Se fosse un romanzo giallo potremmo intitolarlo Arsenico e vecchi batteri. Ieri sera infatti, alle 20 ora italiana, la NASA ha annunciato una scoperta che può avere conseguenze importanti per la ricerca della vita fuori dalla Terra. Un gruppo di ricerca guidato da Felisa Wolfe-Simon, del NASA Astrobiology Institute diretto da Carl Pilcher del celebre Ames Research Center di Moffett Field (California), che lavorava da tempo nell’inospitale ma affascinante ambiente del Mono Lake vicino al parco nazionale di Yosemite, ha scoperto un batterio, chiamato GFAJ-1, che presenta una caratteristica veramente straordinaria: mangia l’arsenico.
Anche se questa è certamente la cosa che a prima vista ci impressiona di più, non è però la più importante. Il concetto di veleno infatti è essenzialmente relativo: molte sostanze che chiamiamo velenose uccidono solo se assunte in certe quantità e non in altre (a volte in dosi appropriate possono addirittura avere effetti curativi). Più in generale, una sostanza risulta velenosa per un organismo se danneggia il suo metabolismo, per cui potrebbe non esserlo affatto per un organismo che abbia un metabolismo differente. L’ossigeno, per esempio (che normalmente non esiste in natura allo stato libero a causa della sua estrema reattività), quando, 2 miliardi di anni fa, cominciò a venir prodotto in dosi massicce dalla prime alghe verdi era a tutti gli effetti un veleno per la grande maggioranza degli organismi, tanto che provocò la più grande estinzione di massa della storia, uccidendo oltre il 90% delle specie allora esistenti in quella che non per niente viene chiamata “la grande crisi dell’ossigeno”. Quelli che sopravvissero tuttavia impararono ad usarlo a proprio vantaggio, al punto che oggi esso è indispensabile a quasi tutte le forme di vita che conosciamo. GFAJ-1 ha fatto sostanzialmente la stessa cosa con l’arsenico: per quanto notevole, dunque, ciò non è radicalmente nuovo, e si conoscevano già altri casi simili, benché rari. La cosa davvero straordinaria è un’altra.
Gli esseri viventi sulla Terra sono, come sappiamo, tutti imparentati e hanno tutti la stessa struttura biochimica fondamentale, basata sul carbonio, a cui si aggiungono come principali componenti idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo e fosforo, che è un componente essenziale dello “scheletro” del DNA e del RNA, della membrana delle cellule e delle molecole di ATP (adenosina trifosfato) che costituiscono il “carburante” delle reazioni metaboliche che avvengono al loro interno.
Ebbene, GFAJ-1 è riuscito a trasformare l’arsenico in un componente primario del suo corpo, usandolo al posto del fosforo, che scarseggia nel particolare ambiente del Mono Lake, un lago che a causa di un prolungato isolamento di oltre 50 anni da fonti di acqua fresca presenta un elevatissimo livello di salinità e alcalinità e, appunto, arsenico in dosi massicce. Si tratta quindi del primo organismo che abbia una composizione biochimica diversa da quella fin qui nota, usualmente denominata CHONSP, dalle iniziali dei suddetti elementi.
Diversamente da quanto scritto erroneamente su alcuni giornali, non si tratta però, come mi ha spiegato la mia amica Rosalba Bonaccorsi, che lavora anche lei come astrobiologa della NASA a Moffett Field, di una mutazione ottenuta in laboratorio, né tantomeno di ingegneria genetica: il gruppo della Wolfe-Simon ha solo dimostrato l’esistenza della mutazione, nutrendo batteri GFAJ-1 prelevati dal Mono Lake con una “zuppa” di sostanze sempre più ricca di arsenico e sempre più povera di fosforo, fino a eliminarlo completamente dalla dieta, e constatando che i batteri sopravvivevano lo stesso senza problemi. Tantomeno si tratta (come pure è stato scritto) di un batterio extraterrestre piovuto qui da chissà dove: GFAJ-1 fa parte a tutti gli effetti della biosfera terrestre, tanto che se ne conosce perfettamente la classificazione (appartiene alla ben nota classe dei Gammaproteobacteria, di cui fanno parte anche diversi agenti patogeni come quello della salmonella, del colera e della fibrosi cistica). Per la “biosfera ombra”, cioè una possibile biosfera “parallela” di origine aliena, ipotizzata tra gli altri anche dal celebre divulgatore scientifico Paul Davies (che proprio sulle ricerche in corso al Mono Lake aveva puntato molto), bisognerà dunque aspettare ancora. Cionondimeno, l’importanza di GFAJ-1 per l’astrobiologia è evidente: esso infatti non solo dimostra una volta di più che la vita, almeno in forme semplici come appunto i batteri, può esistere anche in ambienti in apparenza assolutamente inospitali (cosa che in fondo era ormai un dato acquisito), ma anche, più radicalmente, che la vita può essere basata su una biochimica almeno in parte diversa dallo standard CHONSP. Anche se pure questa medaglia ha il suo rovescio: se infatti la vita si presentasse sotto una gamma di forme molto più ampia e differenziata rispetto a quella che conosciamo, potrebbe essere molto più diffusa del previsto, ma anche molto più difficile da scoprire.