Tutte le culture hanno sempre avuto i loro riti di passaggio: dall’imposizione della toga virile a Roma al Bar Mitzvà ebraico, dappertutto a tredici o quattordici anni, suppergiù, i ragazzi vengono ammessi nel mondo degli adulti. Nelle culture antiche, i riti erano tutt’altro che facili: per diventare adulto, un ragazzo doveva dimostrare di esserne degno. Doveva dar prova di forza, di coraggio, di abilità guerriera, di sopportazione del dolore. Doveva dimostrare di non aver paura di niente.
Oggi i riti di passaggio, nella nostra cultura, non ci sono più. Oggi i nostri ragazzi li proteggiamo, li coccoliamo, li difendiamo, li teniamo lontani — cerchiamo di tenerli lontani, facciamo di tutto per tenerli lontani — da ogni pericolo. Non devono dimostrare di essere forti, scaltri, coraggiosi. Guai se chiediamo loro una fatica, un rischio.
Ma i ragazzi sono, a modo loro, sani. A tredici o quattordici anni, suppergiù, vogliono dimostrare di essere forti, scaltri, coraggiosi. Vogliono dimostrare, a sé e agli altri, di saper rischiare. E se la società non offre più riti di passaggio condivisi, se li inventano.
Così hanno fatto mercoledì sera — se la prima versione della vicenda che hanno dato agli inquirenti è vera; pare che poi abbiano smentito, però io intanto la prendo per buona — Leandro Celia e i suoi amici, a Soverato, in provincia di Catanzaro. Erano lungo la ferrovia, hanno sentito il treno arrivare, qualcuno ha avuto l’idea: “facciamoci un selfie col treno che arriva”. Vediamo chi è il più coraggioso, chi resiste a farsi arrivare il treno più vicino. Il più coraggioso è stato lui, Leandro. Troppo coraggioso. Ha aspettato troppo. Alla fine non è riuscito a scansarsi, il treno lo ha travolto.
Partiranno i processi ai cellulari, ai selfie, alla mancanza di centri di aggregazione per cui tre ragazzi la sera non hanno di meglio da fare che passeggiare lungo la ferrovia. A me non pare questo il punto. A me pare che tre ragazzi che a tredici anni si sfidino a chi è più coraggioso siano sani. È il contesto che è malato. Siamo noi che non offriamo più loro occasioni sane per dimostrare che sono forti, scaltri, coraggiosi. E loro se le inventano come possono, con i mezzi che hanno. Ogni società, mi verrebbe da dire, ha i riti di passaggio che si merita.