Dunque, dopo quella attuata dalla Buona Scuola, si prepara un’altra forte immissione in ruolo di docenti statali. Se quanto stabilito l’altro giorno dalle Commissioni Cultura del Parlamento verrà confermato dal Governo, andremo ad un raddoppio dell’operazione di reclutamento degli ultimi due anni e assisteremo ad un altro “favore” del Pd al proprio sindacato (come avvenuto per l’abolizione della chiamata diretta dei docenti e dei voucher lavoro).
Infatti, nelle more del cambiamento che nel 2020/2021 dovrebbe vedere avviata la nuova formazione iniziale dei docenti ed il loro reclutamento ordinario, le Commissioni hanno optato per una fase transitoria fatta da un complesso meccanismo di corsi e concorsi per sistemare gli oltre 80mila precari dalle varie graduatorie esistenti. La Cgil — ovviamente — lo chiama “piano quinquennale”!
Stando a quanto disposto dall’art. 17 dello Schema di decreto sulla formazione iniziale ed il reclutamento dei docenti, licenziato dalle Commissioni, nei cinque anni della transizione circa 80mila precari verranno assunti in ruolo, mentre nella metà restante dei posti entreranno i vincitori di concorso ancora in attesa.
Il meccanismo della transizione. I docenti abilitati oggi inseriti nelle seconde fasce delle graduatorie di istituto e in cattedra da molti anni, formati nei Tfa o Pas, saranno “inseriti entro l’anno scolastico 2017/18 in una speciale graduatoria regionale di merito” (anche questa ad esaurimento — è la prima) dopo aver affrontato un’apposita prova orale di “natura didattico-metodologica“. Un concorso “leggero” che terrà conto anche del superamento di precedenti concorsi. Questi docenti saranno ammessi direttamente al terzo anno del nuovo percorso di ingresso nella scuola (Fit). Un “salto” non da poco per la definitiva immissione in ruolo in una quota di posti vacanti loro riservata. A questa fase saranno inserite anche tante aspiranti maestre con diploma magistrale, conseguito fino al 2002, che non hanno intrapreso azioni legali per entrare nelle Gae (graduatorie a esaurimento).
Inoltre si prevede che i docenti non abilitati “che abbiano svolto almeno 36 mesi di servizio entro il termine di presentazione delle domande siano ammessi a partecipare a speciali sessioni concorsuali loro riservate” abbiano una procedura semplificata (prova scritta e orale) che si svolgerà in contemporanea al nuovo concorso del 2018, con graduatoria finale (sempre ad esaurimento — è la seconda) dalla quale saranno ammessi al percorso di formazione (Fit) direttamente al secondo anno.
Durante i cinque anni della fase transitoria i neolaureati che avranno fatto, nel frattempo, anche i due anni della laurea magistrale per l’insegnamento e che abbiano conseguito almeno 24 crediti formativi in “discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche”, attenderanno dal 2018 un concorso ogni due anni (saremo nel 2020). Il loro concorso (da cui uscirà una graduatoria — è la terza) non li immetterà in ruolo, ma permetterà loro di frequentare tre anni di formazione (Fit), cui seguirà l’assunzione in ruolo per un anno di prova (saremo nel 2023), per giungere, dopo la valutazione, alla conferma nell’insegnamento stabile (saremo nel 2024!).
Siccome i docenti assunti nella fase transitoria non avranno questo lungo percorso, se questo scenario diventerà legge (come è probabile, visto l’accordo Pd e 5 Stelle) sarà difficile sostenere che la nostra scuola è per giovani e meritevoli, visto che pesi e misure in questi anni (ma d’altronde come in quelli passati!) saranno ben diversi a secondo delle categorie.
Se tentiamo di riflettere su questo “marchingegno” va notato innanzitutto che la passione a complicare sempre più i vari aspetti del sistema appare come una condanna che lo stesso sistema subisce, attorcigliando in sé stesso le miriadi di condizionamenti che si è dato nei decenni del governo sindacati-burocrazia. Al coraggio di serie riforme che semplifichino e invoglino gli accessi all’insegnamento (tra le professioni più scoraggiate e bistrattate), il mix di cultura sindacale del diritto assoluto e di cultura amministrativa di assolutezza delle procedure, continua a generare nuove complicazioni. Cui seguiranno di nuovo stagioni di ricorsi e contenzioso da parte di nuove categorie che si sentiranno escluse.
Infatti in questo schema di decreto, mentre si persegue l’obiettivo di eliminare le Gae (a loro volta create per eliminare le precedenti), se ne creano delle nuove per le varie categorie da sistemare, così che al termine dei cinque anni di transizione nuove rivendicazioni faranno di nuovo contorcere il sistema, come sta accadendo ora rispetto al passato.
Cosa c’entri tutto questo con la qualità dell’istruzione, il merito nella professione e il diritto ad un sistema scolastico che persegua innanzitutto le emergenze educative, è tutto da dimostrare. Non a caso leggiamo che, per tutta l’operazione, l’obiettivo dichiarato dai protagonisti — ministro e segretario Cgil Scuola — è “un sistema pregresso di precariato da sanare”.
Come tante cosiddette “riforme” del passato, l’obiettivo perseguito è la sistemazione del personale. Ancora una volta resteremo in attesa di misure che siano realmente finalizzate a dare risposte alla domanda formativa della società, a migliorare la professione docente, ad incoraggiare all’insegnamento i giovani, specialmente gli uomini, che negli anni sono fuggiti dalla scuola.
Nello stesso provvedimento esaminato, mentre tornano di moda i concorsi “leggeri”, Parlamento e Governo stanno varando un meccanismo che chiederà nove anni (!) per avere un posto stabile di insegnamento nelle medie e nelle superiori. Eppure si tratta di un provvedimento, come ha sostenuto Gavosto, “di non poco conto per il futuro dei nostri figli”.
Il percorso dello schema di decreto esige: tre anni di laurea, due di laurea magistrale per l’insegnamento, un concorso, tre anni di tirocinio e specializzazione e un ultimo anno di prova per la conferma in ruolo: una durata veramente eccessiva ed un meccanismo fuori dalla vita reale delle scuole, che scoraggerà sempre di più i giovani e gli uomini verso la professione docente, come Disal ha sostenuto nella propria audizione in Parlamento.
Se attraverso il tirocinio e l’insegnamento in classe (comunque pagato 400 euro al mese!) parrebbe di ravvisare un’inversione di tendenza, checché ne sbandierino i promotori, in realtà il percorso di fatto rimane tutto affidato all’università, dove le scuole sono considerate solo sedi di tirocinio. La subalternità e l’estraneità della scuola permane, sempre a tutto vantaggio del mondo accademico, anche nei vari momenti di valutazione della specializzazione, come accade già nei Tfa e Pas vari, oltre che nella laurea magistrale.
E’ clamoroso infatti che persino dalla valutazione della fase di specializzazione non abbiano un ruolo decisivo sia il dirigente scolastico che i docenti tutor della scuola che hanno visto il candidato prestare servizio!
Lo stesso concorso rimane lontano dalle esigenze reali della scuola, in quanto si limita a valutare le conoscenze e non le competenze, oltre a non utilizzare nessuna azione didattica.
Si resta abbarbicati all’idea di selezionare solo sul sapere, senza curare il saper insegnare ed ancorati alla triste separazione tra teoria e pratica che caratterizza non solo quasi tutto il mondo universitario, ma pure lo stesso mondo scolastico.
Lo schema di decreto non si preoccupa neppure di delineare un “profilo del docente” che si vuole reclutare, abbandonando al mondo universitario le definizione delle competenze necessarie. Competenze didattiche, aspetti motivazionali e attitudinali, formazione pedagogica, competenze comunicative e relazionali, capacità di lavorare in gruppo, di costruire progetti e alleanze, restano tutte escluse.
Siamo ben lontani non solo dai sistemi di formazione e reclutamento di gran parte di sistemi europei e dei paesi avanzati, ma, più gravemente, da un provvedimento in grado di rispondere alla domanda di cultura, istruzione, formazione dei prossimi decenni.