In Lombardia è stato inventato un nuovo modello di welfare, non assistenziale, ma sussidiario e civile. Premia quello che c’è, ovvero fa sì che i portatori di bisogni e i soggetti fornitori di servizi definiscano insieme le modalità di soddisfacimento dei bisogni stessi. Nel campo della istruzione ne è un esempio la cosiddetta “dote scuola”, che costituirà dal prossimo anno scolastico 2008-2009 un modello per l’intero sistema educativo del Paese. Come funziona? Semplice: la Regione finanzia, a determinate condizioni, lo studente accompagnandolo nel suo percorso scolastico, abbinando diritto allo studio e libertà di scelta educativa.
In concreto, i contributi annuali per lo studente sono di vario tipo e vanno dal sostegno al reddito (un aiuto alla permanenza nel sistema dell’istruzione per gli studenti meno abbienti delle scuole statali) al sostegno alla scelta (un aiuto alla libertà di frequentare le scuole paritarie). Il merito viene premiato con assegni da 500 a 1000 euro agli studenti che ottengono i risultati più brillanti nella scuola secondaria di I e II grado; e si favorisce una formazione personalizzata per gli studenti disabili anche nella scuola paritaria. Il sistema-dote ha il merito, tra le altre cose, di incrociare la richiesta molto diffusa in Lombardia di percorsi di istruzione e formazione professionale triennali a cui accedere dopo la scuola media. Infatti, i ragazzi lombardi di terza media che si sono iscritti a un corso di formazione professionale per il prossimo anno hanno raggiunto il tetto dei 10.000, contro gli 8.400 dello scorso anno. Le loro famiglie riceveranno un valore pari a 4.500 euro se hanno scelto un centro di formazione professionale accreditato e a 2.500 se hanno preferito una struttura pubblica.
La filosofia dello strumento risiede nelle modalità di erogazione: non un rimborso a posteriori, ma un contributo preventivo che in qualche modo sollecita beneficiario e destinatario ad attivarsi per conservarlo. La dote lombarda viene da lontano, ma risulta essere un meccanismo innovativo del welfare nostrano, solitamente inteso come rapporto Stato-società in cui il centro progetta, programma, finanzia ed esegue, cioè produce lui stesso i vari servizi dei quali si reputa in astratto che il cittadino abbia bisogno. Tramontato il welfare assistenziale e statalista, con lo strascico di rottami che conosciamo, confidiamo nella nascita di un nuovo sistema che veda protagonista anzitutto il soggetto che ha, nel caso del giovane, una domanda (ovvero un bisogno) di conoscenza, di istruzione e di educazione. È importante trasferire questi concetti nel campo della scuola dove l’ideologia statalista ha seminato rigidità ordinamentali e mentali (è per esempio difficile uscire dalla logica del valore legale del titolo di studio). La maggiore flessibilità del sistema di istruzione del Paese, da tutti auspicata, ha due condizioni: da una parte un insieme di norme fondamentali chiare e comprensive di varie possibilità formative; dall’altra un insieme di soggetti autonomi e consapevoli della propria identità (scuole autonome, famiglie, individui). Insomma, lo slogan del nuovo welfare scolastico potrebbe essere: a ciascuno il suo percorso (e non più “un qualche lavoro garantito per tutti”). Il sistema-dote ne è sicuramente il primo interessante mattoncino.