Ha da poco compiuto 80 anni e, di recente, la Triennale di Milano ha voluto omaggiarlo ospitando una mostra (“I multipli secondo Isgrò”, 18-26 novembre) dedicata alle opere multiple di questo eclettico artista e scrittore originario di Barcellona Pozzo di Gotto: Emilio Isgrò è infatti ancora una delle figure più influenti del panorama artistico nostrano e, dopo aver raggiunto il traguardo delle ottanta candeline spente, si è concesso anche di pubblicare un “Autocurriculum”, edito da Sellerio e nel quale ripercorre non solo la sua lunga carriera ma anche la storia degli incontri che hanno caratterizzato la sua vita. E, intervistato da Tracce, Isgrò parla non solo di questo ma anche della corrente artistica della “cancellatura” di cui è uno dei padri e che l’ha portato, in passato, a cancellare, tra le altre, la Costituzione, l’Encyclopedia Britannica e finanche I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni durante un Meeting di CL. “I miei genitori, amici e parenti dicono di non conoscermi: quindi affermano di più la mia identità” attacca subito l’artista, cominciando questa lunga chiacchierata sul tema della cancellazione della sua stessa persona e ribadendo che la sua priorità è “essere autentico” ed è “l’unica forma di trascendenza laica in una società fatta da credenti e non credenti”.
LE “CANCELLATURE” E IL RAPPORTO COL MANZONI
Infatti, nel corso dell’intervista a Tracce, Emilio Isgrò ripercorre la storia delle sue prime “cancellature”, partendo da semplici libri, articoli tratti da quotidiani e anche enciclopedie al fine di ricoprire tutte le parole e lasciarne in bella vista solo alcune per produrre un significato del tutto nuovo. Proprio come è accaduto per il “testo sacro” di Alessandro Manzoni: pur essendo da sempre un intellettuale dichiaratamente laico e di sinistra, ha deciso di interessarsi all’opera di un cattolico, intitolando le tavole esposte “I Promessi Sposi cancellati per venticinque lettori e dieci appestati” ed esponendole anche all’ultimo Meeting di Rimini, dove ha riscosso un notevole successo. “Io sono molto legato alla tavola sull’Innominato, dove ho fatto sì che restassero solamente le parole ‘Dio’ e ‘Io’…” afferma, spiegando che il vero convertito del romanzo alla fine è lui e portando il discorso sulla trascendenza. “Mi sono avvicinato a quest’opera con il massimo rispetto” prosegue Isgrò, “senza intenti bellicosi come altri, anche se avere rispetto non vuol dire esserne succubi ma ricavare forza per un progetto nuovo”.
IL RUOLO DELL’ARTE E LA SOVVERSIONE DEI CANONI
E sempre a proposito del rapporto con l’opera del Manzoni e il suo cattolicesimo, Emilio Isgrò rivela di aver percepito come lo scrittore fosse saldamente ancorato ai principi di Cesare Beccaria, pur essendo un credente. “La cosa che mi ha meravigliato non è tanto il fatto che lui fosse un peccatore ma che non fosse un cattolico che aveva paura dell’inferno e desiderava raggiungere il paradiso” afferma l’80enne maestro siciliano, ribadendo che a suo giudizio è questo ciò che di lui amano i cattolici. In una tavola dedicata invece all’incontro tra lo stesso Innominato e il Cardinale, Isgrò ha scritto una poesia di cui l’intervistatore gli chiede conto: “La rottura del tempo di cui parlo è probabilmente l’eternità di Dio, mentre sul piano dell’immaginazione è la rottura di quelle costrizioni a cui la stessa immaginazione è costretta”. Infine, Isgrò conclude definendo quello che, a suo dire, dovrebbe essere il compito dell’arte: “Non educa tanto a come comportarsi nella vita, ma a quel tanto di spregiudicatezza che ti porta, come il Manzoni, a vedere il bene dove altri non lo vedrebbero”: e sullo stato dell’arte nel mondo contemporaneo, Isgrò afferma che l’irresponsabilità e il cinismo sembrano essere la “cifra culturale” di questa epoca, mentre invece la forza di un artista si vede quanto smentisce i canoni solo per rafforzarli: “Basta pensare alla cancellatura che ho fatto io, ovvero il contrario della distruzione della parola…”.