LIPSIA – È rimasto un desiderio incompiuto l’ottavo volume della prima parte (Gloria) della grande trilogia di Hans Urs von Balthasar (1905-1988), quello sul pensiero ecumenico. Questo non ha evitato che si potesse riflettere sul suo pensiero anche in questa prospettiva, come ha fatto per esempio il cardinal Christoph Schönborn in un libro pubblicato da Communio a cura di Karl Lehmann e Walter Kasper, uscito poco dopo la morte del teologo svizzero di Lucerna-Basilea. Cosa questa certo sensata se si pensa che Balthasar aveva già scritto nel 1951 un volume sul teologo calvinista Karl Barth.
Nel numero di giugno del 2014 della rivista Jesuiten (“Gesuiti”, Monaco di Baviera, 2014), diretta dal Padre Klaus Mertens S.J., alcuni gesuiti di lingua tedesca, che hanno a loro volto coinvolto nel loro dialogo anche teologi luterani, hanno riflettuto sul rapporto tra Ignazio di Loyola (1491-1556) e Martin Luther (1483-1546).
I padri Bernhard Knorn S.J. (Francoforte sul Meno) e Johann Spermann S.J. (Ludwigshafen) hanno certamente ragione nel vedere nei due grandi della storia del cristianesimo spagnolo e tedesco del XVI secolo, non primariamente un riformatore ed un contro-riformatore, ma due riformatori di cui si può tematizzare la similitudine nel loro atteggiamento teologico con queste parole: “la predica e una fede personale, che nasce da un riferimento alla persona di Cristo e alla Sacra Scrittura, la riforma della propria vita contro un atteggiamento immorale nel clero, la grande fiducia nella grazia piuttosto che un’univoca sottolineatura delle opere buone” (p. 1).
Molto problematico mi sembra invece l’atteggiamento teologico di uno dei luterani coinvolti nel dialogo, Christoph Picker, direttore dell’Accademia evangelica della Pfalz. Per quest’ultimo esiste un vero ecumenismo solamente se c’è un “incondizionato sì alla pluralità ecclesiale, che non si sottomette agli ordini di Roma, per quanto possa apparire amichevole il signor Bergoglio”. Ma cosa intende Picker con “pluralità ecclesiale”? Ovviamente c’è un riconoscimento di una pluralità di fatto: per fare un esempio forte, il Signore parla ed opera anche attraverso donne, che hanno l’ufficio sacerdotale o vescovile nella Chiesa evangelica luterana, anche se la Chiesa romano-cattolica non ha un tale ufficio e non lo avrà mai. Ma sia Luther che Ignatius sono legati alla parola del Signore e non solo ai fatti creati dalle chiese; questa volontà è molto chiaramente espressa in Giovanni 17: siate una cosa sola come il Padre ed io lo siamo, in modo che siate credibili. Per quanto riguardi gli “ordini romani”, l’autore mostra di non avere la più pallida idea di che cosa sia il legame di un cattolico con il vescovo di Roma: non ha a che fare con comandi, ma con l’amore, che il Signore in primo luogo chiede a Pietro stesso (cfr. Gv 21). Poi per quanto riguarda il modo di parlare del pontefice come “signor Bergoglio”, questo è certamente possibile, ma a me sembrerebbe più ecumenico parlarne come “fratello”; questo vale anche ovviamente anche per il monaco riformatore tedesco.
Padre Markus Schmidt S.J., professore di teologia ecumenica ad Innsbruck, tematizza in modo appropriato la differenza tra i due riformatori. Quello spagnolo vive completamente il “sentire cum/in ecclesia”, mentre quello tedesco contrappone “Vangelo” e “Chiesa”, ma formula questo contrasto stesso in modo ecumenico: “Martin Luther può essere oggi un compagno nella lotta interiore riguardante la giustizia e misericordia di Dio. La sua contrapposizione tra Vangelo e Chiesa può essere intesa come un avvertimento a prendere sul serio il sentire con e nella Chiesa” (p. 3).
Una scelta di frasi curata dal padre Knorn S.J. fa vedere come Luther e Ignazio difendessero in temi cruciali un atteggiamento spirituale e teologico simile: a riguardo del motivo per cui l’uomo è stato creato, dell’indifferenza, della meditazione ed addirittura dell’obbedienza ecclesiale, che per il monaco agostiniano è in primo luogo obbedienza alla Parola di Dio.
La domanda teologicamente più acuta è posta dal direttore della rivista stessa, padre Klaus Mertens S.J., famoso in Germania per la sua posizione di trasparenza sulla questione della pedofilia: se ha ragione Giovanni Paolo II, a parlare nella Tertio Millennio Adveniente (n. 37) di una “ecumene dei martiri” allora perché non prendere più sul serio il fatto che la rottura del 31 ottobre 1517 è stata già superata il 10 gennaio 1945, il giorno in cui il protestante Helmuth James Graf von Moltke è stato ucciso insieme al padre gesuita Alfred Demp, per il fatto di essere cristiano? Io credo che già con la passione e risurrezione di Cristo sia stata superata ogni rottura tra i cristiani – i martiri partecipano “solamente” a questo avvenimento primo dell’amore divino. Nel cuore di Cristo non c’è spazio per una rottura, ma indicandoci il vero metodo dell’ecumenismo, papa Benedetto XVI ha mostrato l’unica via ecumenicamente possibile: stare sempre più all’ascolto di ciò che fa Dio, perché solo Dio può donare l’unità, che è e rimane il suo dono più prezioso. Il resto è un attivismo ecumenico, che non può che creare confusione, per esempio quella già accennata tra riconoscimento fattuale di una pluralità ecclesiale con una giustificazione teologica di una mancanza di unità: cosa questa che contraddice la volontà di Cristo trinitario stesso, che non è mai “pluralismo”, ma “differenza nell’unità”.
Un buono spunto pratico è offerto dal concetto di “ecumene vissuta”, presentato dall’autore protestante Michael Ehrmann, che, anche se protestante, ha la responsabilità per l’insegnamento di religione nel liceo dei gesuiti di Berlino, il collegio Canisio. Una condizione simile a quella in cui mi trovo ad agire io: responsabile dell’insegnamento di religione in una scuola fondata da un protestante (CJD-CHristophorusschule in Droyssig), sebbene cattolico.
Se da una parte a volte rimpiango il mancato volume sull’ecumene del padre Balthasar, dall’altra mi rendo sempre più conto che questo volume viene “scritto” nell’esistenza di tutti coloro che vivono il proprio essere cristiano in una missione ecclesiale che sa di non poter che essere ecumenica – cioè attenta a quello che il Signore vuole da noi, come fecero Ignazio e Lutero.