Stiamo assistendo a un processo di mescolanza tra i popoli di eccezionale portata. Vere e proprie migrazioni sono in atto dal sud verso il nord del mondo, da un continente all’altro, tra nazioni di uno stesso continente. Sia chiaro: mescolanze e migrazioni sono sempre avvenute nella storia dei popoli. Ma quello che in altre epoche si diluiva in tempi lunghi, si concentra ai nostri giorni nell’arco di pochi decenni. Si può dire che vi assistiamo in presa diretta, con tutte le fibrillazioni che i movimenti di massa contemporanei arrecano nelle aree di destinazione, l’Europa in primo luogo.
Soprattutto con i processi di decolonizzazione che hanno interessato l’Asia negli anni ‘60, quindi l’Africa nel ’70, per accelerarsi ulteriormente negli anni ’90 con la fine del comunismo come lo abbiamo conosciuto, la pressione sulle frontiere non ha fatto che crescere. Non è più una profezia da visionari affermare che il meticciamento su grande scala è iniziato e resterà nel futuro dell’Europa per molto tempo.
L’America Latina ha conosciuto un momento simile nel suo passato. La storia della scoperta e della conquista del Nuovo Mondo annovera una letteratura che a differenza di altri avvenimenti di portata storica che la precedono – affidati ad una trasmissione prevalentemente orale – si avvale di documenti scritti dagli stessi protagonisti che l’hanno realizzata. Gli studi successivi alla scoperta non si sono mai interrotti, basti citare, tra i più autorevoli, quelli di Dumond, Chaunu, Madariaga, Miralles, Hugs, Martínez, Chevalier, Portillo y Dawson.
La grande migrazione proveniente da Castilla che nel XV secolo ha investito popolazioni indigene stanziali e si è mescolata con esse, si è prodotta in un momento determinato della storia sotto la spinta di un accumulo di circostanze propizie: la penisola iberica che rompe l’assedio dei musulmani, la ricerca di prodotti di valore chiamati spezie che aveva già dato luogo ad incursioni portoghesi e olandesi in oriente, lo sviluppo della tecnologia marittima che permetteva larghe navigazioni, una cultura cattolica di base che postulava l’universale riconduzione degli uomini e della storia nel Regno di Dio. Questi, per sommi capi, gli ingredienti del retroterrra culturale che ha dato luogo alla scoperta e alla successiva occupazione del Nuovo Mondo.
Sulle navi che affrontano l’oceano viaggia una avanguardia di uomini che cerca fortuna, ricchezze e gloria, trasportando il germe di una civilizzazione formatasi nel bacino del mediterraneo dalla trasformazione della cultura greco-romana operata del cristianesimo. I migranti di allora approdarono in terre di cui solo si supponeva l’esistenza, abitate da popolazioni organizzate su base locale o regni più vasti consolidati su base teocratica.
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Lo scontro tra le due ecumeni è stato drammatico e sulle rovine delle seconde – quelle incas e azteca essendo le più consolidate – sorge una sintesi antropologica nuova. Un meticciato unico nella storia sino a quel momento, giacchè niente di simile era avvenuto ad altre latitudini, pensiamo all’oriente, e che non avverrà neppure negli anni a seguire, pensiamo all’Africa (apartheid), e all’America del Nord (trapianto europeo).
La Chiesa ha colto con tutta positività questa sintesi nascente, che ha impresso all’America latina l’indole di fondo che conosciamo. Tutti i summit, sin dal primo di Rio de Janeiro nel 1955, passando per Medellín (1968), Puebla (1979), Santo Domingo (1992) in occasione dei 500 anni dalla scoperta, fino all’ultima conferenza generale dell’episcopato latinoamericano aperta da Benedetto XVI in Brasile nel 2007, non hanno mai mancato di sottolineare il “peculiare processo di meticciamento” che ha dato al continente latinoamericano una “singolare identità” e una “indole originale”.
Su quella fondamentale sintesi antropologica sono avvenuti innesti successivi. La componente negra, fondamentale in Brasile e nei Caraibi, la corrente migratoria europea a cavallo del Novecento e quella sucessiva siro-libanese si sono prontamente latinoamericanizzate, come pure la più recente, proveniente dall’oriente, con particolare vigore dalla Cina continentale. Non è detto che sarà così con l’emigrazione dai paesi musulmani, ma essa è ancora incipiente in America latina e non smentisce la tendenza di fondo sin qui delineata.
Occorre anche menzionare, per completezza di analisi, i movimenti migratori interni tra paesi dell’America Latina. Le odierne città del Sudamerica sono sempre più multietniche. I boliviani, a migliaia, colorano le città argentine, al nord come al sud; le feste nazionali di paraguayani, emigrati a migliaia oltreconfine, sono oramai parte del panorama di metropoli come Buenos Aires. Sono migrazioni “omogenee” con le culture in cui trovano approdo.
I problemi posti dal rimescolamento cui assistiamo in presa diretta sono enormi: di integrazione nelle economie locali, di sicurezza, di godimento di diritti primari come l’assistenza sanitaria, di estensione dei servizi sociali alle moltitudini dei nuovi arrivati. Ma anche così non è in discussione una sostanziale accettazione del processo di mescolamento.
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Il “sostrato fondamentale” del primo grande meticciamento, quel “sui generis” che ha costruito la fisionomia essenziale dell’uomo latinoamericano, è portatore di un sentimento diffuso di solidarietà, di sollecitudine verso il bisogno dei propri simili, di soccorso all’indigenza, di reazione al dolore e alla sofferenza, propri della cultura cattolica. Questo fa sì che le nuove migrazioni trovino una sostanziale comprensione e tolleranza.
Dove il cattolicesimo ha permeato la vita degli uomini l’accoglienza è più condivisa, la discriminazione è considerata un disvalore, la difesa degli egoismi – che pur esiste – è più facilmente bandita nella stima sociale. Per questo il nuovo mondo nato da un gigantesco meticciamento può insegnare molto al vecchio, alle prese con l’inevitabile e gigantesco rimescolamento che si sta producendo sul suo territorio.