Ritornare, il giorno dopo, sugli appunti di una mattinata da non dimenticare, provoca una piacevole sensazione. Quella che devono aver provato i più di tremila insegnanti che sabato scorso, 27 gennaio, hanno partecipato al convegno su Il rischio educativo di don Luigi Giussani, a quarant’anni dalla prima edizione. La sensazione è quella di avere a che fare con cose giuste, parole che convincono, giudizi con i quali non si può che essere d’accordo. “Non so come si potrebbe fare una scuola o insegnare senza queste cose”, ha affermato Julián Carrón, uno dei tre relatori della mattinata, insieme a Luigina Mortari ed Eraldo Affinati, rispondendo a una domanda del moderatore, Francesco Valenti, sul valore della concezione educativa di Giussani nella scuola di oggi.
Vale sempre ricordare che tale concezione è nata fra i banchi di un liceo e si è sviluppata, certo estendendosi a tutti i complessi fattori dell’educazione, tenendo costantemente di mira l’ambiente scolastico e che più che dottrina pedagogica essa si distingue come “riflessione sull’esperienza”. Scorre lo sguardo sulle frasi annotate, dalla prima (“l’educazione ha a che fare con il mistero”) all'”implacabile nostalgia di assoluto del cuore umano”, dai ricordi platonici (“insegnare le cose degne d’amore”) alle descrizioni del rischio (“accettare la possibilità della sconfitta”, “uscire dall’indeterminatezza con le proprie scelte”, “curare e donarsi perché l’altro diventi quel che deve essere”), dalla conoscenza dei giovani (“irripetibili”, “aperti e fragili”, “alleati”) ai compiti degli adulti (“una sfida per l’adulto”, “andare sul posto e starci”, “incarnare il limite”, “non evitare il male ma affrontarlo”), dall’insegnamento (“sguardo e ragione che spalanchino all’essere”) alla scuola (“luogo di resistenza”).
E ci si accorge che il discorso regge, che le idee non mancano, e che chi tiene all’educazione e alla scuola una proposta di come fare, non nel futuro ma da oggi, ce l’ha, eccome. Una proposta che rispetti le differenze, ma sappia anche vedere e valorizzare le convergenze, le medesime sensibilità, i medesimi atteggiamenti di fronte ai concreti problemi dei giovani, come quelli, opportunamente messi in luce, fra don Giussani e don Milani, figure alte di educatori della nostra epoca, talora strumentalmente contrapposte.
Dal Rischio educativo hanno preso le mosse, in questi decenni, insegnanti e anche strutture scolastiche, dall’infanzia alla scuola superiore, che hanno potuto verificare, nella concreta situazione dell’istruzione, la fecondità di un’impostazione, trovando conferma nella crescita e nello sviluppo intellettuale e morale di generazioni di giovani. Conferme che non potevano essere preordinate né imposte, come si addice a un’autentica educazione, ma sono scaturite dalla libertà del singolo, e perciò difficili, a volte complesse, altre volte sorprendenti.
V’è da auspicare che quest’opera, che ha ormai varcato i confini del nostro paese, coinvolgendo adulti e giovani di culture diverse dalla nostra, possa continuare e accrescersi, motivando nuovi insegnanti e indicando loro un compito nella grande prospettiva dell’educazione in un paese.
Ogni concezione, anche educativa, ha un nucleo centrale che la caratterizza, le conferisce forza e dà armonia alle varie parti che la compongono. Del Rischio educativo tale “contenuto fondamentale” è il metodo, che è stato efficacemente ricordato, con le ben note, ma sempre da scoprire, parole di don Giussani stesso: “Fin dalla prima ora di scuola ho sempre detto: ‘Non sono qui perché voi riteniate come vostre le idee che vi do io, ma per insegnarvi un metodo vero per giudicare le cose che vi dirò'”. Che questo metodo, con ciò che esso comporta, sia ancora valido, per la formazione di coscienze libere e critiche, in anni ove i confini fra reale e virtuale si confondono, mutando la percezione del tempo e dello spazio, delle relazioni e della dignità umana, della conoscenza e della verità, è un rischio da correre e una sfida cui non sottrarsi, per adulti e giovani. Anche rileggendo degli appunti e discutendone con altri.