Il 2025 si apre con grandi incognite e quindi con aneliti di speranza e moti di timore che riguardano tutti i livelli del nostro possibile interesse: Mondo, Occidente, Europa, Italia, Mezzogiorno. Sfide da affrontare e complessità da domare s’intrecciano come non mai ed è difficile separare i piani di attenzione anche se nell’azione ciascuno dovrà e potrà muoversi secondo le sue capacità (o, meglio, “capacitazioni” secondo la celebre definizione del Premio Nobel Amartya Sen).
Lasciando dunque l’analisi degli scenari globali a chi possiede le chiavi per interpretarli al meglio – e magari avere su di essi qualche influenza – cerchiamo di fare un po’ di luce intorno a noi e cioè sull’appendice meridionale del Vecchio Continente, il nostro Sud, che si presenta all’appello del nuovo anno con tutte le contraddizioni che l’hanno sempre contraddistinta e con qualche complicazione in più dovuta al fatto che questa volta potrebbe davvero farcela a venir fuori dal suo stato di precarietà.
All’ombra della grande incognita del processo in atto per la cosiddetta autonomia differenziata – la richiesta di alcune regioni del centro-nord di avere maggiori competenze e risorse da gestire in proprio – si stanno moltiplicando i tentativi di capirne qualcosa di più, smascherare eventuali trabocchetti dei proponenti (leghisti), proporre correttivi in grado di evitare che il Paese davvero si spacchi in due accentuando la distanza tra i due estremi dello Stivale che rappresenta un peso per l’intera economia nazionale.
Anche se la Corte costituzionale ha molto fiaccato il tentativo di fuga di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna creando le condizioni per un disegno istituzionale maggiormente condiviso, il tema di come organizzare il Paese perché sia più efficiente nel prendere e applicare le sue decisioni resta intatto. E il Mezzogiorno non può restare nel limbo del vorrei-ma-non-posso perché se sta davvero maturando dovrà trovare la forza di essere parte in causa: di saper badare ai propri interessi invece che delegare.
Il racconto che lo riguarda si snoda attraverso due percorsi principali. Da una parte si evidenzia la ritrovata vitalità di amministrazioni, università e imprese che insieme riescono nel miracolo di rendere il Sud più competitivo del Nord trasformandolo da vagone di coda in locomotiva, dall’altra si sottolinea l’estrema fragilità di una società che resta ad alto rischio di povertà e dalla quale i suoi figli migliori continuano a scappare non bastando qualche rimpiazzo, per quanto autorevole, a invertire la rotta.
Come spesso accade la verità sta nel mezzo. Anzi, in questo caso le verità sono due: è reale che stiano nascendo e crescendo esempi di nuova consapevolezza di come esercitare ruoli di responsabilità all’interno delle proprie diverse competenze (Napoli insegna) e non è falso che all’interno di una cornice che va schiarendosi il quadro generale continui a presentare molte ombre che pesano sulla vita di tutti i giorni e aspettano di essere diradate da una politica che faccia di necessità virtù.
Il nodo delle risorse – nazionali ed europee – destinate a colmare il divario non è stato ancora sciolto. Troppi soldi destinati al Sud in forma aggiuntiva rispetto alla dotazione ordinaria sono utilizzati in sostituzione di questa indebolendo ogni tentativo di rimonta. Gli sforzi compiuti, tanti e lodevoli, non bastano a raggiungere il risultato di un Paese davvero unito tanto nella quantità e qualità delle prestazioni erogate quanto nelle opportunità di realizzazione offerte ai suoi abitanti, giovani o meno che siano.
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