Su queste colonne sono apparsi diversi contributi sulle capacità di scrittura degli studenti; da ultimo ho apprezzato Cereda e Serianni, o Graffigna, di cui ho notato il rilievo ai docenti di “altre materie”, in particolare quelle scientifiche, di scarso rigore verso la correttezza nella scrittura.
Non credo sia sempre vero, anche se è frequente (c’è pure chi trova un’“intrusione” il fatto che, valutando uno scritto scientifico, si dia peso anche alla sintassi, all’ortografia e all’interpunzione). Ma se succede, penso che vada a scapito proprio dell’apprendimento scientifico, e la chimica ne è l’esempio forse più evidente.
Nella chimica (ma non solo), i canoni comunicativi della disciplina esigono attenzione ai diversi linguaggi persino nelle sfumature (nomenclature, formule di tipo letterale o iconico, meccanismi di reazione…). Se poi la chimica, come dovrebbe, non è solo libresca ma prevede l’esecuzione di qualche attività sperimentale (“la chimica si studia in laboratorio: in aula si fanno esercizi!”), anche il rigore nel linguaggio “naturale” diventa essenziale. L’apprendimento chimico richiede intrinsecamente la redazione di “testi letterari”: in presa diretta (quaderno di laboratorio), poi con una prima mediazione di sintesi (relazioni, rapporti) per arrivare a quelli più avanzati (letteratura tecnica, brevettuale, comunicazioni scientifiche, libri di testo…). Ognuna di tali forme ha esigenze e modi propri; tutte richiedono esattezza.
Tra i chimici è diffusa una peculiare attenzione alle relazioni che vi sono tra le idee ed i linguaggi in cui si incarnano: anche alle bizzarrie delle lingue, alle difficoltà di traduzione. Tale attenzione accomuna un docente attento, o un tecnico aziendale che non sia un mero esecutore, a chi ha portato le sue riflessioni ai massimi livelli di elaborazione, da Levi ad Hoffmann, da Prigogine a Sacks. In altre discipline forse questi atteggiamenti sono meno estremizzati, ma non credo sia una forzatura dire che insegnare a scrivere correttamente, iniziando dal rispetto delle forme dei linguaggi, sia parte essenziale di una vera didattica scientifica.
L’accurata lettura di una procedura di lavoro, di un problema numerico, di un articolo tecnico, è una forma imprescindibile di analisi testuale, così come lo è la produzione successiva di quegli elaborati scritti di cui dicevamo.
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Quel lavoro che sta tra la lingua ed il significato, auspicato da Cereda e Graffigna, per lo studente sembra automatico e forse implicito quando lo fa con il prof di chimica, mentre potrebbe sembrare sterile e forzato – a chiunque non vorrà fare della letteratura il suo mestiere – se lo vestiamo da “elaborato di tipologia A o B”.
Attenzione: “loro” scrivono molto più di quanto facessimo “noi”, fossimo pure stati estensori grafomani di volantini o tazebao. Non ne hanno paura e, anche nelle chatterie piene di emoticons e orbe di vocali, rispettano una qualche forma di sintassi, se la comprensione del testo è rilevante. Ho appena visto studenti, che il primo giorno sudavano per rabberciare le “cinque colonne comandate” di Italiano, passare il secondo giorno a scrivere paginate di Analisi Chimica, e molti lo hanno fatto con proprietà logica e buona sintassi. Non credo dipendesse dall’argomento, a meno di pensare che a 19 anni un gascromatografo ti coinvolga emotivamente più della musica o degli Ufo (o delle foibe, per chi le conosce)!
È che proprio nei corsi di Lettere (su cui si incardina la nostra scuola) la didattica si affida troppo ai metodologismi critici, che sono fuori età e fuori misura anche per studenti di buon livello, e dimentica lettera e senso dei testi reali. Alla fine ci si riduce a contentarsi di lacerti mnemonici come le tre fasi del pessimismo, la poetica del fanciullino e il correlativo oggettivo: slogan su cui è dura costruire una riflessione scritta personale ed organica. Pochi (sia gloria a loro) ti fanno mettere in gioco sui veri versi di Leopardi, Pascoli o Montale. Ancor più rari quelli che ti propongono di produrre qualcosa di tuo a loro imitazione, come nelle scuole di pittura (o nelle relazioni di laboratorio!). Se i colleghi di Lettere, e ripeto la stima ai tanti che fanno un ottimo lavoro, non hanno l’abitudine a tenere viva e palpabile la tensione alla lingua sui testi di loro pertinenza, difficilmente riescono ad avere la sensibilità per sostenere gli sforzi linguistico-stilistici dei colleghi “vili meccanici”. Non scandalizziamoci se talvolta anche questi si scoraggiano.