Si potevano fare. Le tracce della maturità non erano avversari temibili come la Spagna, ma alla portata come l’Irlanda. Ognuno poteva giocarsela: a patto di non cincischiare, di non limitarsi al proprio compitino (altrimenti poi ti punisce anche l’Irlanda).
Detto meglio: quando apri una traccia e leggi Eco: «Siamo circondati di poteri immateriali», che fremito ti passa nelle vene? Quando leggi che la letteratura è fatta di testi scritti «per amore di se stessi», «senza che nessuno ci obblighi a farlo», questo corrisponde a un’esperienza che fai o l’idea che ti sei fatto della letteratura è lontanissima dall’amore e vicinissima all’obbligo? «A che cosa serve questo bene immateriale che è la letteratura?»: maturando, ti sei sentito capovolgere da questa domanda? Chissà quante volte te la sei fatta e ti sei risposto da solo, con un cinico “a niente” o con un “secchionoso” (neologizzo pure io) “per il proprio bagaglio culturale”. Ti prego, questa volta non ti sei risposto da solo, vero? Potevi guardare la tua esperienza, e dirlo al mondo: a cosa ti è servita la letteratura? quando ti è servita?
E poi: padre-figlio. «Mio padre, l’ultima istanza»: perché un bambino guarda suo padre come guardasse Dio. «L’ultima istanza»: espressione kafkiana potentissima! Ci hai tremato? Hai avuto il tempo di tremare? O l’ansia di fare il saggio, di come inserire la citazione, di come fare l’antitesi, ha preso il sopravvento? Quando hai letto che quell’«ultima istanza», mentre il bambino chiedeva l’acqua, arrivava «nella notte senza motivo e portarmi dal letto sul ballatoio, e che dunque io ero per lui una totale nullità», hai sentito l’eco del tuo sgomento da bambino? e del tuo sgomento di adesso, quando chiedi sempre e niente ti risponde, e ti sbatte fuori, mentre chi non chiede niente rimane dentro? Dovevi inabissarti lì dentro, quando ti senti «una totale nullità», perché per la tua «ultima istanza» sei «una totale nullità»: la tua amarezza ha straripato su quei fogli?
Insomma, in fondo il problema non sono le tracce: belle o brutte, difficili o facili, da ragazzi o da grandi. Il problema, specialmente in un momento storico come il nostro, non sono innanzitutto le cose fuori, ma come le affronti tu. La squadra avversaria era alla tua portata, ma tu hai giocato col sangue agli occhi? Precisando ulteriormente: tu, maturando, ti fidi di chi leggerà il tuo tema? O la tua esperienza ti dice che è inutile giocarsi la faccia di fronte a gente che non sa niente di te? Per tracce come queste ci voleva tutta la tua sensibilità: che forse hai dovuto sempre tenere a bada, sempre col freno a mano tirato, perché venivano sempre prima altre questioni (la struttura del saggio breve, i crediti, i saggi suggerimenti degli insegnanti). Tu, tu vieni prima! Se però la tua «ultima istanza» chiamata scuola ti ha fatto sentire «una totale nullità», allora «a che cosa serve questo bene immateriale che è la letteratura?».
La tua «assurda insistenza nel chiedere» – acqua, o felicità o conoscenza o bellezza – che «metodi educativi» ha incontrato? La scuola è stata per te «l’assassino»? Troppi raccontano esperienze simili a quelle di Alba De Céspedesp nei tempi bui: «Ero accusata di aver detto liberamente quel che pensavo». Scrivilo, gridalo: è l’unica novità, in tempi di bravi ripetitori di discorsi condivisibili.
Solo chi è certo di non essere «una totale nullità» può scrivere un bel saggio anche sul Pil o sul paesaggio. Perché aveva ragione Kennedy mezzo secolo fa: il Pil «non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori famigliari o l’intelligenza del nostro dibattere. Il Pil […] misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta». E qui eccolo subito, il bivio: sprofondare nella retorica (“ah, sì, i soldi non danno la felicità…”) o sentire queste cose sulla propria pelle, come le sentiva quel ragazzo che un giorno, sulle Dolomiti, guardando «i oci ciari come l’aqua» della ragazza che amava, poteva cantare: «Cosa importa se g’ho le scarpe rote? Mi te vardo e me sento ‘l cor contento!». Se non ci hai mai pianto, potrai pontificare quanto vuoi: il paesaggio va tutelato, l’avventura scientifica è importantissima, menomale che ormai le donne votano, i confini, le frontiere, i migranti e bla bla bla. E se hai – come è facile che sia – insegnanti pontificanti, un bel punteggio in quindicesimi non te lo toglie nessuno. Ma il 15 è la misura di tutte le cose?
Tutto dipende da quanto tremi per queste cose, da quanto ti commuovono: non da quanto, insopportabilmente, siamo tutti bravi a straparlarne. Se pensavi a tuo padre che non c’è più, potevi fare il capolavoro che qualche anno fa scrisse Tricarico in una canzone che spero tu abbia ascoltato: «io ero un bambino che rideva sempre, ma un giorno la maestra dice “oggi c’è tema, oggi fate il tema, il tema sul papà”. Io penso “è uno scherzo”, sorrido e mi alzo, le vado vicino ed ero contento, le dico “non ricordo, mio padre è morto presto, avevo solo tre anni, non ricordo non ricordo”. Lei sai cosa mi dice? Neanche mi guardava, beveva il cappuccino, non so con chi parlava; dice “qualche cosa, qualcosa ti avran detto, ora vai a posto e lo fai come tutti gli altri”. Puttana puttana, puttana la maestra! Io sono andato a posto: ricordo il foglio bianco, bianco come un vuoto di vent’anni nel cervello; e poi ho pianto, non so per quanto ho pianto, su quel foglio bianco io non so per quanto ho pianto». Non hai barattato questo pianto per un 13/15, vero?
Se hai pensato allo spazio in cui non sei mai stato ma all’incanto delle stelle che ti puoi portare addosso anche in quel corridoio squallido in cui ti fanno fare le prove, e hai intuito per un attimo che quello ora è il tuo spazio, quella la tua avventura, quello il paesaggio da difendere, quella la frontiera da varcare, allora altro che 15 meriteresti, altro che 100! Non c’è voto, perché i centesimi non sono la misura di tutto. E tu lo sai, quant’è misera la gente che sbava sulle monetine dei centesimi, e quant’è bello sentirsi cento volte di più che «una totale nullità», sentire che c’è un’«ultima istanza» che risponde alla tua sete, che «la scintilla brilla in fondo al mare». Grida ancora la tua sete, per tutta la notte, infastidisci la loro pace: ora puoi andare alla seconda prova e sfidare la tua Spagna, con la certezza di essere, di valere infinito.