Forse non è a tutti noto che i più moderni aviogetti per il trasporto passeggeri che percorrono o percorreranno a breve le rotte intercontinentali, i vari Airbus A380, A350 e Boeing 787 eredi del famoso Boeing 747 Jumbo Jet – che volò la prima volta nell’ormai lontano 1969 – benché abbiano la fama di essere dei grandi divoratori di carburante, in termini energetici (cioè di consumo per passeggero e per kilometro percorso) sono il più efficiente mezzo di trasporto finora inventato dall’uomo per viaggiare ad alta velocità e sulle lunghe distanze. Ciò non toglie che il consumo di carburante resti una voce molto importante del loro costo complessivo di gestione, una di quelle che preoccupano di più le compagnie aeree, che dopo tanti anni di inesorabili aumenti del prezzo del petrolio, temono che il futuro sarà ancora peggiore.
Con queste premesse non c’è da meravigliarsi se gli uffici studi e ricerche dei grandi costruttori americani ed europei di aeroplani si stiano spremendo le meningi per immaginare nuove configurazioni aerodinamiche e nuove soluzioni propulsive in grado di migliorare l’efficienza energetica, anche solo di qualche punto percentuale, facendo così risparmiare grandi quantità di combustibili e diminuendo sia le emissioni inquinanti che il rumore. Lo sviluppo di questi nuovi concetti sarà piuttosto lungo, ma le soluzioni in grado di rivoluzionare lo status quo attuale sono già in corso di messa a punto, anche se non è ancora chiaro quale di quelle proposte potrà prevalere.
Quel che è certo è che la nuova generazione di velivoli, che comunque non si prevede entrino in servizio prima del 2025, saranno piuttosto diversi dagli attuali: avranno infatti “ali a rombo o a scatola” (box-wing, quattro semiali unite alle estremità da winglet verticali, congiunte strutturalmente alla deriva, con conseguente assenza di piani di coda orizzontali), oppure saranno dei blended wide body (ala e fusoliera saranno fuse in un tutt’uno, con motori portati sul dorso ), o forse più propriamente dei “tutt’ala” (sparirà la fusoliera e i motori stessi saranno annegati nello spessore dell’ala).
Per realizzare aeroplani di queste nuove forme dovranno cambiare anche le tecniche costruttive, con sempre maggior ricorso ai materiali compositi, alle nanotecnologie e il progressivo abbandono dei metalli. Dovrà ovviamente migliorare anche l’efficienza dei propulsori, per i quali ci sono idee non solamente di esasperare le prestazioni degli attuali motori a getto ad alto rapporto di diluizione, ma anche di adottare soluzioni ibride nelle quali turbine a gas ad altissimo rendimento azionerebbero dei generatori ad alta efficienza, che fornirebbero energia a motori elettrici accoppiati a grandi ventole atte a generare la spinta propulsiva.
Da qui a una quindicina d’anni ci possiamo quindi attendere significativi cambiamenti nella configurazione dei velivoli passeggeri, che si discosterà ampiamente dallo schema oggi a tutti comune (una fusoliera, più o meno “panciuta”, due ali a cui sono appesi i motori, e piani di coda); non cambierà, invece, in modo significativo la loro velocità, che pur con qualche incremento, rimarrà nettamente subsonica. Non sembra dunque che ci siano molte speranze per il passeggero che non sopporta di star seduto per ore in un angusto sedile e che non può permettersi la prima classe, di impiegare, anche in futuro, molto meno tempo di oggi in un volo intercontinentale.
Vale però la pena di segnalare che un recentissimo studio condotto dal professor Qiqi Wang del MIT potrebbe essere la chiave per riaprire la partita del volo passeggeri supersonico, che molti davano per definitivamente chiusa dopo l’uscita di scena, ormai molti anni fa (2003), del Concorde. Secondo questo studio una configurazione “biplana” di un aereo passeggeri supersonico, basata cioè su due ali sovrapposte, in qualche modo alla maniera dei vecchi biplani dei primordi dell’aviazione, sarebbe in grado di ridurre drasticamente due dei maggiori problemi legati al volo supersonico: la grande resistenza all’avanzamento, con il conseguente proibitivo consumo di carburante, che si genera volando a velocità superiore a quella del suono e la formazione di onde d’urto, che si propagano verso terra, creando intollerabili disturbi alle zone sorvolate.
La proposta da Wang non è a dir la verità del tutto nuova, essendo basata su una vecchia idea avanzata, addirittura negli anni ‘50, dall’ingegnere Adolf Buseman (Buseman, emigrato dopo la Seconda Guerra Mondiale negli Usa dove lavorò a lungo nei principali centri di ricerca aerospaziali, era stato uno dei massimi esperti tedeschi di aerodinamica e tra i padri dei primi aviogetti con ala a freccia). Wang e i suoi collaboratori al MIT, servendosi delle moderne tecniche di simulazione al computer, hanno avuto modo di sviluppare enormemente l’intuizione di Buseman, il quale aveva compreso che la configurazione con le due ali sovrapposte poteva servire a elidere automaticamente le onde d’urto formate da una delle ali con quelle prodotte dall’altra.
Si trattava però di trovare il modo di eliminare uno degli inconvenienti di questa configurazione, per la quale è anche possibile che in condizioni di volo transonico, quando cioè ci si avvicina alla velocità del suono, nel “canale” formato dalle due ali sovrapposte, si formi una specie di “tappo” che impedisce il flusso dell’aria, con un conseguente enorme aumento della resistenza. Provando e affinando al computer un gran numero di possibili configurazioni aerodinamiche, Wang e collaboratori sostengono di aver risolto questo problema, conservando i vantaggi offerti dalla formula biplana, che produce molto meno resistenza, circa la metà che con ala singola, e onde d’urto molto minori a velocità supersonica.
I vantaggi principali di questa idea sarebbero in sostanza, una riduzione drastica dei consumi di carburante e la possibilità di volare supersonici per la gran parte del volo, con ulteriore riduzione dei tempi di volo, evitando limitazioni come quelle a cui doveva sottostare il Concorde (il quale poteva in effetti volare supersonico solo sull’oceano e non era quindi adatto a rotte sopra la terra ferma, come la traversata degli Stati Uniti o dell’Asia ).
Gli studi del team di Wang proseguiranno col passaggio a modelli più complessi; intanto si è saputo che anche un gruppo giapponese, guidato dal professor Kusunose della Tohoko University, sta lavorando sullo stesso concetto del “biplano di Buseman”, cercando di risolvere per altra via il problema della resistenza in volo transonico al quale si è accennato, ipotizzando un opportuno riposizionamento di alcune parti mobili delle ali, nelle varie fasi del volo.
È presto per dire se tutti questi studi approderanno a qualcosa di concreto, ma l’argomento merita di essere tenuto sott’occhio nei prossimi anni.