Gli incontri ravvicinati nello spazio non sono solo eventi da fantascienza cinematografica. Avvengono realmente. Uno accadrà oggi pomeriggio, quando il lander Philae approderà sulla disadorna superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, dopo essersi sganciato dalla sonda Rosetta sulla quale aveva viaggiato per dieci anni.
È una data storica, particolarmente avvertita come tale dalla comunità scientifica europea – la missione Rosetta è targata ESA (Agenzia Spaziale Europea) – e più ancora da quella italiana, che ha avuto un ruolo rilevante in tutta la missione e lo avrà soprattutto oggi, quando il sistema SD2 (Sample Drill&Distribution) con lo speciale “trapano” progettato al Politecnico di Milano affonderà la sua punta penetrante per 20 centimetri sotto la polverosa superficie cometaria.
In attesa di ricevere i primi segnali da quell’ambiente alieno, il pensiero non può non riandare all’altro incontro ravvicinato con una cometa, che i lettori ultra trentenni certamente ricorderanno: quello con il più celebre degli astri con la coda, quella cometa di Halley il cui ritorno periodico ha segnato uno dei primi trionfi della fisica di Newton e che, dopo il passaggio del 1758 preannunciato dal suo allievo Edmund Halley, è tornata a sorvolare la Terra nel 1986.
Allora la missione si chiamava Giotto, in onore dalla cometa dipinta dal pittore toscano nella Cappella degli Scrovegni dopo averne ammirato il passaggio nell’autunno del 1301. Il confronto tra le due missioni, entrambe europee, può essere interessante.
Intanto si tratta di due comete diverse; ma per capirne la diversità bisogna ricordare brevemente cosa sono le comete (anche se proprio missioni come Giotto e Rosetta servono a farci avanzare ancor più nella loro comprensione). Le comete sono – insieme a pianeti, satelliti e asteroidi – dei corpi celesti che popolano il Sistema Solare; per la maggior parte della loro vita sono ben diverse dall’immagine che ne abbiamo: sono infatti degli enormi macigni di materiale roccioso mescolato a gas congelati, acqua, metano, ammoniaca e polvere. Hanno origine nelle parti periferiche del Sistema Solare, in prevalenza nella cosiddetta nube di Oort, da dove partono per attraversare tutto il Sistema fino ad arrivare in prossimità del Sole dove fanno un giro di boa per poi tornare indietro.
È in quest’ultima fase che il materiale ghiacciato vaporizza, formando la chioma (in latino “coma”, quindi cometa) che poi, per effetto del vento solare, viene spinta indietro creando la pittoresca coda. Alcune comete hanno orbite iperboliche o paraboliche, cioè aperte, ma molte hanno orbite ellittiche quindi fanno un percorso periodico, ritornando sui propri passi dopo un certo numero di anni.
La Halley e la 67P sono, ovviamente, entrambe periodiche. Però, la prima si origina nella zona detta Fascia di Kuiper, cioè nella zona ricca di asteroidi e massi cometari posta oltre Nettuno; ha un periodo di 75 anni e il suo prossimo passaggio dalle nostre parti sarà nel 2061.
La 67/P è stata scoperta da Klim Ivanovich Churyumov e Svetlana Ivanovna Gerasimenko nel 1969, è del tipo delle comete dette gioviane, che vengono molto influenzate dal passaggio vicino a Giove. Ha un periodo molto più breve, circa sei anni e mezzo e, nel suo punto di massima vicinanza al Sole dista dalla stella poco più della distanza Terra-Sole. Ha le dimensioni di circa 3,5×4 km e una massa di circa 10 miliardi di tonnellate. La cometa di Halley, dopo le misure fatte dalla missione Giotto, risultava avere un nucleo di circa 7×15 km e una massa di circa 220 miliardi di tonnellate.
Oltre a queste differenze, quello che interessa segnalare oggi è la diversità delle due missioni. Anche se, fatte le debite proporzioni, si deve dire che l’audacia di chi le ha progettate è molto simile, avendo immaginato un’avventura che porta simbolicamente tutta l’umanità a varcare una frontiera estrema: questa volta addirittura a toccare con mano la cometa; o almeno con una protesi di una mano, comunque con un prodotto dell’ingegno e dell’abilità umana.
Cosa era successo invece nel 1986? La sonda Giotto si è avvicinata alla Halley fino a una distanza di circa 600 km dal nucleo facendo un flyby, cioè un volo ravvicinato, a una velocità di 244.800 km/h. Per la prima volta è stato fotografato da vicino il nucleo cometario e si è potuto constatare che solo il 10% della superficie della cometa è attivo, cioè emette getti di gas che vanno a formare la chioma e la coda.
Ma cosa succederà oggi? Non sarà solo un flyby e ci sarà un vero e proprio contatto. Le operazioni sono programmate nei minimi dettagli e l’ESA ha diramato una puntuale scaletta delle fasi di “accometaggio” di Philae. Il lander si sgancerà dalla sonda Rosetta alle 10:03 (ora italiana); in quel momento la sonda sarà a 22,5 km dal nucleo della cometa e a 511 milioni di km dalla Terra e viaggerà a una velocità (relativa al Sole) di 64.800 km/h. In quelle condizioni, i segnali inviata dalla sonda impiegano 28 minuti e 20 secondi ad arrivare fino a noi.
Durante le sette ore della discesa, verranno condotte alcune attività quali: la ripresa di immagini sempre più ravvicinate della zona di aggancio, le misura della gravità, del campo magnetico, della polvere e del plasma. Alle 17:02 il fatidico “touch down”: il lander Philae toccherà il suolo e si aggancerà stabilmente. Poi inizieranno altre attività, tra le quali subito una ripresa del panorama cometario: saranno immagini storiche, paragonabili per valore e simbolo a quelle immortalate da Armstrong e Aldrin durante la prima passeggiata lunare. Alle 20:03 si chiuderà la prima “finestra” di comunicazione tra il lander e l’orbiter.
E se per le citate missioni precedenti c’erano dirette televisive, più o meno in bianco e nero, oggi ci saranno una varietà di possibilità di rendere “popolare” l’evento: dal centro ESA di Darmstadt, cioè dalla sede di ESOC dove si trova la sala di controllo della missione, tutto sarà trasmesso instreaming; poi ci saranno le dirette dai vari canali TV; e soprattutto ci saranno i social network e i blog, che faranno rimbalzare sulla rete mondiale notizie, immagini, commenti: da vivere in tempo reale e da “salvare” negli archivi dei nostri computer e della nostra memoria.