Il 28 luglio 1914 non è solo la data della dichiarazione di guerra dell’Austria-Ungheria alla Serbia e, dunque, dell’inizio della prima guerra mondiale, ma quella di avvio delle “mobilitazioni” generali delle potenze europee, concetto che, proprio a partire dalla Grande Guerra, non sarà più solo militare.
Di per sé, il concetto di mobilitazione corrisponde a una prassi che si riscontra parallelamente alla storia di quasi tutte le guerre, sin dall’antichità e che indica il coinvolgimento di tutta una nazione (città stato o popolo-nazione) nelle iniziative e opere di difesa. Ciò era particolarmente evidente quando una comunità o più comunità legate tra loro erano minacciate nella loro stessa esistenza, come avvenne, per esempio, nelle guerre greco-persiane o in quelle puniche, che videro la partecipazione attiva di tutta la popolazione civile, finanche dei suoi strati più emarginati, se è vero, come racconta Livio, che, dopo la catastrofe di Canne, i romani arrivarono ad arruolare anche gli schiavi, mentre tutta la popolazione incapace di portare le armi cooperava nella costruzione o nel rafforzamento delle difese della città.
Successivamente, con la nascita delle prime forme antiche di stato-impero ad ampia estensione territoriale, furono gli eserciti permanenti a gestire lo stato di guerra, mentre il grosso della popolazione, quando non si trovasse sulla linea di scontro militare, rimaneva sostanzialmente ai margini, venendo al più toccato dagli aspetti finanziari (aumento delle tasse, raccolta di viveri e mezzi).
L’epoca moderna conosce forme di guerra che coinvolgono non solo, come ovvio, lo strumento militare e quello finanziario, ma anche l’uso della propaganda, come nel caso del conflitto tra Regno di Inghilterra e Spagna sotto Filippo II, che vide, non a caso, la nascita della cosiddetta “leggenda nera” sulla Spagna cattolica.
Una prima svolta radicale avviene con le guerre napoleoniche, presentate come esportazione della rivoluzione e cioè con una copertura ideologica secondo un modello che, in seguito accompagna, per esempio, le guerre di indipendenza italiane. La popolazione, peraltro, ancora una volta, quando non fosse residente direttamente sul teatro di guerra, era coinvolta principalmente sul piano della coscrizione obbligatoria e dell’esazione fiscale.
È la prima guerra mondiale a segnare, invece, una vera e propria rivoluzione nel concetto e nella prassi della “mobilitazione”, che non è più solo “generale”, ma realmente “totale”. Il senso più immediato e ovvio di questo nuovo concetto può essere ritrovato nella cosiddetta “Dottrina Ludendorff”: gli uomini validi in trincea, il resto nella popolazione nelle fabbriche, nei campi, nell’assistenza ospedaliera, nei servizi pubblici. Si tratta del tentativo di far coincidere mobilitazione militare e civile, qualcosa che, peraltro, richiede ormai molto più della semplice e sola partecipazione agli sforzi materiali della nazione.
La mobilitazione civile diviene anche e sempre di più astensione da ciò che può mettere in questione lo sforzo militare, accettazione piena di quanto disposto dalle autorità, rinuncia alle usuali libertà individuali, prima di tutto quelle di opinione e di espressione, e questo per intimo autoconvincimento di essere dalla parte del giusto, più ancora che per strumenti coercitivi esterni.
Da questo punto di vista la mobilitazione è totale perché fa venir meno ogni residua distinzione tra stato, società e individuo. Il concetto si trova magnificamente espresso in un breve saggio di Ernst Jünger, eroe della Grande Guerra, romanziere e filosofo, intitolato, appunto: “La mobilitazione totale” (Die totale Mobilmachung, 1930), dove quest’ultima è definita «non come una misura da eseguire, ma qualcosa che si compie da sé; essa è, in guerra e in pace, l’espressione della legge misteriosa e inesorabile a cui ci consegna l’età delle masse e delle macchine». Per Jünger, il «lato tecnico» della mobilitazione – quello militare, industriale, finanziario − «non è quello decisivo. Il suo vero presupposto si trova, come il presupposto di ogni tecnica, a un livello più profondo, che possiamo chiamare disponibilità alla mobilitazione». E, ripensando alla Grande Guerra, Jünger constata: «Questa disponibilità era presente in tutti i paesi; la Guerra mondiale è stata una delle guerre più popolari che la storia abbia conosciuto».
Ora, la capacità di accendere e rafforzare questa disponibilità e, dunque, di procedere a una mobilitazione realmente “totale” è propria più delle democrazie industriali e liberali occidentali che dei sistemi misti, come erano la Prussia o l’Impero Austro-Ungarico, stati in cui «l’universo delle forme medievali continuava a condurre una sua esistenza spettrale». Tale “disponibilità” assume, infatti, aspetti quasi religiosi, propri, cioè, della nuova religione civile del progresso e della democrazia. Non a caso «negli Stati Uniti, paese dal regime costituzionale democratico, la mobilitazione poté procedere con misure di una drasticità che era risultata impossibile in uno Stato militare come la Prussia». Era il 1930 e Jünger, in piena crisi della Repubblica di Weimar, rifletteva sulle ragioni della sconfitta tedesca, mettendo in secondo piano non solo le giustificazioni storiche e giuridiche, ma anche l’impegno e il coraggio degli individui − cosa che non doveva certo riuscire né facile né spontanea all’ultimo decorato “Pour le Mérite” della storia militare prussiana −, per cogliere un mutamento, una rivoluzione senza precedenti, che avrebbe mostrato di lì a pochi anni, con la seconda guerra mondiale, la sua dimensione più tragica.
Alla mobilitazione totale corrisponde, difatti, la guerra totale, vale a dire non più solo lo scontro diretto con l’esercito nemico, ma la distruzione di quanto lo supporta in qualche modo, dunque della stessa popolazione nemica. Anche su questo Jünger aveva visto lontano e, ripensando ai primi bombardamenti della Grande Guerra, scriveva: «Il comandante di una squadriglia aerea che a notte fonda impartisce l’ordine di bombardare, non fa più alcuna distinzione tra militari e civili, e la nuvola di gas letale passa come un’ombra su ogni forma di vita». Guernica, Coventry, Dresda, Hiroshima sarebbero state, di lì a poco, alcune delle attuazioni pratiche di questa nuova dottrina militare.