E’ una deliziosa mattinata di maggio e come ogni mattina da settembre a giugno mi preparo a lottare contro il tempo per raggiungere la mia scuola, tra il traffico che ingorga le rotonde di questo hinterland milanese che non si sa più dove cominci e dove finisca; tra il traffico che è fatto di padri e madri che portano figli a scuola, di pullman carichi di altri figli, o ancora di figli che viaggiano, con improbabili caschi e criniere, a zig-zag su motorini e scooter. Ma appena fatto qualche centinaio di metri, appena imboccata la via che porta alla prima maledetta rotonda, mi accorgo che c’è qualcosa di strano: niente fila, niente zig-zag, non bisogna nemmeno fare a sportellate per immettersi in quello che di solito assomiglia più a un girone infernale che a uno stratagemma per eliminare i semafori.
Dove sono? Possibile che abbia sbagliato a guardare l’ora? Possibile che oggi, mercoledì ore 07.45, ci sia uno sciopero a scuola di cui non sapevo nulla? C’è in giro qualche camion, qualche operaio, qualche professore, forse. Ma i padri e i figli? Dove si sono cacciati? E poi, ecco: l’alternanza scuola-lavoro, è quella legge lì che ha svuotato le strade che portano a scuola. E ne avrà riempite altre di certo: immagino questi padri a smanettare con il navigatore, il figlio sul sedile del passeggero con le cuffie a manetta, nel cuore di entrambi una speranza nuova e segreta. Ciascuno di loro in viaggio verso un’azienda, un’officina, un ufficio, un magazzino o un negozio dove un premuroso operatore addetto alla formazione interna li attende per tutte le istruzioni del caso. Eccola lì la Samantha, terzo anno del sistema Moda ( mi pare che si chiami così e vuol dire che studia quasi da perito tessile, mi sembra) eccola lì che scende dall’auto e s’avvicina alla vetrina del negozio di intimo e pigiami che ha risposto all’appello dei professori, che ha predisposto secondo la normativa vigente tutto il suo percorso formativo per questo lungo tirocinio di un mese.
Un mese? E proprio nei giorni in cui si fa lezione, non per esempio dal 10 di giugno, che le lezioni sono finite e questi figli qui sono in giro a fare niente? E allora quando studierà chimica dei tessuti, la Samantha? Vuoi farmi credere che un mese a vendere calze e mutande le garantirà l’acquisizione di quelle competenze trasversali europee senza le quali non potrà mai trovare un lavoro? Eccolo lì il Kevin, quarto anno dell’istituto tecnico industriale che si prepara a salire sul camioncino della New Wave Idrotermica con il suo formatore alla guida e al cellulare che gli anticipa il giro da fare.
E così ogni giorno per un mese, anche lui, ad acquisire competenze europee e a smadonnare su tubi e chiavi inglesi. E cosa ne sarà dell’Alessandro, che l’hanno strappato dalla quarta liceo classico, dai filosofi del cogito e del dubbio e l’hanno mandato in una segreteria di una scuola elementare a sistemare gli archivi?
Comunque, ecco perché adesso, davanti a me, la strada è vuota e fare la rotonda è come fare un giro di valzer nel capodanno di Vienna. Un’idea straordinaria questa qui della Buona Scuola di Renzi per deviare il traffico dalle solite strade, per deviare gli studenti dal loro percorso monotono anche se a zig-zag. E tutto senza oneri: riescono sempre delle magie nella scuola. Agli alunni si riesce a insegnare le stesse cose, anzi di più, con un mese di meno; agli insegnanti si riesce a convincerli a passare il tempo, da gennaio a maggio, al telefono con aziende che quando sentono che sei della scuola tal dei tali mettono giù come se avessi proposto l’acquisto di dieci lattine di olio dalla Liguria; ai genitori si riesce a far credere che, dopo le lim e l’e-twinning, adesso si fa sul serio e i ragazzi mettono giudizio e imparano a faticare davvero. E’ agli imprenditori che ancora non si riesce a far credere niente, ma ci stanno pensando.
Anche a me sono riusciti a mettermi di buon umore, tanto che mi viene da cantare quella vecchia canzone dell’Equipe 84: “Tutta mia la città, un deserto che conosco…“. E’ talmente deserto che viaggio con venti minuti d’anticipo e mi viene quasi voglia di andare a trovare il mio amico e collega nella sua scuola superiore, magari mi offre un caffè. Lo trovo lì, infatti, nel bar della scuola, con altri colleghi. E’ già al secondo caffè, mi dice; è dura stare qui senza alunni, mi dice. Hanno organizzato qualcosa, forse anche un torneo di calcetto, li pagano uguale, del resto (non solo loro, ma anche quelli che sono arrivati con le dotazioni aggiuntive, tutti quelli che dovevano migliorare l’offerta formativa? Sì, ma di loro bisognerà parlare in un altro momento). Ma vuoi mettere come ti passa più veloce il tempo a rimproverare le Samanthe e i Kevin e gli Alessandri? Lo lascio così, un po’ affranto e un po’ spento. Io vado via, verso la mia scuola, secondaria sì, ma di primo grado, dove l’alternanza ancora non c’è. E’ così che mi sveglio, dentro il sogno che ho fatto.
E’ in realtà una deliziosa mattinata di ottobre e come ogni mattina da settembre a giugno mi preparo a lottare contro il tempo per raggiungere la mia scuola. Sono le 7.45, la strada è piena di padri e di figli, motorini a zig-zag, pullman stracolmi, rotonde infernali, imprenditori felici di non doversi inventare qualcosa di strano per far credere a tutti che la Buona Scuola è incominciata davvero.
Il traffico non mi piace, ma non lo cambierei mai lo stesso con il deserto di una città che manda in giro i suoi figli chissà dove e perché. Forse è il caso di ripensarci a questa alternanza, a questa finzione che non serve a nessuno, che soltanto nei sogni svuota le strade. In mezzo al traffico io canto un’altra canzone, una canzone di Dalla che racconta una Milano di fatica e mistero. Come una scuola vera, non come un lavoro finto.