Viviamo nell’era del silicio. La nostra vita personale e la nostra società sono fortemente influenzate dalla microelettronica, la tecnologia che sta alla base dell’elettronica, in tutte le sue molteplici applicazioni, dall’informatica alle telecomunicazioni, dall’elettronica di consumo all’elettronica industriale, dall’industria automobilistica a quella aerospaziale. Il nostro modo di comunicare, di lavorare e di divertirci sarebbe completamente diverso se non ci fossero i circuiti integrati. Tra le tecnologie del nostro tempo, l’integrazione su silicio è quella che ha avuto il più impressionante sviluppo: per oltre cinquant’anni, da quando nei laboratori Fairchild in California, nel 1961, Robert Noyce, futuro co-fondatore dell’Intel, realizzò il primo circuito integrato su silicio, il progresso della microelettronica è proseguito con ritmo esponenziale fino ai giorni nostri. Tutto ciò a dispetto dei più volte ripetuti annunci dell’imminente fine dalla corsa alla miniaturizzazione per raggiunti limiti tecnologici dell’integrazione su silicio.
Finora l’industria microelettronica ha sempre saputo superare gli ostacoli tecnologi e ha potuto continuare a ridurre le dimensioni dei componenti elementari, i transistori, portandole ben sotto i cento nanometri, la convenzionale soglia delle nanotecnologie: a pieno titolo si può affermare che la nanoelettronica è la più importante tra le nanotecnologie. Gli ostacoli che si parano ora di fronte all’ulteriore sviluppo della nanoelettronica non sono più soltanto di natura tecnologica ma, soprattutto, di natura fisica. Certamente la riduzione della dimensione dei transistor dovrà fermarsi prima di raggiungere la scala atomica!
Per questo motivo, parallelamente all’enorme sforzo collettivo dell’indutria microelettronica per continuare lo sviluppo dell’integrazione su silicio fino ai suoi limiti fisici, università e centri di ricerca hanno intensificato gli studi mirati a trovare soluzioni radicalmete alternative che permettano di superare i limiti della tecnologia dominante. In questo contesto, recentemente ha attirato l’attenzione la notizia di una scoperta potenzialmente rivoluzionaria: si è parlato di “transistor non basati su materiali semiconduttori” e sono apparsi titolo del tipo “oltre il silicio”. Per capirne di più abbiamo voluto sentire il parere di un esperto, Paolo Cappelletti, responsabile di un settore della Ricerca e Sviluppo di Micron, secondo produttore mondiale di memorie a semiconduttore.
Dottor Cappelletti, avrà certamente saputo dei risultati di queste ricerche: cosa ne pensa?
Ho visto letto l’articolo originale, apparso sulla rivista on-line Advanced Materials [Chee Huei Lee et al.: “Room-Temperature Tunneling Behavior of Boron Nitride Nanotubes Functionalized with Gold Quantum Dots”], dove gli autori, ricercatori dell’Università Tecnologica del Michigan, di Houghton, e del Laboratorio Nazionale di Oak Ridge, nel Tennessee, hanno presentato dei dispositivi ottenuti depositando nanoparticelle di oro su nanotubi di nitruro di boro (fig.1). I nanotubi sono stati contattati con le punte di un microscopio a effetto tunnel e il substrato di silicio, su cui sono stati trasferiti i nanotubi, è stato utilizzato come elettrodo di controllo per ottenere l’effetto transistore. I dispositivi così ottenuti sono TFET (Tunnel Field Effect Transistor). Gli aspetti più innovativi di questo lavoro sono legati ai materiali usati e al fatto che, grazie alle ridotte dimensioni (3-10nm) delle nanoparticelle d’oro, siano riusciti fare funzionare il dispositivo anche a temperatura ambiente, non solo alle bassissime temperature cui si erano visti operare finora dispositivi di questo tipo.
Si tratta effettivamente di una scoperta destinata a cambiare il corso della nanoelettronica?
Certamente stiamo parlando di un lavoro di grande rilevanza scientifica ma da qui a dire che avrà un impatto sull’evoluzione della tecnologia di integrazione il passo è lungo. I dispositivi presentati nel lavoro citato hanno larghezze di 20-80 nm, dettate dalle dimensioni di nanotubi di nitruro di boro, e lunghezza dell’ordine del micron, determinata dalla distanza a cui si riescono a posizionare le punte del microscopio. Come riferimento per lo stato dell’arte della integrazione su silicio, è il caso di ricordare che Intel produce microporocessori basati su transitori da 22 nm e che Micron sta avviando la produzione di memorie flash con celle da 18nm.
Se poi ci riferiamo a risultati di laboratorio, diversi gruppi di ricerca hanno realizzato prototipi funzionanti di transitori MOS su silicio di lungezza uguale o inferiore a 10 nm e celle di memoria da 8 nm.
Ancor più che le loro dimensioni, quello che rende i dispositivi del lavoro citato non particolarmente attraenti è il loro processo di fabbricazione.
Intende dire?
Ciò che ha fatto la fortuna dell’integrazione su silicio non è stato tanto il transistore per se, quanto la capacità di realizzare, con un solo processo di fabbricazione, un completo sitema ellettronico, composto di transistori di varie dimensioni definite, di resistenze e di condensatori, tutti opportunamente connessi tra di loro. E questa capacità è stata spinta ai livelli tecnologici attuali, che consentono di integrare in un singolo chip centinaia di milioni di transistori, se parliamo di microprocessori, o decine di miliardi di celle, se parliamo di memorie.
Qualunque rivoluzionario dispositivo, per quanto eccezionali siano le sue proprietà, che non sia integrabile in un processo di fabbricazione simile a quello dei circuiti integrati su silicio non potrà avere un impatto significativo sull’evoluzione dell’elettronica.
Nel lavoro citato, i nanotubi, di dimensioni variabili in modo casuale e cresciuti in direzioni casuali, su cui sono state “spruzzate” le nanoparticelle d’oro, anch’esse di dimensioni e disposizione variabili in modo casuale, anche se con densità abbastanza regolare, sono stati trasferiti e orientati singolarmente, uno a uno, con un micromanipolatore a forza elettrostatica e contattati con le punte di un microscopio a effetto tunnel.
Cosa manca per passare a un reale processo di produzione?
Non riesco neanche a immaginare come si possano integrare dispositivi di questo tipo in un flusso di processo capace di realizzarne simultanemante centinaia di milioni di dimensioni e orientamento fissato e di connetterli tra loro nella maniera voluta. Non dico che non si possa fare; dico solo che non sarà facile e ci vorrà molto tempo. Ci sono poi aspetti legati alle condizioni operative e alla intrinseca variabilità statistica che, anche da un punto di vista concettuale, mi rendono molto scettico sull’effettiva utilizzabilità del tipo di dispositivi presentato nel lavoro citato per la realizazioni di circuiti integrati su larga scala.
Non è quindi così imminente la fine del silicio?
Né il lavoro citato né i tanti altri lavori che vengono continuamente pubblicati, a documentazione dell’ingente e necessario sforzo di trovare soluzioni radicalmente innovative, lasciano intravedere esiti positivi a livello industriale in un futuro prevedibile a breve-medio termine. A mio parere, almeno per i prossimi vent’anni, l’evoluzione dell’elettronica continuerà a essere basata sull’integrazione su silicio.
(a cura di Mario Gargantini)