Mentre Matt Damon tiene gli spettatori di Sopravvissuto-The Martian col fiato sospeso in attesa dell’astronave di recupero Hermes, si intensificano le attività preparatorie in vista della (problematica) colonizzazione umana del pianeta rosso.
Nel marzo prossimo partirà la prima delle due fasi di ExoMars, la missione robotica dell’ESA (European Space Agency) nella quale l’Italia ha un ruolo centrale; e in questi giorni, dopo aver superato con successo tutti i test previsti, è stato consegnato a tempo di record lo strumento INRRI (INstrument for landing-Roving laser Retroreflector Investigations) realizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN). L’apparecchiatura è stata installata sul modulo di discesa marziano di ExoMars, l’EDM (Entry, descent and landing Demonstrator Module), ribattezzato Schiaparelli dal nome dell’astronomo italiano che disegnò la prima mappa del pianeta.
Come ha spiegato a Ilsussidiario.net Simone Dell’Agnello, fisico dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN che ha svolto la supervisione scientifica di INRRI, «si tratta di uno strumento miniaturizzato della classe retroriflettori laser, cioè uno specchio speciale che quando riceve un fascio di luce laser la riflette lungo la stessa direzione dalla quale è provenuta, anche se tale direzione non è perpendicolare allo specchio».
Di strumenti del genere ne sono stati costruiti tanti nel corso degli ultimi 50 anni: sono stati utilizzati per misure terrestri di distanza e sono celebri quelli installati sulla Luna dalle missioni americane Apollo e dalle russe Lunokhod. «Anche il nostro gruppo di Frascati li ha utilizzati. Permettono di misurare la posizione della Luna lungo la sua orbita, tracciando l’orbita lunare con grande precisione, dal centimetro ai millimetri. Questo metodo, detto telemetria laser, serve per applicazioni sia in scienza fondamentale (fisica o geodesia lunare) sia per usi più tecnologici, come misurare la posizione di satellite per GPS (a 20 o 24mila km di altitudine) per poi, attraverso il metodo della triangolazione, misurare la posizione di altri dispositivi sulla superficie terrestre: quanto più è precisa l’individuazione del satellite, tanto più sarà accurato e stabile il posizionamento degli utenti a Terra (sia mezzi di superficie che aerei o satelliti a quote basse)».
Dell’Agnello entra più nei particolari del sistema. «Ci sono due classi di destinazioni dei fasci laser. Una prima comprende sia satelliti in orbita attorno alla Terra – da quelli più bassi per osservazioni geofisiche a quelli più alti per GPS – che la Luna: in tutti questi casi il fascio laser viene sparato da Terra. L’altra destinazione riguarda tutto ciò che sta oltre la Luna, a cominciare da Marte. Lì non si riesce ad avere un rimbalzo utile, data la grande distanza che renderebbe troppo debole il raggio di ritorno. Ci viene però in soccorso l’evoluzione tecnologica delle infrastrutture spaziali: le agenzie, come Nasa, Esa e anche la nostra Asi, stanno investendo molte risorse per l’esplorazione di Marte, alla ricerca delle tracce di vita. Le molte iniziative generano una quantità enorme di dati; per spedirli a Terra è molto più conveniente ricorrere alle comunicazioni laser piuttosto che alle onde radio. Ad esempio, se un satellite deve fare una mappa completa della superficie marziana con accuratezza di 30 cm, per spedirla a Terra con onde radio impiegherebbe sei mesi; invece, codificando le informazioni in impulsi laser basterebbe circa una settimana. Perciò le Agenzie spaziali, in vista dell’esplorazione di Marte e più in là di Giove, stanno sviluppando applicazioni laser per il trasferimento di dati. Ma queste possono fare, localmente (ad esempio sui Marte) della telemetria laser. Per questo bisogna che sulla superficie del pianeta rosso siano stati collocati dei retroriflettori laser». Ecco allora il perché del lancio di INRRI con la prima fase di ExoMars.
Il processo di comunicazione sfrutterà il concetto di ponte-laser: «Il percorso sarà così: da Terra si spara un impulso laser verso un riflettore posto su un satellite GPS (ad esempio della serie Galileo), che lo trasferisce a un satellite in orbita intorno a Marte da dove viene lancia un impulso laser verso un riflettore collocato sulla superficie marziana; la misura così effettuata poi viene trasferita a Terra tramite un ponte-laser che ci invia sia i dati geofisici raccolti durante l’esplorazione del pianeta sia le misure di telemetria».
A marzo dunque partirà la prima fase di Exomars, col modulo EDM che – dopo un viaggio di circa 7 mesi – “atterrerà”, si spera morbidamente, sulla superficie: «lì scaricherà il retroriflettore INRRI che, essendo uno strumento passivo, cioè che non ha bisogno di batteria, pensiamo possa funzionare per decenni. Diventerà così un punto fisso di riferimento sulla superficie di Marte».
Sarà lui il “sopravvissuto” e resterà lì in attesa che da un orbiter un laser gli mandi un raggio per fare misure di telemetria marziana. Questo potrà avvenire con la seconda fase di ExoMars nel 2018 – per la quale pochi giorni fa l’ESA ha reso nota la scelta di Oxia Planum, in prossimità dell’equatore di Marte, quale sito “primo candidato” per il landing del rover – e con la missione Nasa Mars2020 , che prevedono entrambe tra i loro compiti quello della telemetria.
«Il nostro INRRI sarà comunque prossimamente accompagnato da altre due apparecchiature simili, che consentiranno di fare le triangolazioni»; in futuro una serie di microriflettori formeranno un Mars Geo/physics Network (MGN), cioè una rete di punti di riferimento per misure di geodesia di Marte e test di Relatività Generale. A lungo termine, MGN potrebbe diventare una rete di posizionamento di precisione simile a quella dei retroriflettori laser delle missioni Apollo e Lunokhod sulla Luna.
Infine non è escluso che INRRI possa essere usato come nuovo punto di riferimento geodetico primario e di precisione: una sorta di “Greenwich marziano”: «essendo un microoggetto, quasi puntiforme, è naturale che si presti ad essere scelto come riferimento primario. Lei pensi che l’attuale riferimento primario sulla superficie di Marte è il cratere Airy-0, che ha una certa dimensione e consente una accuratezza dell’ordine di 100 m quindi le misure ad esso riferite possono avere errori di quell’entità; mentre col nostro INRRI si tratterebbe di centimetri».