La Conferenza Mondiale sul Clima COP21 di Parigi è entrata subito nel vivo delle proposte, con interventi di alcuni leader di alto livello – dal segretario dell’Onu Ban Ki-moon, al premier indiano Narendera Modi, al direttore del Fmi Christine Lagarde, al presidente francese Francois Hollande – che hanno disegnato alcuni grandi scenari: dal tema delle foreste, al solare, al “carbon pricing”.
Mentre la macchina diplomatica sta lavorando a pieni giri per arrivare a un difficile accordo, la parte centrale della settimana si sta infittendo di incontri e dibattiti di tipo più analitico e divulgativo, dove dovrebbero essere dominanti i contributi degli scienziati per far sì che le decisioni che verranno prese siano il più possibile adeguate alla reale situazione e il meno possibile dipendenti da posizioni ideologiche. Dovrebbero insomma farla da padroni i dati e la loro ragionevole e corretta elaborazione. I dati attuali, ma anche quelli storici, visto che siamo di fronte a un fenomeno, quello climatico, che si svolge su tempi lunghi.
Per l’Italia molti di questi dati storici sono quelli raccolti dall’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr (Isac-Cnr) e in particolare dall’Historical Climatology Group dove opera come ricercatore Michele Brunetti, che racconta a ilsussidiario.net come si arriva alle stime e alle previsioni che l’Italia porterà in questi giorni alla ribalta della COP21 di Parigi.
Qual è la situazione dell’Italia quanto a disponibilità di dati per poter ricostruire la storia del clima?
È senz’altro una situazione favorevole: abbiamo ampie possibilità di ricostruire le serie storiche delle temperature. E pensi che molti dati devono ancora essere utilizzati. Basterebbe fare una visita al Collegio Romano, a Roma, dove c’era la sede dell’ex Ufficio Centrale di Meteorologia, per trovare due lunghe pareti con scaffali stracolmi di faldoni pieni zeppi di dati ancora da recuperare. Il patrimonio non ancora sfruttato è davvero molto vasto.
Come avete utilizzato queste potenzialità?
Abbiamo recuperato molte delle serie più lunghe, che sono state digitalizzate nel corso di vari progetti, i primi dei quali sono partiti negli anni Novanta: un lavoro imponente e meticoloso. La cosa più importante in questo momento sarebbe salvare tutto l’archivio anzitutto fotografando questi annali pagina per pagina, per evitare di non potervi più accedere a causa dell’inevitabile degrado della carta, perdendo così un patrimonio di inestimabile valore.
A quale periodo si riferisce?
L’ufficio Centrale di Meteorologia è nato subito dopo l’unità d’Italia, ma abbiamo a disposizione dati a partire dalla seconda metà del ‘700. Gli Osservatori più antichi hanno più di due secoli di attività e quindi di dati osservativi disponibili sono stati raccolti con una strumentazione già abbastanza affidabile. Certo, i dati ancora più antichi, quelli dell’Accademia del Cimento della seconda metà del ‘600 recuperati da un collega di Padova, sono stati misurati con strumenti privi dei sistemi di taratura e registrati secondo unità di misura arbitrarie che è abbastanza difficile convertire in valori di temperatura come li intendiamo noi oggi. È interessante però il fatto che il Granduca di Toscana, uomo colto e all’avanguardia, aveva fatto costruire dei termometri ad alcol tutti identici, detti “termometri forentini” da distribuire a tutte le stazioni meteo del regno in modo che facessero osservazioni sincrone con strumenti identici; quindi quelle osservazioni sono tutte tra loro confrontabili. Il problema è poi convertire quei valori, letti su una scala graduata diversa da quella centigrada, in dati moderni. Ma si riesce, e quindi abbiamo una valutazione abbastanza buona delle temperature dell’epoca.
Questi dati, sinteticamente, cosa dicono circa l’evoluzione del clima in Italia?
In Italia dal 1800 ad oggi la temperatura media è cresciuta di circa un grado al secolo. Si tratta di un trend non lineare, con andamenti discontinui in certi periodi. Si può dire tuttavia che, in particolare negli ultimi decenni, c’è l’evidenza di un trend di crescita delle temperature molto accentuato: dal 1979 ad oggi la tendenza è di una crescita dell’ordine di 0,44 gradi ogni dieci anni, come media nazionale; mentre se andiamo a ricostruire l’andamento dal 1951 ad oggi troviamo un quarto di grado ogni decade.
Come si utilizzano i dati storici anche in funzione delle previsioni sul futuro?
Per fare previsioni circa il futuro si deve per forza ricorrere ai modelli climatici. I dati storici ci servono per verificare la bontà dei nostri modelli. Infatti, prima di utilizzare un modello climatico per prevedere le temperature future dobbiamo verificare che esso sia in grado di riprodurre quello che è accaduto nel passato. Prendiamo quindi le informazioni che già abbiamo sull’andamento reale delle cosiddette forzanti climatiche (cioè i fattori che incidono sul clima: concentrazioni di gas serra, aerosol, costante solare, eruzioni vulcaniche…), le diamo in pasto al modello matematico e, se questo riesce a riprodurre i valori di temperatura effettivamente registrati allora possiamo dire che il modello funziona.
È stato fatto anche prima di questo appuntamento parigino?
Sì, ed è stato fatto a livello globale, anche perché certe forzanti operano su scala globale. Anche l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), sulle cui previsioni, in buona parte, si baseranno le decisioni della COP21, prima di disegnare i sue scenari deve valutare le performance dei vari modelli; e lo può fare sulla base delle serie storiche di dati. Si è visto che, inserendo nel modello tutte le forzanti di tipo naturale la risposta è un andamento delle temperature che non corrisponde a quello osservato; viceversa, se aggiungiamo anche le forzanti di origine antropica (in pratica le emissioni dovute alle attività umane) allora le temperature riprodotte dal modello sono in linea con le misure reali.
Quindi il riscaldamento globale corrisponde a una tendenza effettiva, fondata su misure….
Sì, e possiamo anche avere un’idea del peso delle varie forzanti. Per il futuro possiamo dire che l’incertezza climatica dipende principalmente dai nostri comportamenti, cioè da quanto riusciremo a ridurre le emissioni di gas che interagiscono con la radiazione infrarossa. Si fanno diversi scenari, in base alle diverse ipotesi di livelli di concentrazione di gas serra in atmosfera: ci sono ipotesi più pessimistiche, connesse con una prosecuzione dei comportamenti tenuti finora; altre più ottimistiche, che prevedono miglioramenti dovuti a nuove soluzioni tecnologiche e a nuove modalità di produzione di energia. L’insieme della previsioni configura una forbice di possibili andamenti della temperatura media globale, come è descritto nel report dell’Ipcc del 2013.
È probabile che dopo la COP21 sentiremo sempre più parlare di Servizi Climatici: di cosa si tratta?
Ormai dobbiamo confrontarci con un cambiamento climatico in atto: sia cercando di mitigarlo, cioè di ridurre la nostra influenza sul clima; sia adattandoci, cioè adeguando le nostre strutture, le nostre tecnologie al nuovo contesto climatico. Per far questo però abbiamo bisogno di informazioni precise e aggiornate, l’utente deve essere messo in grado di attuare i comportamenti adeguati. Come siamo informati sulle previsioni del tempo, tramite i servizi meteorologici, così si stanno sviluppando i servizi climatologici dedicati a informare le popolazioni sulle condizioni climatiche di una data regione e sulle relative previsioni.
Cosa si aspetta dalla COP21?
Cerchiamo di essere ottimisti. Tra i grandi Paesi “emettitori”, la Cina sembra aver cambiato orientamento e sembra ben disposta a un impegno serio e così pure gli Stati Uniti; quella forse più restia è l’India…. Speriamo che si riesca ad arrivare a un accordo vincolante, che permetta poi ai rispettivi governi di rivedere le proprie regole e di agire sulle varie infrastrutture, sulle organizzazioni e sulle imprese per garantire il rispetto degli impegni assunti.