Si parla tanto di creatività ed innovazione in questo Paese, ma poi sembra sempre che il tema riguardi qualcun altro e che ci sia il timore, quasi il pudore, di non voler tediare le persone con iniziative che si rivolgono soltanto a una élite di esperti quando non di “nerds”.
Affrontare queste riflessioni è come parlare dei programmi televisivi. Ci dicono che i palinsesti riflettono le richieste del pubblico. Che non ha senso fare programmi più “alti” perché non avrebbero un target di riferimento. Poi quando qualcuno ha il coraggio e la lungimiranza di provare a rompere gli schemi, sorpresa sorpresa, la gente si appassiona, ne discute, lo segue con grande partecipazione.
È quello che è successo anche la scorsa settimana a Milano con il Wired Next Fest, manifestazione organizzata nei giardini di Palestro da Wired, un mensile della Conde Nast, e aperta al pubblico gratuitamente. Una tre giorni di incontri, dibattiti, confronti dove persone di tutte le età, ma soprattutto tanti giovani, hanno affollato gli spazi predisposti per ascoltare il futurologo Bruce Sterling, l’ex garante della Privacy e candidato al Quirinale Stefano Rodotà, l’esperto di tecnologia e web David Weinberger, lo scrittore Nicolò Ammanniti, il filosofo Giulio Giorello, Evgenij Morozov, lo studioso dei risvolti sociali e politici della tecnologia, e tanti altri.
Unica cosa che accomunava gli oltre 120 relatori era il tema: Futuro, innovazione e creatività. Tante testimonianze e racconti, non tanto, o meglio non solo, di case history di successo, quanto piuttosto di un modo nuovo di affrontare la quotidianità, il lavoro e, perché no, il senso della nostra esistenza. Negli stessi giorni in cui partecipavo da spettatrice a questi eventi, mi è ritornato tra le mani un testo che ho sempre adorato per la sua straordinaria e illuminante capacità di andare verso il futuro. Si tratta delle Lezioni americane di Italo Calvino, un libro pubblicato postumo e basato sugli appunti che il grande scrittore stava preparando per un ciclo di conferenze presso l’Università di Harvard (le Charles Eliot Norton Poetry Lectures) che si sarebbe dovuto svolgere nell’anno 1985-1986.
Il sottotitolo, “Sei proposte per il prossimo millennio”, rende ancora più esplicito il tema dell’innovazione e del cambiamento. Ma la cosa più interessante è la base che Calvino utilizza: parte dall’uomo, dalla sua storia, dalla letteratura per trovare incredibili slanci per buttarsi nel futuro.
“È vero che il software – scrive Calvino nella lectio sulla Leggerezza – non potrebbe esercitare i poteri della sua leggerezza se non mediante la pesantezza del hardware; ma è il software che comanda, che agisce sul mondo esterno e sulle macchine, le quali esistono solo in funzione del software, si evolvono in modo d’elaborare programmi sempre più complessi.
La seconda rivoluzione industriale non si presenta come la prima con immagini schiaccianti quali presse di laminatoi o colate d’acciaio, ma come i bits d’un flusso d’informazione che corre sui circuiti sotto forma di impulsi elettronici. Le macchine di ferro ci sono sempre, ma obbediscono a bits senza peso”.
Siamo nel 1985 quando Calvino scrive queste parole e sembra di ritrovare alcuni spunti di Chris Anderson (non a caso ex direttore di Wired Usa, il magazine che quest’anno celebra 20 anni) nel suo libro Makers, il ritorno dei produttori.
Che cosa significa tutto questo? A mio avviso, semplicemente che al centro di tutto resta e deve rimanere l’essere umano. Con la sua straordinaria capacità di cambiare improvvisamente direzione e di mutare il corso della storia e degli eventi. Con la sua voglia di distinguersi e di fare del linguaggio della differenza un tema non solo di dibattito sociale, ma di progresso.
Si parla molto dell’influenza della tecnologia nella nostra vita di oggi, del sapere che nasce e si propaga in rete, come se tutto questo avvenisse indipendentemente dal software che ci sta dietro: l’uomo, appunto. “Forse − scrive ancora Calvino − il segno che il millennio sta per chiudersi è la frequenza con cui ci si interroga sulla sorte della letteratura e del libro nell’era tecnologica cosiddetta postindustriale. Non mi sento d’avventurarmi in questo tipo di previsioni. La mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici”.
Per andare avanti, dobbiamo fare un coraggioso e indispensabile passo indietro. In direzione dell’antropologia. Della riscoperta dei valori e delle esperienze. Se dovessimo rifarci ancora una volta al grande scrittore, potremmo riassumere tutto questo in sei parole chiave: leggerezza, velocità, esattezza, visibilità, molteplicità e consistenza (la lezione mai scritta da Calvino). L’innovazione parte da qui.
Dalla straordinaria capacità di sintesi e di intuizione di persone che hanno l’abilità di recuperare il passato, di farsi ispirare da coloro che, in ogni epoca, hanno saputo far fare un balzo in avanti al genere umano. Finora nessun computer o programma sofisticato è stato capace di regalarci l’emozione di una svolta epocale.
L’uomo, pur con gli orrori che è stato anche capace di compiere nel corso della storia, continua a essere il protagonista indiscusso e indiscutibile dell’innovazione.