Guido Meda, il popolare telecronista del Motomondiale su Italia 1, concede a ilsussidiario.net un’intervista a tutto campo sulla MotoGP 2008 che si appresta a laureare campione del mondo Valentino Rossi.
Guido Meda: una stagione che si avvia alla conclusione con un Valentino Rossi che, a meno di sorpresone, si appresta a conquistare il suo ottavo titolo mondiale. Quali sono stati, secondo te, gli aspetti tecnici e sportivi che l’hanno caratterizzata?
Sicuramente ci sono due forme di opposizione. Da un punto di vista tecnico l’opposizione tra Yamaha e Ducati è stata sostanziale, nel senso che la Yamaha due anni fa aveva sottovalutato la stagione che sarebbe arrivata e aveva sbagliato moto: l’aveva sbagliata fin dall’inizio e in corso d’opera non è riuscita a sistemarla. Quest’anno, invece, hanno lavorato veramente bene e hanno fatto una moto che è soprattutto ben bilanciata, al di la delle piccole carenze di motore che ancora la rendono meno prestante rispetto alla Ducati. Nella MotoGP moderna, a differenza della Superbike, l’equilibrio è tutto: il pilota deve avere una moto come dice lui, che faccia quello che lui vuole, una moto che sia precisa e stabile in staccata, in inserimento, percorrenza e uscita curva e la Yamaha ha lavorato su questo, mettendo a punto una moto “normale”, a differenza di quella dello scorso anno che era nata sbagliata. Pensare che a metà stagione avevano sostituito il telaio 2007 con quello 2005, dicendo che avevano fatto un nuovo telaio, ma in realtà erano tornati all’unico telaio bilanciato che gli era riuscito. La Ducati, invece, ha tenuto i parametri telaistici dello scorso anno, quello del mondiale di Stoner: ha puntato tutto sullo sviluppo dell’elettronica. Questo è stato, secondo me, determinante perché alla fine la Yamaha è andata avanti, la Ducati è andata avanti poco. E qui veniamo all’aspetto sportivo: una Yamaha competitiva ci ha permesso di vedere in pista un Valentino sereno, in condizione di competere con Stoner e, alla fine, di batterlo.
E i pneumatici?
Questo potremmo definirlo il lato B della questione tecnica: abbiamo avuto un bel dire che l’anno scorso Valentino si lamentava e si incapricciava per le gomme. Alla fine ha avuto ragione lui, tanto che oggi, tutti i piloti vogliono il monogomma: la Bridgestone, sia la passata stagione che quest’anno, ha realizzato una copertura nettamente superiore a quella della Michelin. Sono gomme che funzionano con range di temperatura più ampi, che ti consentono di aprire il gas prima in uscita di curva, e poi non è stato difficile assimilare la nuova copertura con la nuova Yamaha: ci può essere il pilota che preferisce una carcassa più o meno dura, una mescola più o meno morbida, ma una volta che hai la gomma buona, hai solo la necessità di avere una moto a posto, guidabile, che possa sfruttare la caratteristica della gomma. Per completare il discorso sull’aspetto sportivo, quest’anno Stoner, che l’anno scorso è stato fenomenale, ha dovuto confrontarsi per la prima volta con il vero Rossi: quello che riesce a metterti pressione una gara dopo l’altra, intanto perché non più assillato dall’incubo del fisco che, Valentino può anche negarlo, ha rappresentato per lui un problema gravoso. Qualsiasi essere umano davanti a un problema del genere, non ci sono storie, accusa il colpo. In più era alle prese con una moto che lo costringeva a ricercare un equilibrio quasi impossibile da trovare e con delle gomme che andavano una volta si e tre no. Per cui quest’anno, con un pacchetto tecnico a posto e con un Valentino che fa il Valentino, ecco che Stoner trova un avversario diverso e più difficile da contrastare di quello dell’anno scorso.
Dopo quello che hai detto, la gara di Laguna Seca, dunque, ha rappresentato una svolta?
Al 100% assolutamente sì. Ha rappresentato una svolta: c’è stata innanzitutto una singolare coincidenza. È stata la prima volta che Valentino si è trovato da subito in gara con una moto che gli consentiva di stare attaccato se non davanti a Stoner. Il resto lo ha fatto con la tattica. Io non posso lasciargli un metro e se lui mi si mette davanti, alla prossima staccata, a costo di cadere, lo devo ripassare. È stato un piccolo salto di qualità che ha fatto Valentino dentro di sé e che ha causato una debolezza indotta in Stoner. Abbiamo un bel dire che Stoner ha lo scafoide rotto, che soffre. Tutto vero, avrà sofferto le ultime gare, ma a Laguna Seca del problema ancora non se ne parlava. Ogni granpremio è la costruzione di qualcosa di perfetto: se la sicurezza tua non ti supporta la perfezione non la raggiungi. Per cui, dopo la botta di Laguna Seca, mi pare improbabile che sia stato un caso o un piccolo problema all’avantreno la causa di due cadute di seguito. Io dico sempre che a Stoner, dopo Laguna Seca (a un pilota si dice che gli viene il braccino quando subentra la paura di vincere e a un certo punto, verso la fine, gliela da su) gli è venuto, invece, il braccione. Uno che ha il braccino è Lorenzo, poverino: dopo essere caduto tante volte doveva cercare di andare più piano. Stoner avrebbe dovuto cercare, in quelle che poi si sono dimostrate le due gare determinanti per fargli perdere il mondiale, vale a dire Brno e Misano, di andare più piano, non più forte. Sarebbe stato un salto di qualità nella sua maturazione: non è necessario spingere come un forsennato sin dal primo turno di libere del venerdì, ma è più importante fare un lavoro passo dopo passo provando su uscite lunghe, cosa che Stoner non ha mai fatto. Lui esce, sta fuori tre giri, fa un tempone e rientra. È vero che alla fine della giornata ha usato sempre la stessa gomma, che ha trenta giri, ma se tu non la provi per più di tre giri di seguito, qualche problema probabilmente te lo da. Scaldarle e rafreddarle, riscaldarle e riraffreddarle. Non è la stessa cosa che provarle per 12 giri di filato. Come capacità Rossi e Stoner sono uguali, pur avendo due stili molto diversi: Stoner è un altro che il giorno che infila la maturazione, quella vera, diventa un problema per Valentino, anche ad armi pari. La differenza oggi è che Rossi è fortissimo di testa: non è la prima volta che lo vediamo sopperire alla piccola carenza tecnica, non dico con la bastardata che non è necessaria, ma con un modo di vivere e comportarsi, soprattutto in gara, che risulta vincente.
Dani Pedrosa: è lui la vera delusione di questo mondiale?
Si, senza dubbio. Pedrosa è stato sopravvalutato, visto che uno come Melandri, considerato il peggio della stagione, nella sua carriera in MotoGp ha vinto una gara in meno di Pedrosa (5 a 6). Io un Pedrosa che fa a cazzotti come Valentino e Casey a Laguna Seca, proprio non me lo immagino. Ancora lo devo vedere. Avere nel suo box, l’anno prossimo, Dovizioso, più attrezzato dello spagnolo in fatto di talento, potrebbe essere un bel problema. E poi non conosciamo un Pedrosa senza Puig: senza il suo manager rischia di andare in briciole. Lui è cresciuto, da quando era adolescente fino ad oggi, con questo signore che ha deciso e fatto tutto per lui. È diventato così potente che in Honda è Puig l’uomo che decide: è lui che fa la strategia, non c’è un direttore sportivo, ma il manager privato di un pilota che la fa. È paradossale questa cosa. Purtroppo Pedrosa in fatto di simpatia non brilla, non è un comunicatore e quindi fa fare tutto a Puig: giudichiamo tutti il Pedrosa che è immagine che scaturisce dal suo manager. Vedremo il vero Pedrosa Il giorno che dirà: ho 20 anni, voglio divertirmi a fare questo mestiere, non voglio che sia una tortura, quindi ciao, perché capita che un giorno nella vita uno possa prendere una decisione drastica. È altrettanto vero che Puig l’ha portato talmente in alto e che il loro legame dura da tanto tempo che prendere una decisione del genere diventa difficile se non impossibile. Le altre delusioni sono le moto, la Kawasaki, la Suzuki: perché, se in un campionato con cinque moto, due non vanno, lo spettacolo ne risente.
Abbiamo parlato di gomme, della crisi della Michelin: con queste differenze prestazionali, è d’obbligo andare verso la monogomma?
Carmelo Espeleta, il boss del motomondiale la dà per certa, ma potrebbe essere una mossa per spronare la Michelin. Non saprei se andare verso la monogomma sia inevitabile e se soprattutto sia un male: potrebbe anche non essere un male, fatta eccezione per un possibile trauma che tale scelta potrebbe avere sulla Michelin in quanto azienda. Una volta che tutti hanno le stesse gomme, siano esse Bridgestone o Michelin, se ne parla per una settimana, due al massimo, e poi basta. Di fatto il monogomma c’è già stato, all’epoca delle 500 due tempi c’era solo la Michelin e nessuno si lamentava. Gli unici che, a pieno titolo, avrebbero il diritto di lamentarsi, sono quelli della Ducati, che hanno scelto Bridgestone quando queste non andavano, le hanno sviluppate e ora tutti le vogliono.
Un tuo giudizio sui debuttanti Dovizioso e De Angelis
Si sono comportati come mi aspettavo. Dovizioso mi ha convinto di più: secondo me ha un po’ meno talento di Rossi ma ha una capacità esponenziale di far funzionare la testa e ha sempre la percezione esatta di dove si trova, di cosa deve fare o non fare, a differenza di Valentino che ogni tanto si concede qualche distrazione. Dovizioso ha fatto una stagione razionalmente straordinaria: ha fatto il massimo che si poteva fare con quella moto a disposizione (Honda clienti n.d.r.). Anche De Angelis ha fatto un quarto posto come Dovizioso, però poi ha fatto anche dei sedicesimi posti. Dovizioso ha messo quella moto sempre in condizione di fare il massimo consentito. L’unico timore che ho è che ceda un pochino alla fantasia, vedi Indianapolis dove ha fatto una partenza da dietro e dopo 3 curve era davanti, facendo dei sorpassi folli. È la prima volta che ho visto un Dovizioso della serie “oggi me ne frego di essere un computer e faccio il pazzo”. Se Dovizioso impara a gestire anche queste fantasie, diventa uno da mondiale. De Angelis, invece, è più fantasia che razionalità. È l’opposto di Dovizioso. Vedremo. Comunque, con queste moto che, quando sta per partire la gara, devono essere perfette, la testa al 100% serve, è il fattore più importante. Devi avere una lucidità nella messa a punto del mezzo, totale, e difficilmente puoi andare per tentativi. La MotoGP, di diverso dalla Superbike, al di la della spettacolarità e delle passioni personali, ha questo: è cioè altamente più sofisticata per cui al pilota si richiede un doppio lavoro. Da un lato quello di guidare e dall’altro quello di sentirla e di essere capace di metterla a posto e di farle fare in gara sempre la stessa traiettoria, la più utile e veloce possibile.
E Melandri? Può uscire segnato indelebilmente da questa stagione catastrofica?
Assolutamente no. Melandri è un pilota talentuosissimo che è cresciuto educandosi, non dico al capriccio ma quasi: a un certo punto della stagione lui si convince che c’è una cosa che non va e difficilmente è disposto ad assumere su di sé la responsabilità, e trova la soluzione nel cambiamento di qualcosa che lui identifica. Un anno è il telaio, un anno il manager, poi, come in Honda, a metà stagione è il capomeccanico, via il capomeccanico, poi le gomme con Gresini, via le Michelin per passare alle Bridgestone. Quast’anno si è trovato in una situazione paradossale in Ducati, con un compagno di box che gli dava un secondo e mezzo dal primo turno di prove libere nei test invernali e questo già gli aveva fatto scendere la catena. In più era nella condizione di non poter cambiare un bel niente perché la moto è quella, le Bridgestone non si toccano, il capotecnico ti tieni quello che hai. Basta, fine del divertimento. Si caccia in testa che niente va bene, e niente va bene. La scelta di andare in Kawasaki, a questo punto, è anche un po’ una scelta obbligata. Aveva tentato anche la carta Gresini, ma la Honda non dimentica tanto facilmente che Melandri un anno fa dichiarava basta basta, è un supplizio, è la moto peggiore che io abbia mai guidato. Comunque in Kawasaki sanno che se si accende il talento di Melandri, non possono che trarne vantaggio e per Marco l’alternativa era restare a casa. Con tutto il rispetto che ho per Marco. C’è una cosa che mi fa piacere dire e rilevare a questo proposito: quest’anno nessuno ha infierito contro il povero Melandri, nemmeno noi e questo ha un solo significato. Che lui, dal punto di vista umano, ha seminato bene.
Mercato piloti. Al di la di due o tre tasselli da sistemare, per il 2009 i giochi sono fatti. Ducati con Hayden e Stoner, HRC con Pedrosa e Dovizioso: guerre fratricide in vista?
Hayden e Stoner sono fatti per andare d’accordo. Ho trovato la scelta della Ducati di prendere Hayden ultrasaggia. Mi spiego: Hayden è gregario dentro, è un secondo nato, un Barrichello della MotoGp. In più, avendo vinto un mondiale, se vogliamo in maniera anche un po’ fortunosa, è anche uno capace di fare risultato, è uno che anche se la moto è difficile, la guida comunque e non è uno che pretenderà di stare davanti a Stoner. È la guardia del corpo di Stoner perfetta: parla la stessa lingua, l’inglese, è consistente senza essere uno che vuole essere sempre davanti a tutti. La Ducati ci ha provato con il dream team, con Gibernau e Capirossi, nel 2006. E’ stato il più grosso pacco della sua strategia di mercato di sempre, mentre invece quest’anno, con saggezza, ha optato per un pilota bravo che non è un fenomeno e che tendenzialmente è capace di lavorare per il gruppo più che per se stesso. Dovizioso è molto intelligente, non è uno che cede all’ira o che si mette contro le case costruttrici. Lui, quando in 250 l’Aprilia gli faceva ponti d’oro, è rimasto legato alla Honda senza fare una polemica, pur sapendo che la Honda non avrebbe più sviluppato la moto. Farà una stagione di buon apprendistato, Pedrosa permettendo.
Stagione 2009: saranno sempre Rossi e Stoner, a darsele di santa ragione, come dici tu in telecronaca o dovremo aspettarci anche un terzo incomodo?
Assolutamente sì: certo, ci sarà un Lorenzo che con le Bridgestone e dopo la lezione di quest’anno sarà più costante. È stato da manuale il modo con cui è riuscito a uscire dalla crisi in cui era piombato dopo le cadute. Lui potrebbe essere il terzo incomodo, con Pedrosa ma con qualche riserva. Poi ci aggiungo anche Dovizioso e poi sono curioso di vedere i Piloti Ducati dell’altro team, che diventa a tutti gli effetti un team junior, un satellite molto legato alla casa, che avrà Kallio e Canepa come piloti. Su Kallio non ho molte certezze, se non quella che farà qualche gara bellissima perché correrà da matto assoluto, e parecchie gare insignificanti. Canepa è un ragazzo di talento, ma, a digiuno di gare mondiali, probabilmente avrà bisogno di una stagione per capire chi è lì dentro.
(Maurizio Saporiti)