Gentili famiglie, anzi, care mamme e papà, in questi giorni capiterà (o forse vi è appena accaduto) che una sera, davanti ad un foglio di carta o uno smartphone o un tablet o un pc, guarderete con i vostri figli la pagella ricevuta fresca fresca alla fine del I Quadrimestre. Con aria seria riferirete ciò che vi hanno detto i professori, loderete i progressi, richiamerete all’impegno in questa o quella materia, proverete a capire le difficoltà e cercherete strade per superarle. Poi passerete al comportamento, e se vostro figlio frequenta la scuola del Primo Ciclo vi accorgerete che non c’è più il voto, ma un giudizio sintetico; così, chi di voi è stato a ritirare la scheda cercherà di spiegare all’altro (tornato tardi dall’ufficio, la testa ancora ingombra di pensieri) il nuovo metodo di valutazione. Fin qui, c’è ancora spazio per rimproveri ed elogi. È il giorno dopo il problema: quando, tornati al lavoro, o in banca, o al mercato, vi capiterà di incontrare colleghi ed amici che vi diranno che loro figlio ha un comportamento corretto, o eccellente, o avanzato. Qualche altro invece dirà che il suo non è responsabile, o ha una condotta inadeguata, o forse che è poco corretto.
È a questo punto che, nella babele di aggettivi che vi affolla la mente, sorgerà in voi una domanda: che cosa accade nella scuola italiana?
Vediamo di capirlo un po’ più da vicino. Ad aprile 2017 un decreto legislativo ha introdotto novità “in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel I Ciclo”, modificando anche lo svolgimento dell’esame di Stato. Una nota del Miur dello scorso ottobre poi ne ha chiarite le linee, fornendo indicazioni e specificando gli impegni dei collegi docenti che, in questi mesi, si sono messi al lavoro attraverso gruppi e commissioni per riflettere sulla normativa, adeguando schede, strumenti e documenti.
Oltre alla valutazione del comportamento, che si riferisce “allo sviluppo delle competenze di cittadinanza”, le famiglie troveranno altre novità sulle pagelle: i voti in decimi delle discipline di studio saranno infatti integrati dalla “descrizione dei processi formativi […] e del livello globale di sviluppo degli apprendimenti”: presumibilmente dunque i genitori si troveranno davanti un breve testo, volto a descrivere il percorso didattico ed educativo dei propri figli, benché non si escludano soluzioni diverse a seconda degli orientamenti culturali e pedagogici delle scuole. Si aggiunga poi che gli strumenti confezionati per la scadenza del primo quadrimestre sono necessariamente in fase di rodaggio, in quanto hanno dovuto osservare un percorso già avviato a settembre e sono passati al banco di prova degli scrutini dove, tirando le somme, i docenti ne hanno testato limiti e qualità.
Che cosa sta dunque accadendo nella scuola italiana?
Care famiglie, anche noi professori abbiamo molte domande, persino su questo stesso decreto: sull’esame di Stato, sull’inclusione, sul motivo per cui al certificato delle competenze saranno allegati i risultati delle prove Invalsi se davvero (come si legge) le rilevazioni degli apprendimenti servono più alla scuola che allo studente, che in questo modo trova nel proprio curriculum documenti disomogenei tra loro per scopo e natura. Taccio le altre ma, avrete capito, anche noi come voi abbiamo bisogno di tempo, intelligenza e pazienza per addentrarci nelle novità normative.
Qualche merito credo lo abbia, questo decreto attuativo della legge 107. Il primo, fra tutti, quello di rimettere al centro dell’attenzione dei docenti la valutazione, imprescindibile atto di responsabilità professionale. “La valutazione […] ha finalità formativa”, si legge nell’articolo 1 comma 1 del decreto, in una premessa che merita di essere studiata e approfondita. Tra le righe si legge la necessità di uno sguardo adulto e maturo (quello dell’insegnante) che porti l’allievo sempre più a guardare sé stesso per crescere e migliorare. La stesura del giudizio globale, poi, può far bene ai docenti, chiamati ad esprimersi insieme, andando al di là dei confini che di solito mettono alla disciplina che insegnano (e dentro i quali, diciamolo pure, la stessa “materia” o il ragazzo stanno un po’ stretti).
C’è un altro punto di forza, a mio parere, in questo decreto: l’implicita richiesta di adeguare sempre più forma e sostanza, prendendo coscienza di cosa è la scuola, punto sorgivo di ogni reale riforma. Dove più dove meno, le schede di valutazione di questo quadrimestre emergono da riflessioni avviate negli anni nei diversi istituti scolastici, che si sono pian piano dotati di rubriche di valutazione, griglie di osservazione e descrittori per valutare progetti, laboratori, compiti di realtà; rimasti spesso, tuttavia, un po’ ai margini delle ordinarie attività didattiche, più integrati che realmente inclusi nella scuola e nel pensiero degli insegnanti. Mettendo al centro la valutazione, il DL 62 chiede ai docenti un nuovo modo non solo di valutare, ma di pensare a tutto il proprio lavoro. Preziose da questo punto di vista sono le osservazioni sulla “cultura della valutazione” nelle rinnovate Linee guida per la certificazione delle competenze pubblicate il 9 gennaio 2018, nelle quali è illustrato lo stretto legame tra le tre operazioni che, a detta del documento, “sostanziano l’insegnamento: progettazione, attività didattica in classe, valutazione”.
Che tutto ciò sia un’occasione e non solo l’ennesimo adempimento cui la scuola deve far fronte non è scritto nel decreto né lo può stabilire la legge, ma è una partita che si gioca nell’animo e nello sguardo di chi, ogni giorno, entra in classe e s’impasta coi volti e le storie di chi ha di fronte. “Qui e ora”, dice Eraldo Affinati nel libro su don Milani L’uomo del futuro: “Docimologie, tecniche didattiche, livelli di apprendimento, obiettivi da raggiungere: queste cose sono importanti, certo, ma non avrebbero nessun valore se prima di tutto non si realizzasse l’incontro umano fra me e te”, quell’incontro senza il quale, mai, vi può essere scuola.