E ci risiamo. Fa più notizia un albero che cade piuttosto che una foresta che cresce, in questa Italia dove crollano i muri di Pompei, dove il Colosseo guarda attonito migliaia di visitatori in fila ignari di una (pur legittima) assemblea sindacale, e dal ventre di Napoli, diventata Gomorra nell’immaginario collettivo, emerge un pezzo di acquedotto romano.
A Massa Marittima, al liceo classico San Bernardino degli Albizzeschi, risulta l’unica iscritta la studentessa Giada Montomoli, mentre due compagni hanno deciso di andare per altri lidi dopo il primo anno. In miei precedenti articoli apparsi su queste pagine ho più volte denunciato, insieme ad altri colleghi, le conseguenze della crisi dell’istruzione che è parte del tesoro nazionale del nostro Paese: certo le tagliatelle e la pizza, e altri appetitosi manicaretti, che fanno bella mostra di sé nel Padiglione Italia all’Expo di Milano, sono ben più vendibili a un pubblico affamato di stereotipi in un mondo globalizzato, che ormai ha pienamente superato le secolari colonne d’Ercole.
Giada, che è per tutti una fonte di speranza e ottimismo, in un’intervista al Tirreno afferma: “I miei genitori mi hanno dato una base solida sulla quale costruire, mi hanno portato spesso a teatro a vedere l’opera e nei musei, la nostra è una famiglia che ama leggere, il mio libro preferito è Il piccolo principe ma in casa leggiamo molto anche i classici. Mio fratello piccolo si chiama Achille”. E poi la ragazza afferma con un pizzico di celato orgoglio che sua madre e suo padre sono una casalinga e un impiegato. Questo particolare non suggerisce un’analisi sociologica spicciola di un’istituzione ben radicata e tradizionale nel sistema scolastico dell’Italia come il liceo classico, ma ci indica che la salvazione del liceo classico deve avvenire dal basso e non dall’alto come vanno predicando saccenti Soloni del mondo accademico e ministeriale. La risposta alla crisi dell’istruzione classica è certamente pedagogica, ma anche ideologica per la vision (come direbbero nel Nuovo Mondo) che noi immaginiamo per il nostro paese.
Come ho ricordato sempre sul sussidiario, non bastano iniziative come il processo al liceo classico, la notte bianca del liceo classico, le olimpiadi delle lingue classiche e i numerosi certamina ovvero competizioni di stampo ottocentesco che mirano a valutare giovani traduttori: certamente queste possono offrire un valido e autorevole contributo in una prospettiva scolastica, ma sono monadi in un sistema che ha bisogno di maggiore organicità per raggiungere obiettivi lungimiranti.
Prendiamo, senza alcun intento accusatorio (naturalmente), una recente intervista del professor Stefano Rovinetti Brazzi, docente di greco e latino nel prestigioso Liceo Galvani di Bologna: egli magnifica le sorti progressive di un’iniziativa partita a settembre 2015, 58 ragazzi italiani seguiranno alcune lezioni di lingua (e civiltà?) latina in lingua inglese: “La necessità — spiega il collega al giornalista del Corriere della Sera di Bologna — nasce dalla volontà di preparare gli alunni a sostenere l’esame di latino certificato Igcse presso l’Università di Cambridge. Una certificazione della conoscenza della lingua di cui non esistono corrispettivi in Italia”.
Il collega mostra ancora una volta le conseguenze dell’abitudine italiana di propalare il sensazionalismo (a discapito della serietà) che caratterizza purtroppo certa stampa italiana, anche (e non solo) perché chi opera seriamente, prima ancora di comunicare in maniera efficace, fa — appunto. In Italia esiste la sperimentazione della Certificazione Linguistica Latina promossa dalla Consulta Universitaria degli Studi Latini di cui ho parlato in dettaglio in un altro articolo. E a breve apparirà una “cronistoria” sulle pagine cartacee di Latinitas, rivista curata della Pontificia Academia Latinitatis, istituita con un Motu Proprio da Papa Benedetto XVI nel novembre 2012.
In un’altra intervista rilasciata a OrizzonteScuola, il professor Rovinetti Brazzi dimostra una pecca della sua entusiastica “anglofilia” ut ita dicam. Alla domanda “Pare che in alcune scuole del Regno Unito da quest’anno sarà introdotto lo studio del latino e del greco anche nella scuola primaria. Lei che cosa ne pensa?”, la risposta del docente appare veramente imbarazzante per chi considera la ricetta del latino in salsa britannica un toccasana per la crisi del liceo classico: “Non conosco il progetto nei particolari, ma in linea di massima esprimo un parere favorevole”.
Ma insomma, si guarda a Cambridge perché è sicuramente un nome altisonante e acchiappa-studenti in tempi di calo vorticoso di iscrizioni, e poi non si stenta a saper poco o quasi nulla (nemmeno il nome?) di iniziative meno “porsh” come l’Iris Project di cui accenno in questo articolo. Attualmente sto lavorando a un articolo specifico, dopo che è apparso su Scuola e Didattica di settembre 2015 un contributo dal titolo Dal passato un ritorno? Il latino nella scuola media. Lo segnalo semmai ci fossero almeno 25 lettori interessati ad approfondire.
Non me voglia, in conclusione, il collega di queste puntualizzazioni che vogliono essere costruttive per un dibattito serio al fine di fronteggiare in modo efficace la crisi dell’istruzione classica: si studi di più, ad esempio, le potenzialità del metodo neocomparativo, le tecniche di lettura e le strategie offerte dalla ricerca della Second Language Acquisition; si cerchi di fare amare ai giovani la nostra Italia, guardando con più attenzione in casa, in patria, ciò che di bello e di buono abbiamo fatto al riguardo.