Una premessa: ci sono pochi dubbi che il conte Balthusz Klossowski de Rola, in arte Balthus, in vita nutrisse una grande attrazione per le ragazzine. Ci sono altrettanti pochi dubbi che il suddetto conte sia stato, volenti o nolenti, un artista di grande importanza del 900, capace di dipingere alcuni quadri diventati delle icone. Ora accade che un’opera di Balthus, esposta in uno dei più importanti musei del mondo, il Metropolitan, sia stata messa nel mirino perché accusata di promuovere la pedofilia.
È stata una donna, Mia Merril, a lanciare una petizione sul sito thepetitioniste per indurre il museo americano a non esporre più l’opera. La petizione ha raccolto 8mila firme (dunque non propriamente una marea), ma ha certo centrato l’obiettivo di creare un caso mediatico mondiale. Il quadro in questione si intitola “Therese dreaming” e rappresenta una ragazzina in posizione un po’ sguaiata, addormentata su una sedia. Balthus ha dipinto molti quadri di questo tipo, che possono effettivamente infastidire per quel tanto di viziosità che contengono. Ma l’arte da sempre ha avuto a che fare con il lato buio che abita ogni uomo. E Balthus, in un certo senso, con l’arte ha messo in pubblico questo suo lato buio: forse era anche un modo per tenerlo sotto controllo.
Di fronte a questa polemica inedita si possono fare alcune riflessioni. La prima è questa: se si dovesse iniziare a valutare l’arte sulla base della potenziale pericolosità di certe opere ci troveremmo ad affrontare una serie infinita di possibili obiezioni. Perché, per fare un esempio, la “Giuditta” di Caravaggio non può essere vista come un’istigazione all’omicidio? Cosa garantisce che le Veneri di Tiziano non possano fare scattare in che le vede l’istinto allo stupro? E cosa garantisce che la donna lasciata nuda nel celebre “Déjeuner sur l’herbe” di Manet non venga vista come una legittimazione delle molestie? L’elenco potrebbe continuare all’infinito a secondo delle preoccupazioni e delle sensibilità di chi guarda un’opera. Ma la premessa di ragionamenti di questo tipo è che il fruitore di un’opera d’arte sia stato disabilitato di capacità di giudizio e non sia in grado di frapporre un filtro ragionevole tra sé e il soggetto rappresentato. Evidentemente non è così.
C’è però un’altra riflessione da fare: oggi non esistono più zone franche e questi rivoli di populismo etico non risparmiano più niente. Anche l’arte, che si è sempre concepita come un mondo a sé e quindi intoccabile, deve fare i conti con questi umori incontrollabili che non conoscono più piani bassi e piani alti. Per questo la difesa della dirigenza del Metropolitan suona debole, ancora ferma alla prospettiva di un’arte concepita come aristocrazia dello spirito e quindi legittimata a tutto o a quasi tutto. Probabilmente le cose non stanno più così. Siamo di fronte ad un grande rimescolamento di valori e di culture in cui anche l’arte è chiamata a riguadagnarsi la sua legittimazione. E forse è anche un bene…