Della vicenda di cronaca veronese colpisce la selvaggia violenza di un gruppo di giovani esplosa contro altri giovani in modo del tutto gratuito, senza reali apparenti motivazioni, che ha causato la morte di Nicola.
Infastidisce l’esposizione mediatica di una città, di un mondo, quello giovanile, ad una sorta di “gogna” nazionale, senza rispetto per il dolore e la disperazione delle famiglie interessate e dell’intera città, sconvolta da questo terribile avvenimento.
Infastidisce, allo stesso modo, l’inutile dietrologia che si consuma, come in un rituale, nei salotti televisivi, tra interpretazioni di esperti o pseudo tali, opinionisti vari che si affannano a cercare motivi magari legandoli, perché no, alla situazione politica di Verona, al sindaco leghista, al razzismo serpeggiante sfociato altre volta in episodi violenti, agli ultras, fiancheggiatori dell’estrema destra, ecc.
Sbaglia chi vuole trovare a tutti i costi implicazioni politiche. È la totale perdita di contatto con la realtà che fa di alcuni dei nostri giovani dei “mostri”.
Colpisce anche nelle dichiarazioni rilasciate dalle persone, amici, familiari, insegnanti, vicine a questi giovani, la generale incredulità di fronte ad una manifestazione di violenza così terribile.
Eppure dei segnali c’erano stati, forse non erano stati colti o non erano apparsi significativi.
Ci si interroga sul perché famiglia e scuola che hanno per compito naturale o istituzionale la responsabilità dell’educazione dei giovani non abbiano colto in questi ragazzi nessun segnale di malessere, di disagio.
Ci si chiede come mai gli adulti siano così disattenti nei confronti dei giovani di cui hanno la responsabilità educativa.
Fa riflettere l’atteggiamento sconfortato, spesso rassegnato di molti, genitori e insegnanti, che non riescono più a parlare a dialogare con i propri figli, con i propri studenti. Allora succede che spesso la scuola preferisce chiudere gli occhi e far finta che tutto vada bene e spesso i genitori preferiscono spalleggiare i propri figli ed eludere i problemi.
E così si rinuncia ad educare e si consuma la tragedia di questi giovani che sempre meno vedono nell’adulto un interlocutore affidabile e si rifugiano nel gruppo di coetanei, con cui condividono tutto.
Che fare? Di fronte all’emergenza educativa più volte sottolineata da Benedetto XVI è necessario che anche la scuola ripensi al proprio ruolo educativo, che i primi soggetti educativi, genitori e insegnanti si parlino, dialoghino, che la persona sia davvero al centro dell’azione educativa, che gli adulti si facciano portatori della cultura della vita.
È in gioco il futuro dei nostri figli.