Con una disoccupazione giovanile al 44,2 per cento in agosto, il tasso italiano è tra i più alti dell’Unione. Una buona medicina sarebbe quella di dotarsi di un sistema di alternanza scuola lavoro efficiente: un recente studio della Commissione lavoro del parlamento europeo mostra che là dove i sistemi di alternanza funzionano, la disoccupazione giovanile scende e di molto: 6,3 per cento in Germania, 5,1 in Olanda, 13,3 in Gran Bretagna, 11,2 in Francia. L’ultimo rapporto di Confindustria (L’Education per la crescita. Le 100 proposte di Confindustria) è severissimo nel giudicare lo stato di arretratezza del nostro sistema di istruzione, malato di centralismo e legato a schemi obsoleti, refrattari alla valutazione e al merito, incapace “di fare sintesi tra i fattori economici, tecnologici e sociali”. Ne abbiamo parlato con Luigi Bobba, deputato Pd, una storia umana e professionale legata alle Acli e al terzo settore, attualmente sottosegretario al Lavoro nel governo Renzi. “I giovani stanno pagando la ‘bolletta’ della flessibilità — spiega Bobba —. Noi faremo la nostra parte, ma occorre che le imprese facciano di più”.
Perché in Italia solo il 9 per cento di studenti svolge percorsi di alternanza?
Quel 9 per cento riguarda solo il sistema di istruzione gestito dallo stato, che si dimostra certamente inadeguato perché per gli istituti tecnici e professionali l’alternanza dovrebbe essere la regola, non l’eccezione. Diverso è il caso dell’istruzione e formazione professionale gestita dalle regioni.
Diverso quanto?
Il sistema è gestito in modo piuttosto disorganico e frammentato, è vero, ma là dove funziona, l’alternanza è pressoché regolare e riguarda tutti i giovani che seguono i corsi. Purtroppo più di metà delle regioni non fanno quello che dovrebbero.
Lei a che cosa attribuisce il nostro alto tasso di disoccupazione giovanile?
Una recente ricerca di McKinsey dice che il 40 per cento si spiega con competenze non appropriate, mentre il 60 è dovuto al lavoro che non c’è. Vedo tre cause. Un sistema che in questi anni è rimasto poco competitivo e quindi non ha creato opportunità. Poi la riforma Fornero, che con il blocco del turnover ha provocato un ingigantimento del numero delle persone giovani senza un lavoro…
Non si può nemmeno dire che il sistema regolatorio del mercato del lavoro sia di per sé favorevole ai giovani.
Al contrario. E’ la terza causa: li penalizza. Sia perché le corporazioni professionali fanno fatica a far entrare nuovi lavoratori, sia perché il sistema delle organizzazioni di tutela ha privilegiato quelli che erano già dentro il circuito. Raccogliamo i frutti di una lunga stagione che vede i giovani pagare il costo della flessibilità.
Nei suo ultimo rapporto sull’education, Confindustria dice che il modello della scuola italiana è vecchio, superato, incapace di integrare formazione e lavoro. Che ne pensa?
Intanto saluto con favore che Confindustria abbia fatto un documento dedicato anche all’istruzione e formazione professionale come parte integrante del sistema di education del paese, mentre fino ad ora ci aveva parlato esclusivamente all’istruzione tecnica. L’IeFP rimane l’elemento di maggiore criticità di tutto il nostro sistema educativo in senso lato, e richiedeva effettivamente un cambio di marcia nella considerazione e nell’approccio.
Ma dove sta il problema?
Lo scollamento dal mondo del lavoro e dal sistema delle imprese deriva proprio dalla debolezza di questa “seconda gamba”. Lo stato, dopo aver fatto una riforma intelligente con l’introduzione del sistema di IeFP consentendo di assolvere l’obbligo, di ottenere la qualifica e di inserirsi in percorsi di istruzione superiore, di fatto non l’ha finanziato adeguatamente.
Insomma è una gamba importante, ma rimane la più fragile…
Sì, perché i soldi destinati dallo stato alle regioni sono soggetti al patto di stabilità. Non così per le risorse ordinarie dell’istruzione secondaria.
Per Confindustria istituti tecnici e professionali hanno perso il contatto con il mondo dell’impresa, dalla scuola però rispondono che le imprese sono refrattarie ad assumere i giovani.
E’ vero che le imprese nel loro insieme non hanno fatto granché; è anche vero che un sistema di alternanza dovrebbe essere favorito dalle istituzioni con una maggiore flessibilità e fiscalità dei costi.
Le dimensioni delle imprese quanto contano?
Sono importanti. C’è, come sappiamo, un esperimento di alternanza in alcune grandi imprese regolato dal decreto Carrozza, ma sono piccoli numeri. Per avere grandi numeri ci vorrebbe un coinvolgimento vasto sia dei Cfp regionali, sia di tutto il sistema della Pmi, che per la sua frammentazione non ha le strutture e gli strumenti per gestire dei percorsi seri di inserimento e alternanza scuola-lavoro. Ma mi auguro che alle proposte chiare e alle parole forti di Confindustria contenute nel documento corrisponda anche un cambio di passo nelle imprese.
Le testimonianze di alcuni giovani danno adito a molti dubbi sulla riuscita di Garanzia Giovani. Non è il caso di modificare il programma in modo da non perdere un’occasione e non vedere sprecati gli ingenti fondi che l’Italia ha ricevuto dall’Ue?
Tirare le somme dopo quattro mesi mi pare frutto di un’impazienza che è cattiva consigliera. Teniamo conto che i giovani iscritti al portale sono 225mila, 57mila sono stati chiamati e 35mila circa hanno già avuto un colloquio di orientamento. Le offerte spontaneamente segnalate dalle aziende sono 23mila e le opportunità messe a bando sono per 125mila. E’ il primo tentativo che si fa in un paese con un sistema di servizi al lavoro fortemente frammentato, e per la prima volta il ministero del Lavoro pur non avendo la titolarità principe ha definito un sistema di collaborazione con le regioni. Per un bilancio aspettiamo per favore la fine dell’anno.
Il governo, attraverso il ddl delega, potrà modificare le forme contrattuali esistenti. L’apprendistato verrà rivisto?
Vedremo. Ad oggi abbiamo già messo mano al sistema dell’apprendistato e i dati Isfol di agosto ci dicono che la riforma contenuta nel decreto Poletti ci dà ragione. Non voglio dire che tutto va bene, ma un 16 per cento in più di contratti di apprendistato (da quando la legge è stata approvata) dice che forse la semplificazione che abbiamo introdotto è piaciuta alle imprese. In ogni caso, quando si metterà mano agli altri sistemi probabilmente bisognerà intervenire anche su questo.
Renzi si è impegnato a ridurre i contributi per i nuovi assunti, ma con contratto a tempo indeterminato. Un incentivo che però sembra scontrarsi con le probabili resistenze delle imprese a legarsi a lungo con un lavoratore, visto il perdurare della crisi. Non temete un flop? Non sarebbe meglio destinare quelle risorse ad altri scopi?
La delega sarà approvata prima di fine anno e il contratto a tutele crescenti diventerà operativo nei primi mesi del 2015. Poletti aveva già detto che ci sarebbe stato un sistema di incentivi per le imprese che scelgono la nuova soluzione confermando la persona a tempo indeterminato. Faremo in modo che si tratti di una opportunità concreta per le imprese.
(Federico Ferraù)