Si apre oggi a Roma, presso l’Ergife Palace Hotel, il XVI Congresso Nazionale della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU), con un fitto programma che spazia dalla genetica dei tumori, ai disordini neurodegenerativi emergenti, alla farmacogenomica, alle genetica delle malattie multifattoriali e altro ancora. Per tracciare un rapido scenario della situazione e delle prospettive più interessanti, Ilsussidiario.net ha incontrato il chairman del Congresso e presidente SIGU, il professore Giovanni Neri, ordinario di Genetica Medica e Direttore dell’Istituto di Genetica Medica dell’Università Cattolica del S. Cuore di Roma.
A che punto sono le conoscenze nella genetica umana? Quali sono i principali aspetti ancora da esplorare?
La genetica umana vive la fase in cui si sta estendendo la conoscenza del genoma, in tutti i suoi aspetti strutturali e funzionali; abbiamo strumenti molto potenti, in primo luogo quello che è chiamato sequenziamento di nuova generazione che permette di analizzare le sequenze di Dna su larga scala, estese a tutto il genoma e per molti individui. Ciò fa aumentare enormemente le nostre conoscenze, insieme a difficoltà di tipo interpretativo: questo nuovo approccio ci mette infatti a disposizione una enorme massa di dati che però vanno filtrati, interpretati e collocati nel loro giusto significato. Contemporaneamente si studia anche la funzione del genoma: non basta conoscere la struttura ma bisogna capire come, quando e dove operano i geni e come sono regolati. C’è tutto un settore, detto trascrittomica, che studia la trascrizione dei geni; e ce n’è uno, chiamato epigenomica, che studia le strutture che modificano il Dna in modo da poterne garantire il corretto funzionamento.
La genetica non è solo un ambito di conoscenze di base: ci sono già conseguenze e applicazioni, ad esempio a livello diagnostico; qui a che punto siamo?
Per la diagnostica metterei l’accento sull’aspetto – del quale si tratterà in una specifica sessione del nostro congresso – che si occupa della diagnosi prenatale non invasiva. È un capitolo nuovo, anche questo aperto grazie alle possibilità offerte dalle tecniche di sequenziamento di cui parlavo. Possiamo infatti andare ad analizzare anche piccole quantità di Dna fetale che si trovano nel sangue materno; per questo tipo di diagnosi prenatale è sufficiente quindi un campione di sangue materno, per questo si chiama non invasiva. Ciò cambia in modo significativo l’approccio alla diagnosi prenatale, che finora richiedeva prelievi o di villi coriali o di amniociti, con qualche rischio per il prosieguo della gravidanza. Si aprono dunque scenari e prospettive interessanti; al momento siamo ancora in una fase che potremmo dire sperimentale, però le tecnologie attuali ci consentono di progredire rapidamente. Poi però, su questi temi dovremo fare considerazioni di carattere non solo tecnico ma anche bioetico, visto che è prevedibile che in tempi brevi questa diagnosi prenatale non invasiva prenderà piede.
C’è poi il versante terapeutico, che suscita molte speranze. Cosa possiamo dire?
Purtroppo la parte terapeutica è quella dove siamo avanzati di meno. Qui si procede più lentamente, anche perché la questione è più complessa. Ci sono, sì, prospettive di terapia genica; ci sono progressi – e ne sentiremo parlare anche nei prossimi giorni al Congresso – ma non così importanti come ci saremmo aspettati una ventina d’anni fa, quando si era più ottimisti circa lo sviluppo del settore. Forse sentiremo qualcosa di più avanzato circa i nuovi farmaci, con l’impiego di molecole mirate al difetto genetico identificato con le tecniche diagnostiche. Qui sono stati fatti i maggiori progressi e c’è da registrare anche l’impegno di qualche grande multinazionale farmaceutica nello sviluppo di nuove molecole o farmaci orfani per il trattamento di malattie genetiche rare. In questo filone ci aspettiamo buoni risultati.
Alcuni nuovi sviluppi applicativi e la spregiudicatezza di certi scienziati suscitano in molti preoccupazioni nei confronti della genetica e delle sue applicazioni soprattutto sugli esseri umani: sono preoccupazioni giustificate?
Intanto direi, in generale, che dobbiamo essere a favore del progresso scientifico, non dobbiamo avere paura delle scoperte e delle nuove conoscenza. L’importante è che ci facciamo guidare del principio che “non tutto quello che è tecnicamente fattibile è anche eticamente giustificato”. Il nostro impegno deve essere quello di applicare le nuove scoperte in modo tale che non venga mai lesa l’integrità e la dignità di ogni singola persona.
È una posizione condivisa?
Questo, come principio, è condiviso ampiamente. Se poi andiamo su temi particolari, come l’utilizzo di cellule staminali embrionali, qui le posizioni divergono e purtroppo non tutti condividono, come io condivido, l’idea che anche il più piccolo embrione abbia la sua dignità personale e che non si debbano usare cellule derivate dal “sacrificio” di un embrione. Ma siamo nel campo delle scelte personali. In ogni caso il pieno rispetto della persona non impedisce per nulla di fare della buona e utile genetica.
(Michele Orioli)