Il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo è intervenuto ieri alla Conferenza dei servizi “Collegare filiere produttive e formative per la crescita del Paese”, promossa congiuntamente da Miur, ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, ministero dello Sviluppo economico e IX Commissione istruzione, lavoro, ricerca e innovazione della Conferenza delle Regioni. Molti gli spunti di riflessione offerti dal ministro. Ne parliamo con Elena Ugolini, sottosegretario all’Istruzione e curatrice della Conferenza.
Sottosegretario Ugolini, il ministro Profumo ha esortato i giovani ad essere più intraprendenti e a creare lavoro per sé e per gli altri. A suo giudizio quanto sono “intraprendenti” oggi i giovani italiani?
Credo che i nostri giovani abbiano tutte le carte in regola per giocarsi il futuro. Vedo in loro una grande attesa e un forte desiderio di realizzazione. Queste qualità, però, si scontrano spesso con adulti che, invece di incoraggiarli, seminano dubbi. Per questo ritengo che il più grande regalo che possiamo fare a questa domanda di compimento dei giovani sia condividere ogni aspetto vero e costruttivo che noi adulti abbiamo incontrato nel corso della nostra vita.
Trova che i giovani siano afflitti da un certo pessimismo?
La tristezza che a volte porta i giovani a guardare al futuro senza fiducia e positività, nasce molto spesso dal modo in cui si sentono guardati dagli adulti. Con questo non voglio giustificarli: ognuno di loro deve comunque vivere la propria vita con passione e con la voglia di mettersi in discussione, ma resta il fatto che ogni percorso è fatto di incontri. Quindi se i giovani hanno a che fare con persone convinte che non ci siano le condizioni per vivere o per lavorare, è ovvio che questo atteggiamento metta in crisi l’entusiasmo tipico della giovinezza.
Cosa può e deve fare allora la scuola italiana?
La scuola dovrebbe essere il luogo in cui i ragazzi confrontano e mettono in gioco le loro domande più profonde e i loro desideri. È necessario quindi che le mille ore di lezione che svolgono ogni anno siano ore “vive”, in cui i docenti condividano con loro tutto ciò che conoscono e di cui hanno fatto esperienza. La scuola può inoltre allargare il proprio raggio d’azione e cercare alleanze costruttive con altri mondi: l’università, la ricerca, le professioni. L’educazione è una responsabilità di tutti e per questo ognuno di noi, dal proprio mondo e settore professionale, dovrebbe mettere a disposizione ciò che conosce e che può appassionare le nuove generazioni.
Cosa spetta invece alle famiglie?
Le famiglie devono impegnarsi a non “scaricare” i propri figli demandando alla scuola ciò che solo loro possono fare. Tutti in famiglia possono collaborare all’educazione e ognuno ha un suo compito insostituibile.
Profumo ha anche detto che “c’è bisogno di più giovani che imparino la parola rischio, che non fa parte della nostra cultura”. Cosa ne pensa?
L’Italia è cresciuta grazie allo spirito di intrapresa di persone che si sono messe in gioco senza aspettare che altri risolvessero i problemi, ma immaginando nuove ipotesi di soluzione e di innovazione. La settimana scorsa sono stata a Sant’Agostino, uno dei comuni più colpiti dalla prima forte scossa di terremoto in Emilia-Romagna, dove ho incontrato un imprenditore la cui azienda è andata distrutta. Nonostante questo, lui era lì con i suoi operai pronto a farla ripartire e a continuare a dar lavoro ai suoi 340 dipendenti. Ho visto quest’uomo rischiare il proprio denaro e la propria vita senza aspettare che qualcuno risolvesse il problema al suo posto. Come lui ce ne sono tantissimi altri, ed è proprio questa parte d’Italia che ci ha sempre fatto andare avanti e che non si arrenderà mai.
Il fallimento o l’errore, ha detto Profumo, non è una macchia per il curriculum: d’altro canto, però, un errore può costare molto in termini finanziari e non solo. Secondo lei quali sono gli errori da evitare durante il percorso di formazione di uno studente?
È vero che l’errore non è una macchia per il curriculum, ma solo quando serve per trovare la propria strada e se diventa un’occasione per crescere e mettere a frutto i talenti che si possiedono. Il più grande errore che possiamo fare è pensare che tutti debbano fare la stessa cosa: la diversificazione e la possibilità di intraprendere percorsi di formazione differenti sono aspetti che vanno incentivati fino in fondo, garantendone però la qualità. Tutti i giovani si iscrivono a scuola, ma purtroppo molti si perdono durante il cammino. Questo accade perché spesso non si riesce a garantire un’adeguata qualità nei diversi percorsi che uno studente può scegliere: licei, istituti tecnici, istituti professionali, formazione professionale e formazione in apprendistato.
Profumo accennava anche alle grandi imprese, senza le quali il Paese fa poca strada. Il percorso scolastico ha aiutato, in tempi passati, “capitani di industria” a diventare ciò che sono. Perché ora sembra non essere più così?
Nel secondo dopoguerra, negli istituti e nell’istruzione professionale si sono formati uomini che hanno permesso il nostro boom economico, gli imprenditori che poi hanno fatto la fortuna del Made in Italy. Negli ultimi vent’anni anni si è diffusa invece un’idea, assolutamente sbagliata, che svaluta l’istruzione tecnica e professionale, come se imparare un lavoro fosse qualcosa di meno che, ad esempio, imparare a tradurre. Un istituto tecnico ben fatto è una scuola molto complessa, che richiede impegno, studio, e può essere frequentata con successo solo da chi ha specifiche attitudini e particolari talenti.
Crede quindi che la cultura tecnica e del lavoro andrebbe recuperata?
Certo, e nel momento attuale sembra che la crisi stia costringendo a riconsiderare le cose. Non vedo più quell’ostilità a cui abbiamo assistito in passato, quando si ponevano in conflitto il mondo della scuola e quello del lavoro. Credo invece che il clima di oggi sia cambiato e che si inizi a interrogarsi sulla possibilità di far diventare nuovamente le scuole luoghi formativi, anche sfruttando tutte le potenzialità del lavoro. Ecco perché bisognerà puntare sui poli tecnici e professionali come “luoghi formativi di apprendimento in situazione”, fondati su accordi di rete per la condivisione di laboratori pubblici e privati già funzionanti; configurando anche sedi dedicate all’apprendimento in contesti applicativi, così da utilizzare pienamente le risorse professionali già esistenti. Occorrerà, perciò, sviluppare all’interno dei poli l’orientamento alla formazione tecnica e professionale realizzando anche esperienze di “bottega a scuola” e “scuola impresa”. Questa nuova modalità di apprendere fa dialogare la scuola con l’impresa, considerando le figure che provengono dalle più diverse realtà lavorative, non solo come testimoni del loro personale successo, ma come maestri dai quali imparare.
(Claudio Perlini)