Nel mondo dell’infinitamente piccolo, popolato dai componenti ultimi della materia, le cose non vanno esattamente come nel mondo macroscopico in cui siamo abituati a vivere. In particolare, alcune grandezze fisiche (come ad esempio l’energia) non variano in maniera continua come accade da noi, ma a scatti, saltando da un determinato valore ad un altro un po’ più grande (o piccolo) senza percorrere i valori intermedi. Si dice allora che questa grandezza è quantizzata e ciascun salto elementare corrisponde ad un suo quanto. Questi quanti hanno vita autonoma e possono essere trattati alla stessa stregua delle altre particelle elementari.
Due ricerche pubblicate recentemente sulla rivista Nature mostrano che in alcuni sistemi fisici è possibile indurre in maniera controllata l’accoppiamento fra grandezze quantizzate quali ad esempio i fotoni (i quanti di luce) e i magnoni (i quanti associati al trasporto dell’energia magnetica). Questi risultati, al di là di un interesse puramente scientifico sembrano essere promettenti anche da un punto di vista applicativo, soprattutto per le possibili ricadute nelle ricerche sui computer quantistici.
Il primo studio, frutto della collaborazione di alcuni centri di ricerca europei (il Max Plank di Garching, l’Università Paris Sud di Palaiseau e la Ludwig – Maximillians Universitaet di Monaco di Baviera), riguarda la modificazione dello spin in una schiera di atomi mediante la propagazione di coppie di magnoni. L’esperimento è stato eseguito su una catena di atomi intrappolati mediante fasci laser (una tecnica di confinamento che sfrutta la pressione di radiazione che si genera all’interno dei fasci laser focalizzati) e raffreddati a temperature molto basse (sempre con tecniche laser).
L’aspetto interessante di questa particolare struttura atomica è quello di riuscire a riprodurre il comportamento di un materiale ferromagnetico (lo stesso di cui sono fatti i magneti). Nei materiali ferromagnetici, infatti, si osservano regioni microscopiche – note col nome di domini di Weiss o domini magnetici – all’interno delle quali esiste un ordine a lungo raggio determinato dal fatto che gli spin degli elettroni (ovvero i momenti magnetici associati alla loro rotazione) sono tutti orientati parallelamente.
Ebbene, l’interazione fra gli atomi di una catena atomica siffatta è tale che tutti gli spin elettronici puntano nella stessa direzione, proprio come all’interno dei domini magnetici di una calamita.
Lo stesso gruppo di ricercatori ha inoltre dimostrato che è possibile alterare l’inclinazione dello spin in un singolo atomo provocando in questo modo una perturbazione che tende a propagarsi anche agli altri atomi della catena. È importante notare che a questa perturbazione è associato un quanto che trasporta l’energia magnetica il cui nome – come anticipato – è magnone. Nel recente articolo apparso su Nature, gli autori riportano i risultati ottenuti perturbando lo spin di due atomi (anziché uno) in modo da produrre due magnoni che propagano contemporaneamente lungo la catena atomica. Poiché i magnoni si comportano come fermioni – ovvero come particelle che obbediscono al principio di esclusione di Pauli e quindi, in linea di principio, non potrebbero stare vicini – ci si aspettava che i due quanti si muovessero indipendentemente o addirittura si allontanassero l’uno dall’altro. Al contrario, contraddicendo le previsioni, l’esperimento ha mostrato che, sebbene in certa misura tendessero a non avvicinarsi troppo, i due magnoni si comportavano fondamentalmente come se fossero intimamente legati.
Nel secondo studio apparso su Nature, un gruppo di ricercatori americani (dell’Università di Harvard, del MIT e del California Institute of Technology) hanno analizzato il comportamento di un sistema fisico costituito da un gas di atomi di rubidio attraversato da un fascio di fotoni polarizzati. Occorre premettere che in condizioni normali questo sistema non riveste particolare interesse, in quanto i fotoni attraverserebbero il gas senza interagire con esso.
Tuttavia, i ricercatori hanno dimostrato che utilizzando come sorgente dei fotoni un laser di caratteristiche opportune è possibile alterare lo stato degli atomi di rubidio in modo tale da produrre in essi uno stato di eccitazione distribuito molto particolare, noto col nome di “stato di Rydberg”. Poiché anche in questo caso vale una sorta di principio di esclusione (in quanto due atomi vicini non potrebbero essere portati entrambi nello stato di Rydberg), l’esperimento mette in evidenza l’esistenza di un’interazione fotone-fotone (responsabile di questa situazione) del tutto analoga a quella tra magnoni scoperta dai ricercatori europei. In definitiva, entrambi gli studi hanno consentito di individuare nuove tecniche di manipolazione dei sistemi microscopici, potenzialmente interessanti per le ricerche che riguardano la codifica di informazioni in sistemi atomici o molecolari: un settore, questo, decisamente strategico per lo sviluppo dei futuri computer quantistici.