La critica che viene mossa al buono scuola è in sintesi la seguente: il buono scuola viene assegnato ex post e a famiglie che hanno già deciso di mandare i propri figli alle scuole private. Pertanto, è uno strumento inefficace (non serve a influenzare le scelte delle famiglie, che hanno già deciso) e inutile (la copertura delle rette di iscrizione è solo parziale). Lo strumento sarebbe inoltre regressivo, perché andrebbe alle famiglie più ricche, quelle che possono permettersi di sostenere i costi delle rette scolasiche. Infine, la gran parte delle risorse sarebbero “incamerate” dalle famiglie e non dalle scuole private, che non hanno aumentato significativamente le rette; in particolare, stando alle stime di Brunello-Checchi (2005), basate peraltro sui soli dati di due anni del buono scuola lombardo, quelli di avvio della politica (2000-2002), solo il 17% di tale politica avrebbe recato vantaggio alle scuole (che avrebbero aumentato le rette) mentre il restante 83% sarebbe restato nell’ambito dei bilanci familiari a parziale ristoro di quanto le famiglie hanno speso per la retta dei loro figli.
Tali giudizi difettano essenzialmente nella comprensione dell’obiettivo dell’istituto del buono scuola. Il buono scuola in Lombardia ha una finalità che non è dirigistica (convincere le persone ad andare nelle scuole private) né assistenzialistica (supportare le famiglie più povere), bensì sussidiaria. Gli obiettivi dichiarati al momento dell’istituzione del buono scuola erano, infatti, legati in primo luogo all’affermazione anche nel settore dell’istruzione del principio di sussidiarietà, della libertà di scelta delle famiglie, della realizzazione di una vera parità tra scuole statali e private e, in seconda istanza, la rimozione, almeno parziale, degli ostacoli alla frequenza scolastica da parte degli studenti di famiglie in condizioni economiche svantaggiate. Tale ultimo obiettivo è stato perseguito dalla Regione in parte con il buono scuola stesso, che copre fino al 50% delle rette per le famiglie meno abbienti, e in parte con gli strumenti tipici del Diritto alla Studio Ordinario, come le borse di studio previste dalla legge n. 62/2000, gli assegni di studio e i fondi per l’acquisto dei libri di testo. In sostanza, il buono scuola nasce dalla considerazione che le famiglie che mandano i propri figli alle scuole private sono sottoposte ad una specie di “doppia tassazione”: una volta con versamenti alla fiscalità generale, che finanzia le scuole pubbliche, ed una volta sottoforma di retta scolastica.
Se questo è il background all’interno del quale matura l’obiettivo dell’istituzione del buono scuola, si può dire che essa abbia ottenuto risultati molto positivi. In primis, il fatto che le risorse servano a finanziare le famiglie è assolutamente coerente con lo scopo di questa politica (“restituire” parte delle risorse spese per l’istruzione dei figli) che attualmente copre una buona percentuale degli iscritti alle scuole paritarie; nell’a.s. 2005/06, oltre 65.000 studenti hanno ricevuto il buono scuola (dato, in valore assoluto, degli iscritti alle scuole non statali primarie, secondarie di I e II grado in Lombardia nell’a.s. 2005/06 è pari a 88.766 studenti – fonte: Ministero della Pubblica Istruzione, www.pubblica.istruzione.it). Il contributo medio per studente è passato da 637 euro del 2000/2001 agli 823,24 euro del 2005/2006. Nell’ultimo anno preso in considerazione la Regione ha erogato buoni scuola per 44.826.342,00 euro. I nuclei familiari coinvolti sono costituiti mediamente da 3,7 componenti mentre il 45,21% sono famiglie con 4 componenti. Da ciò si evince come, in generale, si tratta di famiglie relativamente numerose rispetto alla media nazionale. Tra le famiglie censite, è insignificante il dato delle famiglie con più di due redditi (0,57%).
In sostanza, la maggior parte delle famiglie che hanno deciso in questi anni di mandare i figli alle scuole private è stata aiutata dalla Regione Lombardia, con un contributo che non ha la pretesa di “incentivare” la scelta, ma di sostenerla secondo una logica di sussidiarietà e non di pianificazione. Alcuni studi recenti (si veda Violini et al., 2007 ) dimostrano poi come il reddito medio dei percettori del buono scuola sia nei fatti coerente con il reddito medio delle famiglie lombarde. Non è dunque vero che il buono scuola sia attribuito prevalentemente a famiglie mediamente più ricche rispetto alla popolazione; e, invero, il 72% delle famiglie beneficiarie è risultato appartenere a classi di reddito inferiori ai 25 mila Euro.
Dall’analisi dei dati si evince come, per quanto concerne l’ipotizzato innalzamento della retta media, esso si è effettivamente realizzato, ma è da riferire solo alla prima edizione del buono scuola (in quanto le scuole private si trovavano a vivere in una congiuntura economica sfavorevole), mentre nei tre anni successivi si è registrato un andamento della retta non soltanto sostanzialmente di equilibrio, ma al di sotto dell’indice inflativo. Anche le scuole hanno dunque tratto vantaggi indiretti da questa politica, come è testimoniato dal fatto che in Lombardia la mortalità delle scuole private è assai meno alta che nel resto del Paese.
Tutto ciò posto, poiché esistevano alcuni problemi di tipo pratico/tecnico quali, ad esempio, la necessità di formulare più domande per accedere a servizi di diritto allo studio diversi dal buono scuola e la ricezione del contributo ex post, la Regione Lombardia ha avviato un processo di ripensamento delle proprie politiche, per renderle tutte coerenti con lo spirito del buono scuola (sussidiarietà) e per migliorare questi aspetti pratici: è il progetto della cosiddetta “dote scuola”, che ha avviato un processo di razionalizzazione il sistema, trasformandolo in contributi ex ante da attribuirsi sia agli allievi delle scuole pubbliche sia a quelli delle private.