In una sera d’inverno del 2013, ad Ascona in Svizzera, il giurista-filosofo Pietro Barcellona lanciò un grido d’allarme agli intellettuali invitati dalla prestigiosa Fondazione Eranos: «L’ideologia delle neuroscienze ci sta espropriando dell’anima». Detta da un filosofo che era stato deputato del Pci e che aveva vissuto il comunismo come una religione, la frase non poteva cadere nel vuoto. Barcellona era stato invitato a tenere una relazione alla sessione annuale delle “Eranos-JungLectures” che proprio quell’anno avevano per tema “L’anima ai tempi delle neuroscienze”. Fabio Merlini, il presidente della Fondazione, ricorda che il professore abbandonò il testo scritto che aveva preparato e cominciò a parlare a cuore aperto, offrendo ai presenti una testimonianza di vita e di pensiero. Pochi mesi dopo, il 6 settembre 2013, Pietro Barcellona sarebbe morto, logorato da una inarrestabile malattia.
Ma su quelle intuizioni espresse ad Ascona, il filosofo catanese continuò a lavorare fino all’estate realizzando un saggio, L’anima smarrita, che esce postumo per i tipi di Rosenberg&Sellier (2015).
L’intuizione di Barcellona è semplice e drammatica: l’essere umano nel mondo delle neuroscienze è ridotto a un automa, a «un registratore di cassa, connesso via Internet a una contabilità generale», così diventa una «macchina per sopravvivere senza vivere».
L’anima, infatti, è la “porta del mistero”, ma se la azzeriamo escludiamo dall’orizzonte umano le idee stesse di soggettività, libertà e responsabilità, mettendo in discussione lo statuto antropologico.
Barcellona fu appassionato cercatore di un senso della vita e della morte. E si ribellò con tutte le sue energie contro i teorici del post-umano che definiscono quella ricerca una illusione dettata dall’ignoranza. Mentre scriveva le pagine del suo saggio, Barcellona era ormai alle prese col male oscuro che lo avrebbe divorato. Ma anche, e soprattutto, nell’esperienza del dolore cercò un perché: «Il dolore — scrive — è il più grande mistero della nostra condizione, perché lega indissolubilmente la storia di ciascuno al senso dello stare al mondo». La ricerca del senso è legata alla narrazione, senza la quale «il tempo [diviene] una potenza distruttiva». Attraverso la memoria e il racconto, invece, «il tempo diventa tradizione e rapporto fra le generazioni».
Il filosofo siciliano analizza due applicazioni dell’ideologia del post-umano al mondo di oggi: nel campo del diritto e dell’economia finanziaria. L’introduzione della possibilità di utilizzare nei processi penali la diagnostica per immagini e di sostituire le indagini psicologiche sulla personalità dell’imputato con «l’analisi dei flussi sanguigni in rapporto agli stimoli elettrici ricevuti dall’apparato sensoriale» determina una rivoluzione nell’idea stessa del processo: «Colui che prima era il presunto colpevole di un reato di violenza, oggi diviene soltanto un essere socialmente pericoloso ma ‘incolpevole’, da trattare farmacologicamente e talvolta persino chirurgicamente con interventi di modifica della morfologia cerebrale».
Interessanti sono pure le osservazioni che Barcellona ci offre sul potere finanziario che «ha di fatto sequestrato tutta la fede e tutto il futuro»: la banca ha preso il posto della chiesa.
L’analisi di Barcellona tende a svelare i fondamenti metafisici delle neuroscienze, per evidenziarne il carattere ideologico tipico di «chi non tende affatto alla scoperta della verità» ma punta a «raggiungere posizioni di potere, in una società globale in vorticosa trasformazione».
«Gli esseri umani — è, invece, il messaggio di Barcellona — non sono soltanto biologia, non sono neppure soltanto società. Ciò che ciascuno sperimenta nella propria vita è un bisogno di relazione affettiva che trascende le circostanze contingenti, per aprire il nostro stare al mondo al confronto con l’ignoto e l’infinito».
Ciò che più colpisce nel libro è, soprattutto, la testimonianza dell’autore che ci appare come un profeta che sente e si fa partecipe della sofferenza della sua epoca, cercando di indicare la via per salvaguardare l’umano. Saranno proprio i “residui umani” non assimilabili alla visione delle tecnoscienze, secondo Barcellona, «a riaccendere le lucciole di cui Pier Paolo Pasolini aveva decretato la scomparsa».