Così Gino Girolomoni concludeva l’editoriale dell’ultimo numero (estate 2011) del periodico Mediterraneo, di cui era direttore: «Non bisogna arrendersi mai e continuare a sperare: non tanto per salvare il mondo, che è una operazione troppo difficile, ma, semplicemente, per non stare dalla parte di quelli che il mondo lo distruggono». Non si è mai arreso e ha sempre sperato. Sabato 17 marzo doveva condurre una tavola rotonda al monastero di Montebello sul tema: “Lazzaro risorto, tra Betania, Magdala e Cipro”. Resterà un simbolico messaggio del suo destino.
Venerdì mattina è stato infatti stroncato da un infarto, una morte imprevedibile e improvvisa, a 65 anni, senza scampo. Del resto ricordando Tullia, morta due anni fa, Gino diceva che “ci sono dei defunti che sono più vivi dei viventi”; ed è questo certo il caso suo. Domenica una folla è accorsa da tutta Italia, stringendosi intorno ai figli, a Samuele, a Giovanni Battista e a Maria, a piangere sulla sua bara, accompagnandolo per l’ultima volta fuori dal monastero, la sua casa, un complesso architettonico imponente restaurato in tanti anni di fatica e di debiti; e solo due anni fa il salone del monastero aveva ospitato la camera ardente di Tullia, la moglie di Gino, custode e protagonista con lui della rinascita di questi luoghi.
Ho conosciuto Gino nel 1977 grazie a una intervista di Franco Cesetti su La voce delle Marche. Non si poteva restare indifferenti a quell’articolo: duramente Girolomoni attaccava Alberto Moravia per il quale tutti i problemi e i guai del mondo contemporaneo avevano origine nella “putrefazione” della società contadina. Gino non poteva accettare quei giudizi: la tradizione rurale e contadina era quella dei padri, era la saggezza di un mondo ricco di conoscenze e capace di esprimere un significato nel lavoro, di vivere un equilibrato rapporto con l’ambiente e il paesaggio. Non era, il suo, un messaggio passatista. Girolomoni aveva capito che dalla tradizione delle comunità di villaggio passava il segreto di un mondo diverso, il testimone di una speranza per il mondo di oggi. Cancellando la tradizione contadina si cancellava anche il fuoco che, sotto la cenere, era l’unica prospettiva per il nostro futuro.
Nel 1978 organizzammo con lui a Sondrio un incontro sul tema: “Per una nuova società rurale”. Fu l’inizio di una storia, di una amicizia e di una serie continua di appuntamenti culturali che ci hanno unito profondamente. Grazie a lui abbiamo avuto modo di capire che il mondo può cambiare, non inseguendo impossibili utopie, ma riconoscendo la realtà per quello che è, per quello a cui è chiamata. Senza risorse, («la scelta di partenza già assurda di per sé e cioè quella di fare investimenti per due miliardi con quarantacinquemila lire di capitale sociale») solo con la passione per la verità, Gino ha riportato la vita sulle colline di Isola del Piano; ma non è stata una strada facile: a vent’anni, già innamorato di Tullia, dovette partire emigrante in Svizzera sul lago di Ginevra, nelle ferrovie della Confederazione, lontano dalla sua gente e dalla sua cultura. Non era il lavoro e il posto per lui e ben presto se ne tornò a casa.
Tra i campi abbandonati dalle famiglie contadine nel secondo dopoguerra, tra le colline destinate a monocolture indifferenti all’ambiente, svettavano tra le alture più alte delle Cesane i ruderi del monastero di Montebello, dove il beato Pietro Gambacorta –insieme a dodici compagni- intraprese la vita eremitica nel 1380, fondando così la Congregazione ei poveri eremiti di san Girolamo e dei Girolamini. Questo luogo fu per Gino il punto di partenza di una avventura durata tutta la vita.
«Durante il cammino verso l’altura mi sono sentito spesso rivolgere molti rimproveri –così in Terre, monti e colline!- sull’assurdità dell’impresa, sulla stoltezza di portare in quella solitudine una famiglia, su come una persona intelligente potesse scegliere di isolarsi così dai contatti con la società, con la cultura, con la normale comunicatività di tutti i giorni. Questi amici, parenti, conoscenti, non sapevano, non potevano immaginare che, in realtà, io non andavo ad isolarmi, ma andavo a cercare di ricominciare daccapo la ricostruzione di un luogo, e riempirlo di significato». In Ritorna la vita sulle colline (Jaca Book, 1980 – Edizioni Il Metauro, 2006) ritroviamo il diario di questi primi anni.
E sarà per la posizione strategica, nel cuore dell’Italia, sarà per il fascino della sua proposta, sta di fatto che l’eremo di Montebello ben presto da eremo si trasforma in polo attrattore di innumerevoli personalità del mondo culturale: da Ivan Illich ad Alex Langer, da Sergio Quinzio (che abiterà diversi anni a Isola del Piano) a Vittorio Messori, da Guido Ceronetti (a Montebello ha festeggiato i 70 e gli 80 anni) a Sante Bagnoli, a Leo Moulin e tanti altri. Oggi, a distanza di quarant’anni da quella prima coraggiosa scelta, Montebello è un esempio, una testimonianza unica. Non solo il monastero è completamente restaurato, l’ultimo tassello è stato il tetto della chiesa della Trinità, completato nell’estate del 2011, ma nei pressi del monastero un grande pastificio produce pasta biologica e ha raddoppiato negli ultimi anni la produzione e le superfici utilizzate, mentre un agriturismo ospita tutti i giorni decine di visitatori, offrendo qualità culinarie difficilmente imitabili. La Valle del falco, l’ampia area di proprietà della Cooperativa Alce Nero, è un vero e proprio eco-museo (nel monastero –tra l’altro- è visitabile una piccola, quanto significativa collezione di oggetti etnografici e archeologici dell’area dei monti delle Cesane) ove protagonisti sono i soci che hanno seguito il fondatore, creando luoghi di ospitalità e segni di una nuova civiltà.
Ai tanti che ricordano in questi giorni, giustamente, il ruolo di Girolomoni nella politica locale e nazionale a difesa e promozione dell’agricoltura biologica (fu sindaco indipendente di Isola del Piano dal 1970 al 1980, collaborò con il movimento Verde, candidandosi per le elezioni europee ed entrando nell’esecutivo nazionale del partito, fu consigliere nazionale dell’associazione ambientalista “L’Umana Dimora”) va ricordato come il collante di questa esperienza, ciò che l’ha fatta crescere è l’esperienza della fede. Una fede incrollabile nel Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, nel fatto storico della rivelazione. Da sempre, ogni settimana, i soci della cooperativa si ritrovano, la sera, a recitare il santo rosario e questo non è un gesto secondario ma un aspetto fondamentale di questa realtà.
Per questo Gino, dopo aver conosciuto Emmanuel Anati ai convegni di Sondrio del 1981 e del 1986 (“La montagna un protagonista nell’Italia degli anni ‘90”), si decise a seguire l’archeologo valorizzatore delle incisioni rupestri della Valcamonica, in un’impresa epica, la spedizione alla ricerca del vero Sinai, Har Karkom. A Girolomoni non bastava la parola rivelata, aveva bisogno di camminare nel deserto seguendo la strada di Mosè e dei profeti, per dialogare direttamente con Dio: aveva ereditato la forza e il coraggio di Federico da Montefeltro, di cui scrisse una memorabile ricostruzione storica, interpretata da Giorgio Albertazzi a Urbino in piazza del Rinascimento, davanti a seimila persone, in occasione del Meeting di Rimini del 1982. Al contrario di quanto forse qualcuno possa pensare, se Gino fosse vissuto al tempo delle crociate non si sarebbe tirato indietro e sarebbe partito per difendere il luoghi santi. Del resto col furore divino di un cavaliere medievale viveva le sue battaglie per l’agricoltura biologica, il lavoro nei campi e la vita quotidiana: incriminato dallo stato perché macinava a pietra il grano o perché spandeva il letame nei campi!
Tre metri di neve quest’anno hanno impedito l’ormai consueto incontro di febbraio, la cena valtellinese che inaugura la stagione dell’agriturismo da alcuni anni a questa parte. Quella serata era anche l’occasione per l’incontro tra due periodici nati dalla stessa attenzione per la storia e la cultura locale, con la stessa convinzione che questo rapporto sia decisivo per una corretta apertura sul mondo: Quaderni Valtellinesi e Mediterraneo. Quest’anno c’era una novità: la gestione dell’agriturismo passava nelle mani dell’amata Maria, la figlia più piccola a cui domenica è toccato di leggere le strazianti parole dell’ultimo addio ma anche le parole di speranza: «verranno giorni duri, molto duri, ma siamo pronti a portare avanti i tuoi ideali».