IL PAMPHLET DI ANGELO CRESPI
Come mai le chiese moderne sono tutte così brutte? E quale è il confine tra etica ed estetica nell’architettura religiosa? E fino a quale punto sono tollerabili certi eccessi (per non dire obbrobri in alcuni casi) di alcune archistar che forse hanno perso, o non hanno mai avuto, il senso del sacro quando si occupano di progettare le nuove “case di Dio”? Sono questi alcuni degli interrogativi che il giornalista Angelo Crespi (peraltro già consigliere al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali) si è posto di recente in un breve saggio intitolato emblematicamente “Costruito da Dio”, pubblicato per i tipi di Johan & Levi e presentato proprio oggi. Del volume, che si caratterizza per essere un vero e proprio pamphlet di accusa contro certi eccessi dell’odierna architettura dedicata al sacro, è stato inoltre presentato un passo nell’ultima edizione de Il Giornale, all’interno del quale è contenuto anche il nocciolo della polemica di Crespi contro quelli che, a suo dire, sono oramai dei “luoghi dove si celebra tutto tranne che il culto”.
LA BRUTTEZZA DELLE CHIESE “POSTMODERNE”
Nello stralcio del suo libro di cui il Giornale ha fornito un’anticipazione, Angelo Crespi parte dalla sua esperienza personale e da quella che “da molti viene considerata la chiesa moderna più brutta del mondo”: a suo dire, anche il solo descriverne l’architettura è impresa ardua dato che non sembra nemmeno un luogo dedicato al culto ma “un capannone di una fabbrica”. Il sentimento che bene esprime lo smarrimento di fronte a questo genere di edifici è lo spaesamento che porta anzi a una sorta di quello che l’autore chiama “orrore metafisico”: è il caso di una chiesa che lui descrive e nella quale si era anche accorto che la toilette si trovava proprio a pochi metri dall’altare, ovvero una situazione che sarebbe difficilmente tollerabile anche in un ristorante o in una pizzeria. Ma come mai le chiese contemporanee sono diventate così brutte e perché, al contrario, “i musei sono diventati delle cattedrali” è una domanda alla quale non è facile rispondere, anche se è “un dilemma facile da comprendere”. Infatti, la chiave per penetrare la questione è anzitutto il ricorso alla teologia e alla filosofia, al fine di riuscire a spiegare come mai questi edifici siano lontani da qualunque forma di trascendenza: ma se si chiamano delle archistar per “rendere sacro il profano” (ovvero i musei e le opere in essi contenute) in un processo di ri-sacralizzazione, allora forse il problema va ricondotto per Crespi al tributo che la Chiesa paga alla post-modernità e forse anche al fatto che oramai “mancano i teologi mentre imperversano gli architetti”.