Che sia o meno un grande bluff, l’australopiteco Lucy scoperto 41 anni fa aveva delle caratteristiche fisiche che lo rendevano speciale agli occhi degli studiosi se rapportato alla specie umana. Uno degli aspetti più curiosi riguardava l’alimentazione e di conseguenza la conformazione fisica di Lucy: questa infatti aveva il torso a forma di cono, un dato in comune con gorilla e scimpanzé che consente a queste specie di disporre di maggiore spazio per l’apparato dirigente e in particolare per l’intestino che bisogno di essere più sviluppato in lunghezza per assimilare maggiori quantità di vegetali. Ma di cosa si cibava Lucy in particolare? Soprattutto delle parti tenere delle piante, alimenti che facilitavano in questo caso il rafforzamento e lo sviluppo della mandibola: caratteristica andata perduta con il cambio di dieta da parte degli umani.
Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si trova in Africa per dei viaggi diplomatici e ne ha approfittato per una visita in museo di Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia. Obama si è recato insieme al suo numeroso seguito di guardie di colpo nella galleria che ospita i resti di Lucy, lo scheletro più famoso e importante al mondo. I resti infatti sono quelli di un australopiteco antenato dell’homo sapiens vissuto 3,2 milioni di anni fa e scoperto proprio in Etiopia nel 1974 da dei ricercatori americani. Per la prima volta in anni le ossa sono state mostrate senza protezioni nè vetri e così Obama ha potuto anche toccare lo scheletro, un’occasione concessagli in maniera speciale dal presidente etiope. Al momento Lucy resterà nel museo nazionale di Addis Abeba ma sicuramente per la nuova riapertura al pubblico saranno aggiunte delle coperture alle preziose osse che quarant’anni fa hanno permesso l’incredibile scoperta. Intanto Obama prosegue il suo viaggio nell’Africa orientale, una visita che assume ancora maggior valore dopo i fatti di Parigi. Comunque il presidente degli USA ha trovato il tempo per fare una visita a Lucy e toccare con mano una delle più grandi scoperte dell’umanità.
Nel giorno in cui in tutto il mondo viene celebrato il 41esimo anniversario della scoperta dell’Australopiteco Lucy, bisogna accogliere con rimpianto la scomparsa dell’archeologo israeliano Yoram Tsafrir, studioso che in ambiti certamente differenti rispetto alla paleontologia, seppe offrire il proprio contributo all’accrescimento delle conoscenze collettive, occupandosi in particolare delle antichità della biblica Terra Promessa. Tsafrir, morto a 77 anni in un ospedale di Gerusalemme, era professore emerito presso l’Università Ebraica di Gerusalemme e dal 2001 al 2007 era stato direttore della Biblioteca Nazionale d’Israele. Tsafrir, archeologo apprezzato universalmente, durante la propria carriera si era anche occupato dello studio delle sinagoghe antiche nonché della Palestina in età bizantina e delle dominazione romana.
L’ominide più celebre al mondo, ovvero il primo fossile di afarensis ritrovato della storia – si proprio lei, la leggendaria Lucy – viene studiato ormai da tantissimi anni, fin dalla sua scoperta 41 anni fa. Tra i vari misteri ancora non svelati si situa certamente la causa della morte di quel particolare individuo: molto difficile stabilirlo data l’ampissima antichità delle ossa anche se non mancano le ipotesi. La più concreta riguarda una osservazione del luogo del ritrovamento: Lucy fu trovata infatti insieme ai resti sparsi di altri 13 componenti del branco, dunque si è azzardato l’idea che il gruppo possa essere morto per una improvvisa catastrofe naturale, un alluvione o un meteorite. Importante a prescindere questo fatto anche perché dimostrerebbe come già in quel lasso di tempo preistorico gli omonimi vivessero in un gruppo organizzato. E l’età della morte? Circa 18 anni sembrerebbe dagli studi riportati dai collegi di Focus, ma non fatevi sorprendere dalla media bassissima anche perché è stato stimato che l’aspettativa di vita in quel tempo era di circa 25 anni. Insomma, Lucy si potrebbe dire una donna “in là con l’età”.
La diatriba tra evoluzionisti e creazionisti sulla vicenda dell’australopiteco Lucy rimane aperta fin dal suo ritrovamento 41 anni fa di cui tra l’altro oggi si può vedere dal logo di Google che campeggia in ogni ricerca che effettuate (tutti i dettagli a qui a fondo pagina). La vicenda rimane aperta anche perché vari studiosi hanno poi nel corso degli anni presentato vari studi che riguardano le evoluzioni della specie Afarensis nel corso dei secoli successivi alla vita dell’ominide Lucy, ideale simbolo della specie pre homo erectus. Secondo i professori che si sono succeduti nello studio, alcuni Aferensis si sono evoluti in scimmie, avendo scelto una dieta vegetariana sviluppando denti robusti e ingrandendosi come massa corporea. Mentre altri, come ricorda il professor Johanson, preferirono una dieta onnivora, ricca di carne: «mandibole e denti così dovettero masticare di meno (la carne nutro di più delle verdure, ovviamente) e dunque rimpicciolirono di corpo ma crebbe la scatola cranica e con essa il cervello». Insomma, questione apertissima con anche la spiegazione che non tutti accettano chiaramente di come si è evoluta Lucy. Una cosa è certa, il fatto che si astata ritrovata è un aiuto in più e non in meno sulla comprensione di quali origini abbiamo come specie.
Perché Lucy venne chiamata così? I paleontologi scelsero questo nome prendendo spunto dalla canzone che veniva ascoltata maggiormente nell’accampamento vicino allo scavo, ovvero “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles. Il brano è del 1967 e fa parte dell’ottavo album della celebre band inglese, “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. In amarico invece, la lingua ufficiale dell’Etiopia, Lucy è più conosciuta come “Dinqinesh” che significa “Tu sei meravigliosa”. Clicca qui per vedere il video della canzone dei beatles “Lucy in the Sky with Diamonds”.
Il ritrovamento dell’australopiteco Lucy è stato frutto della dedizione degli studiosi ma anche, come molte delle più grandi scoperte dell’uomo, frutto del caso. Infatti quel giorno Johanson, il giovane paleoantropologo del Museo di Cleveland che era a capo della campagna di scavi, aveva del lavoro arretrato, doveva catalogare fossili, redigere relazioni, scrivere lettere ai musei, insomma rimanere all’accampamento tutto il giorno senza scavare. Mentre sta bevendo il suo caffè per prepararsi al lavoro Johanson viene avvicinato da un collega, Tom Gray che non riesce a individuare sulla cartina un sito, il sito 162 e chiede aiuto a Johanson. Insieme partono a bordo di una Land Rover alla ricerca del sito. Il panorama che hanno davanti è quasi un panorama lunare, non ci sono alberi ma solo rilievi di terra secca ferita da innumerevoli crepe. In quelle zone non piove quasi mai e quando lo fa il terreno non riesce ad assorbire l’acqua che scorre velocemente grattando i sedimenti, proprio grazie a questi fenomeni atmosferici è possibile vedere riaffiorare i fossili. Quando Gray e Johanson arrivano sul sito 162 è da poco l’alba, il momento migliore per cercare i fossili perché la luce del sole colpisce il terreno quasi di lato. I due cominciano a cercare, ma la ricerca non è semplice perché le ossa degli ominidi sono piccole, visto che la statura di quegli antenati dell’uomo superava di poco il metro, e spesso frammentate. I due studiosi camminano ricurvi cercando di cogliere ogni dettaglio del terreno. Nella prima mattinata trovano alcuni denti fossili di antilopi preistoriche, altri di cavalli preistorici simili a zebre, anche una mandibola di scimmia di 3milioni di anni fa, ma nessun resto di ominide. A mezzogiorno, quando il sole è alto e il caldo fa girare la testa, i due decidono di rientrare all’accampamento, ma Johanson ha un’intuizione: invece di tornare in linea retta verso il fuoristrada decide di fare una deviazione e di passare in una piccola gola poco distante. Non lo sa ma Lucy è proprio lì da oltre 3milioni di anni. I due percorrono la gola, passano anche vicino al fossile, ma non lo vedono. Stanno per andarsene quando girando lo sguardo Johanson scorge qualcosa che emerge e sembra un osso di un braccio. Guardano intorno e si vedono circondati da piccole ossa che non avevano visto prima. Il ritorno all’accampamento avviene a tutta velocità con il clacson premuto a più non posso, gli altri membri dell’accampamento quando li vedono arrivare si fermano increduli. Il resto del pomeriggio sono tutti lì attorno alle ossa di Lucy, ogni frammento viene esaminato, fotografato e viene descritta con cura la sua posizione. I frammenti sono centinaia e ci vorranno tre settimane solo per ricomporre lo scheletro, il più antico e completo mai ritrovato.
Lucy era alta 1,07 metri, non particolarmente alta, dunque, e il suo peso doveva oscillare dai 29 ai 45 chilogrammi. Il suo aspetto doveva essere un punto di incontro tra l’uomo e la scimmia, visto che dall’esame dello scheletro è emersa una dentatura del tutto simile a quella umana mentre la conformazione del resto del cranio era più simile alle scimmie che all’uomo. Soprattutto, il cervello, aveva una ridotta capacità rispetto all’uomo, sicuramente al di sotto dei 500 centimetri cubi. Sappiamo poco della sua vita, ma molto della sua morte. Lucy morì probabilmente per sfinimento sulle rive della palude e il suo corpo sfuggì miracolosamente ai tanti predatori che infestavano quelle zone. Il suo corpo fu così integralmente sommerso dal fango e si fossilizzò nel corso dei millenni diventando una roccia.
Il clima è una delle principali tematiche nell’agenda degli ultimi anni visto che i suoi cambiamenti influenzano da vicino la vita del pianeta influendo tra l’altro anche sui fossili ritrovati, come il più celebre di tutti Lucy, l’Australopiteco ominide su cui qui sotto trovate tutte le specifiche. Questa stretta connessione tra l’evoluzione del clima e quella umana è stata studiata anche dal paleoantropologo francese Yves Coppens, che l’ha spiegata così in un’intervista a Ilsussidiario. net: “Dalle mie ricerche posso affermare che l’emergere dell’uomo è fortemente connesso ai cambiamenti climatici. Nelle indagini che ho svolto dopo il ritrovamento di Lucy, nella zona del fiume Omo, ai confini del Kenia, ho potuto rilevare molti indizi delle trasformazioni del clima; un clima che, tre milioni di anni fa, stava passando da molto umido a secco. Questo mutamento induceva cambiamenti negli animali, che dovevano adattare alla nuova situazione il loro modo di muoversi, di correre, di cibarsi. Un cambiamento significativo e misurabile riguarda le piante; riusciamo infatti a calcolare un indicatore del rapporto tra piante e arbusti: ebbene, tra i tre e i due milioni di anni fa tale rapporto crolla drasticamente e ciò avviene in concomitanza con lo sviluppo delle componenti cerebrali degli ominidi, quindi con l’apparizione dell’uomo che a me sembra quindi preparata dal contesto ambientale, quasi fosse una risposta alla nuova situazione”. Clicca qui per leggere tutta l’intervista.
Colui che per primo vide luccicare nel terreno le ossa di Lucy fu l’americano Tom Gray. All’epoca del ritrovamento era uno studente della scuola di specializzazione che si era recato con la spedizione ad Hadar per studiare gli animali e le piante fossili della regione, per ricostruirne le varie tipologie e desumere il possibile clima nel quale si erano sviluppate. Si trovava in compagnia di Donald Johanson quando vide sporgere dal terreno un gomito di ominide. La loro maggiore sorpresa, però, fu quella di rendersi conto che insieme a quell’osso c’era anche il femore, le vertebre e le costole, tutte appartenenti al medesimo individuo: un insieme eccezionale che ha reso grande la loro scoperta e ha restituito al mondo le fattezze dell’antenata Lucy.
L’Australopiteco più famoso della storia, Lucy, è stato rinvenuto il 30 novembre 1974, ad Afar, una città dell’Etiopia a 150 chilometri a nord di Addis Abeba nota per essere una delle zone più prolifiche di ritrovamenti fossili di ominidi. I paleontologi Yves Coppens, Donald Johanson, Maurice Taieb e Tom Gray ritrovarono Lucy, un esemplare femmina di Australopiteco Afarensis che dalla conformazione ossea doveva avere approssimativamente venticinque anni quando è deceduta. Lucy, chiamata così in onore del pezzo dei Beatles Lucy in the Sky with Diamonds che allietò la festa al campo base la sera del ritrovamento, visse 3,2 milioni di anni fa. Il suo ritrovamento è straordinario perché si tratta di un esemplare appartenente ad una specie che, con molta probabilità, aveva abbandonato la posizione quadrupede delle scimmie per diventare bipede. Questo è stato possibile stabilirlo dall’esame dell’osso pelvico, del femore e della tibia la cui conformazione è compatibile con la posizione eretta. Fu dunque proprio lei la prima bipede della storia? O quanto meno la sua specie? Dopo 41 anni siamo ancora qui a chiedercelo e perciò le prove non sono ancora schiaccianti, tant’è rimane una delle scoperte che ancora nel 2015 consente studi e importanti passi avanti nelle scienze, e questo non è poco.
Sono davvero in tanti i protagonisti di una scoperta che ha davvero cambiato la storia della scienza umana: con il ritrovamento dell’Australopiteco Lucy avvenuto 41 anni fa sono parecchi i professori, paleontologi e semplici geologici a cui si deve quell’importante passo avanti della scienza e della società, con un aiuto decisivo nel nostro comprendere come fosse la preistoria. Maurice Taieb ad esempio, nato in Francia nel 1935, è geologo e paleoantropologo e a lui si deve il merito della scoperta della formazioni fossili di Afar, di cui aveva subito sottolineato l’importanza dando vita all’International Afar Research Expedition, la spedizione che ha dato modo a Donald Johanson di riportare alla luce il fossile di Lucy. Taieb ha iniziato la sua esplorazione della zona di Afar nel 1966 con un Landrover e un mulo, per giungere nel 1968 a perlustrare Hadar, dove ha rinvenuto i primi fossili. Attualmente è direttore della ricerca al Centro Nazionale di Ricerca Scientifica, al Centro Europeo di Ricerca e al Centro Europeo di Ricerca e di Insegnamento della Geo-scienza dell’Ambiente di Aix-en-Provence.
Anche il nome di Yves Coppens è legato alla scoperta di “Lucy”, poiché il paleontologo e paleoantropologo francese era, insieme a Donald Johanson, uno dei co-direttori del gruppo di ricercatori. Nato a Vannes nel 1934, figlio di uno scienziato, a 22 anni già collabora con il paleontologo Jean Piveteau presso la Facoltà di Scienze di Parigi e diventa ricercatore al Centro Nazionale Francese delle Ricerche, specializzandosi nello studio del Quaternario e del Terziario. Nel 1959 lavora per l’Istituto di Paleontologia del Museo nazionale di Storia naturale di Francia e comincia il suo lavoro di ricerca sul campo in Algeria, Tunisia, Filippine e Indonesia. È del 1965 un suo pirmo importante ritrovamento a Yaho, in Ciad: un cranio di ominide datato come risalente a 1 milione di anni fa. Nominato direttore del Museo dell’Uomo di Parigi, dopo la scoperta di Lucy diventa professore presso il Museo nazionale di Scienze naturali nel 1980 e direttore della Scuola Pratica di Alti Studi nel 1983. Ottiene infine la cattedra di Paleontologia e Preistoria al Collegio di Francia, di cui è tutt’oggi professore onorario. Moltissime le sue pubblicazioni di grande rilievo scientifico e altrettanti i premi e i riconoscimenti ottenuti dal mondo accademico e culturale internazionali, tra cui anche la Legion d’Onore.
Quarantuno anni fa, esattamente il 24 novembre 1974, nei pressi del villaggio Hadar, nel triangolo di Afar in Etiopia, un gruppo di paleontologi guidato da Donald Johanson riporta alla luce il fossile della specie ominide Australopitecus Afarensis, vissuta in Africa tra 3 e 4 milioni di anni fa. Lo scheletro, completo al 40%, è di una donna di circa 25 anni. Classificato come AL 288-1 (ovvero Afar Locality n° 288), è stato più romanticamente ribattezzata Lucy dal gruppo di scopritori, ispiratosi al famoso brano dei Beatles ?Lucy in the Sky with Diamonds?, ma in Etiopia è noto nella lingua locale con il nome di Dinkinesh, che significa ?Tu sei meravigliosa?. Ma chi sono gli studiosi ai quali dobbiamo questa scoperta così importante per la scienza? Donald Carl Johanson è nato nel 1943 a Chicago, in Illinois, da genitori svedesi. Studia all’Università dell’Illinois, quindi si perfeziona con il master e il dottorato all’Università di Chicago. Nel 1974, al momento della scoperta di Lucy, è professore associato di Antropologia alla Case Western Reserve University.Nel 1981 fonda l’Istituto di Origini Umane a Berkeley, in California, che successivamente trasferisce all’Università dell’Arizona nel 1997. Nel 1982, insieme a Maitland A. Edey, vince il National Book Award per le scienza grazie al popolarissimo libro in cui racconta della sua scoperta, ?Lucy: The Beginnings of Humankind?. Johanson ha ricevuto un dottorato onorario dalla Case Western Reserve University e uno dallo Westfield State College nel 2008.
Il celebre paleoantropologo francese Yves Coppens è uno dei maggiori esperti quando si parla di uomini preistorici e ha a lungo studiato come questi nostri antenati vivevano. In un’intervista al Sussidiario.net, il professore spiega così quanto emerso dalle sue ricerche: “Dai numerosi scavi che ho personalmente eseguito, a vari livelli, posso dire che i primi uomini vivevano in gruppo, avevano una vita sociale, costruivano insediamenti e delimitavano le zone per l’attività di caccia. Ci sono prove che indicano come iniziassero a condividere i frutti della cacciagione, cosa che le scimmie non fanno, e che sviluppassero una particolare cura dell’alimentazione, non limitandosi a una nutrizione istintiva e differenziando i cibi; nel caso delle carni, che è più facile da documentare tramite il ritrovamento delle carcasse degli animali, non si rivolgevano solo a quelli di grande taglia ma si cibavano anche di una varietà di esemplari.”. Clicca qui per leggere tutta l’intervista.
Tra le curiosità legate all’Australopiteco Lucy – di cui oggi si festeggia il 41esimo anniversario della scoperta – c’è quella che riguarda il ritrovamento di un suo ”cugino” poco tempo dopo la sua scoperta. Si tratta di una specie che viene denominata Australopithecus Deyremeda e grazie allo studio della sua dentatura si sono fatte scoperte interessanti su che tipologia di uomini abitassero quei luoghi. Di questo ha palrato Stephanie Melillo dell’Istituto di Antropologia Evolutiva Max Planck: “Non siamo ancora in grado oggi di dire niente sul tipo di interazione tra l’Afarensis e il Deyiremeda. Dobbiamo prima trovare le differenze delle due specie in base alla documentazione di fossili a disposizione. La nostra ricerca è concentrata su questo”. La grande novità sta nel fatto che potrebbero esserci diverse specie presenti nello stesso ambiente e che queste avrebbero ricavato una propria nicchia ecologica personalizzata. Al momento però si stanno effettuando ancora degli accertamenti su questo per avere dei dettagli maggiori sul tipo di convivenza delle due specie.
Si festeggia oggi la scoperta avvenuta 41 anni fa di “Lucy”, un esemplare di sesso femminile di Australopithecus afarensis che è stata rinvenuta dal paleontologo Donald Johanson insieme alla sua squadra di ricerca. Per questo oggi tutte le curiosità che ruotano attorno a Lucy sono venute fuori. Tra queste c’è la storia di una ragazza che ha deciso di scrivere una canzone in onore di Lucy, ”The Austrolopithecine Morphology Song”. La ragazza ha pubblicato questo video sul suo canale di You Tube il 29 novembre di cinque anni fa sottolineando ai bambini e rivolgendosi a loro che è questo quanto viene insegnato nelle università. La canzone inizia così: “Tra i 4.2 e i 3.9 milioni di anni fa da qualche parte in Kenya che non posso pronunciare hanno ritrovato una scimmia con una fila di denti paralleli, ma simile all’uomo nella parte dietro del cranio”. Per il video della canzone clicca qui
L’australopiteco Lucy, fin dal suo ritrovamento, ha alimentato il mistero attorno alla possibile clamorosa scoperta dell’antenato dell’uomo come via di mezzo tra la scimmia e l’homo sapiens sapiens ha attanagliato tutti, scienziati e intellettuali, filosofi e scrittori o anche semplicissimi appassionati di scienze e di paleontologia (ecco questi forse un po’ meno semplici). Molti evoluzionisti hanno affermato che Lucy è una forma di transizione tra l’uomo ed i suoi cosiddetti progenitori somiglianti alle scimmie. Ulteriori studi rivelerebbero che Lucy non era altro che una specie estinta di scimmia, una sorta di scimpanzè pigmeo. Secondo i creazionisti invece Lucy rappresenta una specie appartenente al genere Australopiteco – un genere di scimmie che si è visto non ha niente a che vedere con l’evoluzione umana. Adrienne Zihlman, professore di antropologia all’Università di California, afferma che i resti fossili di Lucy coincidono straordinariamente bene con le ossa di uno scimpanzé pigmeo. In un articolo della rivista New Scientist, il Dr. Jeremy Cherfas dice quanto segue riguardo il cranio di Lucy: Lucy, come gli Australopithecus afarensis, aveva un teschio molto simile a quello di uno scimpanzé, ed un cervello corrispondente. Dunque non vi sarebbe possibilità di legarlo all’uomo in alcun modo? Errato anche qui, anche perché la scienza ha nello stesso dimostrato che l’ominide Lucy abbai numerose caratteristiche che potrebbero assimilarla all’uomo erectus e poi sapiens: come mostra questo video dell’Università della California, la postura del collo, la disposizione delle gambe e la propensione alla camminata che una scimmia di per è non avrebbe. E quindi? Super mistero rimane anche dopo 40 anni con le opposte ideologie scientifiche che si combattono a colpi di professori e test vari che proverebbero tutto il contrario di tutto. Insomma, per uscirne forse basterebbe guardare un poco alla volta tutti i dati senza partire da un preconcetto ma da una legittima teoria da dimostrare. Un collegamento tra l’uomo e la scimmia? Probabile, come del resto vale allo stesso tempo la considerazione per cui prove reali di anelli mancanti ancora ad oggi nel 2015 non ce ne sono. Quindi tutto il contrario di tutto? No dai, Lucy aiutaci tu!
Sono trascorsi 41 anni dalla scoperta di “Lucy”, un esemplare femmina di Australopithecus afarensis rinvenuta nel 1974 dal paleontologo Donald Johanson e la sua squadra. Anche Google ha voluto ricordare questa particolare giornata con un doodle animato in cui la scritta del celebre motore di ricerca è in parte formata dall’altrettanto nota immagine dell’evoluzione umana, da scimmia a uomo moderno. Un po’ forse come ricorderemo le care vecchie enciclopedie, anello di congiunzione tra il sapere di pochi e le masse, nell’era del pre-internet (quella proprio di Google). L’australopiteco Lucy fu identificata dopo una serie di ritrovamenti di fossili avvenuti nella regione di Afar, in Etiopia: gli esperti la chiamarono Lucy, in onore della canzone dei Beatles “Lucy in the Sky with Diamonds”. Sembra che l’ominide rinvenuto, risalente a circa 3,2 milioni di anni fa, avesse circa 25 anni e fosse alta poco più di un metro. Morì probabilmente sulle rive di una palude e i resti vennero sommersi dal fango fino a diventare fossili.