Comunicare Dante, oggi, si può? E come, e perché? Si può anche senza Benigni? Metti una mattina d’ottobre, nella sede storica della Società Dante Alighieri di Roma — la Dante, che ha 366 sedi nel mondo, e ti dicono frequentatissime, dove si impara la lingua italiana e si conoscono i suoi emblemi, il Poeta su tutti. In Argentina, che è più ovvio, in Mongolia, che lo è meno. Metti 250 studenti, scuole superiori e università, seduti buoni buoni e zitti zitti per tre ore, ad ascoltare grandi dantisti e scrittori raccontare il loro sguardo su Dante. A cercar di capire cos’ha da dire al nostro modo di leggere la realtà, che cosa rappresenta del nostro essere italiani oggi. Come si fa a conoscerlo, ad amarlo, senza sforzo, nonostante gli anniversari che ci passano sopra la testa, nonostante la scuola, che spesso annoia, perché ci costringe ai riassunti e alle note, che suscitano ben poco fascino e sono inutili, per la poesia e i suoi significati. Nonostante l’attenzione sia affidata agli specialisti, che esercitano la loro competenza in studi specialistici, rilanciati da riviste per pochi eletti, che non arrivano né agli insegnanti, che di tempo ne han poco, né tantomeno ai più giovani.
Viva Benigni e viva la televisione, allora. Viva il coraggio di una tv come Tv2000 che ha accettato la sfida di far raccontare la Commedia a un rude professore di lettere di liceo, Franco Nembrini, che ha accompagnato la scorsa stagione gli spettatori alla scoperta dell’uomo, oltreché del poeta, del politico. Dell’uomo in cerca di Dio, cioè di significato, che siamo tutti noi. 4 puntate sulla Vita Nova, 10 sull’Inferno, 10 per il Purgatorio. Dal 10 ottobre si riparte col Paradiso, quella che è considerata la cantica più difficile, e lo è davvero. Però si può catalizzare il fascino di chi ascolta, e portare 100mila persone in prima serata ad accendere il televisore, per un’ora di lezione appassionata.
Anche gli illustri accademici sanno approcciare altro pubblico, fuori dalle aule universitarie, e contaminarsi, con chi Dante l’ha narrato e guardato da diverse prospettive? Sì. È inusitato vedere il chiostro di uno dei più nobili palazzi romani riempirsi di ragazzi e ragazze, col quaderno per gli appunti, coi professori cui luccicano gli occhi, perché vuol dire che il loro lavoro, che è anzitutto amore, non è andato perduto. E ascoltare, in quella che fu la sede dell’ambasciata di Firenze presso la Santa Sede, quindi con l’aria di casa, Luca Serianni e Enrico Malato, Giuseppe Ledda e Giovanna Frosini e Mirko Tavoni. Docenti universitari, accademici di Crusca e Lincei, curatori delle edizioni più rinomate e critiche delle opere dantesche. Come in classe, spiegare la lingua, le variazioni dall’italiano di Dante a quello di oggi. “I parenti miei furon lombardi”, dice Virgilio presentandosi. Parenti sono i genitori, e questo significato è rimasto nel francese e nell’inglese, non più in italiano, dove pure il termine usato “noia” è solo fastidio, sbuffo, mentre Dante lo attribuisce ai dannati dell’Inferno, ed è dunque angoscia profonda e irredimibile.
Quale Dante studiamo? Sorge il dubbio che tra amanuensi e copisti le varianti dovute ad errori e sviste abbiano trasformato il testo. Non sappiamo infatti che abbiamo della Commedia più di 800 manoscritti, e che le oltre 2mila prime copie a stampa del Quattrocento sono elaborate su altrettanti manoscritti perduti… Dante e i suoi sogni, altro che filosofo e razionale, Dante capace di innamoramenti sanguigni. Dante e la Bibbia, che troppe volte è trascurata come riferimento imprescindibile della forma e della sostanza, quasi che il politically correct che ci fa vergognare di chi siamo potesse nascondere l’evidenza del Dante cristiano. Dante come personaggio: che una scrittrice come Bianca Garavelli ha reso protagonista di un suo romanzo, Le terzine perdute di Dante. Perché bisogna tirarlo giù da un piedistallo che non gli fa onore, visto che di piedistalli in vita ne ha avuti pochi, visto che la sua carica rivoluzionaria non temeva le mescolanze, di genere, stili, realtà e umanità più varia. Dante per tutti, anche per i principianti, che non sono gli incolti, ma coloro che principiano: anche i più piccoli, anche i ragazzini, cui si può benissimo raccontare l’autobiografia della Commedia, come ha fatto con successo Paolo Di Paolo, giornalista e scrittore. Certo che il poema propone le domande che contano, tutti i perché che solo i bambini sanno farsi, e un’immagine di Dio non convenzionale e capace di sorprendere i giovani lettori.