Nei giorni scorsi si è diffusa la notizia del ritrovamento, nella Cava di Monte Ceti a Novafeltria, in provincia di Rimini, di un fossile risalente a un periodo tra i 90 e i 65 milioni di anni fa. Subito si è parlato del “dinosauro di Novafeltria”. È presto però per darne l’esatto identikit: questo compito toccherà a Federico Fanti, paleontologo del Museo Capellini dell’università di Bologna noto per i numerosi scavi e ricerche sui dinosauri in varie parti del mondo. Fanti ha dichiarato che entro pochi mesi, probabilmente entro l’autunno, darà il responso. Ilsussidiario.net gli ha chiesto un primo commento sulla importante scoperta.
La storia della scoperta nell’Appennino romagnolo di un raro fossile risalente all’epoca dei dinosauri comincia, come in molti altri casi di ritrovamenti eccezionali, durante una semplice passeggiata. Nell’estate del 2010 Paolo Giordani, appassionato di reperti geologici e paleontologici, si è imbattuto per caso in un curioso blocco di sabbia e argilla presso la Cava di Monte Ceti (Novafeltria, Rimini). Ad attirare la sua attenzione, il luccichio di un dente che sembrava appartenere ad uno squalo. Tuttavia, dal blocco emergevano molti altri denti e frammenti di ossa appartenenti ad una creatura molto diversa da uno squalo. Il blocco rinvenuto da Giordani preserva infatti parte del cranio di un grande rettile marino vecchio di milioni di anni. Grazie al contributo di Loris Bagli, il primo a comprendere l’importanza del ritrovamento, il reperto è stato trasferito al Museo della Regina di Cattolica che ne ha garantito una prima messa in sicurezza.
Da subito sono stati chiari gli interrogativi principali a cui occorreva dare una risposta: a quale vertebrato appartiene il cranio di Novafeltria? A quale periodo geologico risale? Quali potevano essere l’aspetto e la taglia di questo grande predatore? È possibile trovare altre parti fossilizzate di questo animale?
Il primo passo per ottenere queste e altre risposte è la “preparazione” del reperto, ancora inglobato nella matrice rocciosa che lo ha preservato fino ai giorni nostri. Nonostante i numerosi reperti paleontologici rinvenuti nella medesima area e lungo diversi tratti della vicina Val Marecchia, il reperto era apparso da subito molto più antico di ogni altro ritrovamento nella zona. I primi rilievi effettuati nella cava del ritrovamento, hanno confermato che le rocce sabbiose e argillose che lo hanno preservato fino ai giorni nostri si sono depositate sul fondo di un antico oceano e risalgono alla fine del periodo Cretaceo.
Inoltre, alcune caratteristiche uniche del reperto hanno fornito alcuni dettagli fondamentali per identificarlo: il cranio massiccio, i denti lunghi fino a 15 cm e le mandibole incredibilmente robuste sono tutte caratteristiche di un grande predatore che viveva nel vasto mare che un tempo separava Africa e Europa, ben prima della “nascita” dell’Italia che conosciamo oggi. Un reperto più unico che raro, che certamente fornirà importanti informazioni su un mondo scomparso da milioni di anni.
Grazie al tempestivo intervento e alla collaborazione tra diverse istituzioni, il fortunato ritrovamento avrà un seguito. Presso il Museo Geologico Giovanni Capellini dell’Università di Bologna verranno condotte la preparazione e lo studio del reperto; a chi scrive spetterà il compito della supervisione di tali attività.
Terminate le ricerche, e una volta conosciuta la vera identità di questo grande predatore, il fossile costituirà una attrazione di primo livello e sarà l’oggetto di mostre dedicate sul territorio regionale.