sorgeranno gli articoli su “Il Sabato” e su “30 giorni”, la lotta per il rinnovamento della Dc, la critica al “piano Scalfari” e alla doppia laicizzazione della Dc e del PCI, il rapporto con il socialismo di Craxi. Un’ultima stagione di impegno e di lotte appassionate che avevano restituito al grande pensatore – sono parole sue – una “seconda giovinezza”.