La recente, drammatica esplosione dell’aereo russo in volo ad alta quota sul Sinai, e le congetture che ne sono scaturite sulla non improbabile origine dolosa dell’incidente, hanno riportato all’attenzione generale un problema che assilla da molti anni governi, autorità aeroportuali e compagnie aeree, oltre che a insinuare un sottile timore in qualsiasi persona salga su un aeroplano di linea. A cosa serve infatti aver sviluppato velivoli tecnologicamente sempre più sicuri e affidabili, che “statisticamente” non si guastano (quasi) mai, a cosa serve sottoporre i passeggeri ad estenuanti e fastidiosi controlli pre-volo, se poi esiste sempre la possibilità che un terrorista suicida si introduca a bordo con qualche carica esplosiva abilmente nascosta, o una incontrollabile rete di complicità a terra permetta che venga caricato un bagaglio “avvelenato” da qualche ordigno esplosivo?
C’è la possibilità che alle già sofisticatissime tecnologie utilizzate nel costruire gli aeroplani e nel condurre i controlli a terra, si affianchi qualche altra “diavoleria” tecnica che faccia da estremo scudo nel caso in cui un ordigno sia stato in qualche modo introdotto a bordo ed esploda?
Ebbene, a dimostrazione che l’impossibile quasi più non esiste in campo tecnologico – se i problemi vengono affrontati con sistematicità e le opportune risorse economiche e umane vengono dedicate al loro affronto – stanno i risultati finora ottenuti nei progetti di ricerca denominati Fly-Bag e Fly-Bag 2, finanziati dalla Commissione Europea, che hanno aperto degli spiragli molto interessanti e danno buone speranza che tali “scudi” in un futuro prossimo possano effettivamente divenire di uso pratico e comune.
La cosa più strana e incredibile è che non si tratterà di pesanti corazzature (ovviamente improponibili su un aeroplano, per questioni di peso e ingombro), ma di leggeri e sottili involucri, chiudibili rapidamente con una sorta di speciali “zip”, nei quali verranno inseriti i bagagli o anche i container standard nei quali essi vengono stivati nella “pancia” degli aerei.
Il segreto della loro capacità di neutralizzare gli effetti dell’esplosione di una bomba sta in una particolare struttura a quattro strati, spessa solamente 1,3 mm, composta di materiali tessili molto resistenti (kevlar e similari) e allo stesso tempo elastici, più uno strato di rivestimento interno di materiale speciale, che sono in grado di annullare i quattro principali effetti di una esplosione: l’onda d’urto provocata dallo scoppio (si propaga a velocità ipersonica); la palla di fuoco dei gas (può arrivare a temperature dell’ordine dei 3.000 °C); la sovrapressione prodotta dall’espansione dei gas; e l’impatto dei frammenti, specie quelli metallici, prodotti dallo smembramento degli oggetti contenuti nei bagagli.
Nel programma Fly-Bag sono stati messi a punto i concetti di base di questa tecnologia e condotti i primi esperimenti; mentre nella seconda fase, Fly-Bag 2, sono state eseguite prove a terra in condizioni realistiche, su fusoliere di vecchi aeroplani ormai fuori servizio. Tali prove, condotte aumentando gradualmente le quantità di esplosivo inserite in un carico tipico di bagagli, hanno permesso di dimostrare che gli involucri FlyBag sono in grado assorbire, senza conseguenze per le strutture dell’aeroplano, la detonazione di quantità moderate di esplosivo, cioè quelle che tipicamente è possibile che in qualche caso possano sfuggire ai normali controlli del carico.
Certamente niente è in grado di resistere ai 20 kg di esplosivo che teoricamente si potrebbero caricare in una grossa valigia, ma l’esperienza ha dimostrato che ne bastano molto meno per far precipitare anche un grosso aeroplano. Per esempio nel tragico e famoso abbattimento del Boeing 747 di Lockerbie (1988) fu appurato che l’esplosivo era meno di mezzo chilo; e anche nei più recenti (2010) tentativi di attacco al corriere aereo internazionale UPS, mediante ordigni abilmente nascosti in pacchi spediti dallo Yemen, l’esplosivo era poche centinaia di grammi.
In sostanza le ricerche sono giunte al punto in cui il concetto della FlyBag ha già dimostrato la sua validità di base e si sta passando alla ulteriore fase di ingegnerizzazione, tramite anche una società di spin-out denominata Blastech. A questa fase partecipano anche due soggetti italiani: la compagnia aerea Meridiana che ha messo a disposizione le sue strutture per verificare dal vivo l’impatto dell’utilizzo delle FlyBag sulle normali operazione di handling dei bagagli e la società di consulenza D’Appolonia in funzione di coordinatore del progetto.
Il lettore si potrebbe chiedere, a questo punto, se questa tecnologia potrà essere utile anche nel caso in cui un malintenzionato sia in qualche modo riuscito a portare a bordo un ordigno esplosivo. Mentre è evidentemente poco pratico pensare che tutti i passeggeri siano obbligati a infilare i loro bagagli a mano in piccoli “sacchetti” FlyBag (ma la procedura potrebbe essere accettabile su certe rotte a rischio), è realistico ipotizzare che almeno una FlyBag venga messa in dotazione di ogni aeroplano, in modo da neutralizzare eventuali ordigni che fossero scoperti durante il volo. In questo senso le ricerche stanno continuando allo scopo di sviluppare e testare versioni “da cabina” del dispositivo, di uso pratico e di costo limitato.