Nei poemi omerici non si parla di “Europa”. I guerrieri di Agamennone provengono dalle più varie località della terra che siamo soliti chiamare Grecia, e combattono contro l’armata dei Troiani e dei loro alleati asiatici, ma il poeta non usa etichette geografiche per definire i due schieramenti. La prima apparizione del nome “Europa” è in un testo che la tradizione antica attribuisce bensì a Omero, ma che in realtà è assai più recente: l’Inno ad Apollo. Quando il dio Apollo – si dice nell’inno – trova a Delfi il luogo adatto per la costruzione del suo santuario, getta le fondamenta di un tempio destinato a diventare famoso tra «quanti abitano sia il Peloponneso fecondo sia l’Europa e le isole cinte dal mare»: “Europa” qui – come è ben chiaro – definisce la porzione continentale della Grecia, distinguendola dalle isole che la circondano e dal Peloponneso.
La nozione di Europa si precisa relativamente tardi: è un portato delle guerre persiane e dell’interpretazione ideologica che ne viene data. La vittoria sui Persiani, così clamorosa e inattesa, è vissuta dai Greci come una sorta di miracolo, che deve essere in qualche modo spiegato. Gli anni del dopoguerra sono dominati dallo “spirito di Platea”; avvalendosi di tutti i possibili strumenti di comunicazione, Atene e Sparta – le due città che più si sono impegnate nel conflitto – alimentano l’idea che l’avventura persiana sia stata una grande vittoria collettiva del popolo greco: i Persiani sono stati sconfitti perché hanno intrapreso una guerra empia, nel folle tentativo di assoggettare una terra per natura libera, e i Greci hanno vinto perché si sono battuti per una causa giusta e hanno unito fraternamente le forze.
Ad Atene lo “spirito di Platea” trova uno dei suoi più convinti fautori nel drammaturgo Eschilo, che nell’anno 472 mette in scena i Persiani, una tragedia a tema, di grande impatto emotivo. La scena del dramma è a Susa, dove la regina Atossa, madre del re Serse, attende con trepidazione notizie del figlio, impegnato nella guerra contro i Greci. Atossa racconta il sogno che l’ha terrorizzata: due donne, una vestita alla maniera persiana, l’altra con un peplo dorico, litigano tra loro; Serse cerca di pacificarle, e di aggiogarle al proprio carro, ma mentre la prima (l’Asia) si sottopone docile, la seconda (l’Europa) si ribella con violenza. Il senso dell’allegoria è chiarissimo: Europa e Asia sono due universi contrapposti, che corrispondono a marche culturali antitetiche e obbediscono quindi a destini diversi; tra i due mondi l’unica relazione possibile è il conflitto.
La rilettura ideologica delle guerre persiane ha come conseguenza l’invenzione dei barbari. I Greci prendono progressivamente coscienza di una loro identità “europea”, legata ai valori di libertà e democrazia, che li distingue dall’Asia dei barbari, percepita come luogo dell’assolutismo e dell’arbitrio. La polarità Greci/Barbari diventa una categoria di pensiero, un archetipo: non è strano, quindi, che ispiri una sorta di revisionismo culturale. Anche la guerra di Troia – il punto di partenza della storia greca – viene rivisitata in questa chiave: i Troiani (che Omero non considera diversi dagli Achei di Agamennone) diventano gli antesignani dei Persiani di Dario e di Serse, e la spedizione degli Atridi è promossa a impresa civilizzatrice.
In Erodoto l’antinomia tra i due continenti è ormai un dato acquisito. Nei primi capitoli delle Storie Erodoto presenta le guerre persiane come l’ultimo atto di un’inimicizia tra Europa e Asia che risale alla guerra di Troia e che affonda le sue radici in una serie di ratti di donne (Io, rapita dai Fenici; Europa, rapita da Greci di Creta; Medea, rapita da Giasone; Elena, rapita da Paride). Poi lo storico ritorna su questa opposizione tra mondi, quello europeo e quello asiatico, dandone una interpretazione culturale e antropologica. Il passo cruciale è la scena in cui il re Serse comunica ai suoi consiglieri la decisione di attaccare la Grecia e spiega che, vinti gli Ateniesi e gli Spartani, nulla potrà impedirgli di unificare il mondo intero sotto il suo scettro: «Il sole non vedrà alcun’altra terra confinante con la nostra, ma con il vostro aiuto io le fonderò tutte in una sola terra, marciando per l’intera Europa».
Naturalmente, Erodoto si compiace di attribuire al despota barbaro un piano di conquista destinato a fallire miseramente.
Un secolo dopo la morte di Erodoto, sarà un sovrano greco a portare a termine – in direzione ribaltata – il progetto di Serse, «marciando per l’intera Asia»: Alessandro Magno.