Con la cerimonia di dedicazione officiata da Benedetto XVI domenica 7 novembre, la cattedrale barcellonese della Sagrada Familia potrà essere utilizzata come chiesa, pur continuando a restare cantiere attivo nella prosecuzione delle opere.
Antoni Gaudì (1852-1926) dedicò al suo progetto e alla sua costruzione le migliori energie, vi condensò la sua fede, la sua immaginazione, il suo genio geometrico e costruttivo. Divenuto direttore, nel 1883 a soli 31 anni, del cantiere avviato da poco per volere di un’associazione religiosa, a partire dal 1914 abbandonò ogni altra attività per lasciare, ai suoi successori nella direzione dei lavori, indicazioni sufficienti per concluderla.
Asse portante di tutta la ricerca del grande architetto catalano, grandioso e unico esempio di architettura moderna che si connette con le cattedrali medievali introducendo anche innovazioni geometriche e costruttive che ancora stupiscono, la cattedrale sfida la secolarizzazione di molta cultura contemporanea con la sua forza simbolica, che la rende epifania di un sacro cristiano avvertito dai moltissimi visitatori provenienti da ogni parte del mondo.
In due riflessioni dello stesso Gaudì si sintetizza il significato di questa chiesa. L’architetto catalano non era favorevole alle imitazioni stilistiche in voga al suo tempo; in particolare non riteneva adeguato il recupero dello stile gotico che molti suoi contemporanei ritenevano il più adatto per i luoghi di culto cattolico. Giovanissimo egli scrisse: “…nel continuare lo stile gotico, adoriamo più che altro il Medioevo, con le sue qualità e le sue manchevolezze. Le sue forme plastiche fanno riaffiorare alla memoria fatti, personaggi, tradizioni di quella gente, tanto da poter dire che, loro tramite, si definiscono idee romantiche più che religiose, idee che consentono la tutela della religione e dell’arte di altri tempi; non dunque un’arte che si identifichi nella religione esprimendola adeguatamente, bensì un’arte che si impone come stile. Nemmeno al simbolo, così prevalente in passato, è attribuita la dovuta importanza, che si riduce tutta, sembra ridicolo, alla foglia di cavolo, all’acanto, ai trafori e alle modanature, ma in senso puramente plastico” (Manoscritto di Reus, 10 agosto 1878).
A suo parere, dunque, era indispensabile che l’architetto esprimesse il suo vivo senso religioso, il suo senso del sacro, nell’architettura; doveva essere questa la sorgente della sua creatività, produttiva di novità non passivamente non imitativa del passato.
Ormai avanti negli anni, riflettendo sull’avventura che stava vivendo in prima persona come direttore del cantiere, avvertiva di aver assunto un compito di rappresentanza. Non vi esprimeva infatti solo il proprio sentire, ma anche quello del popolo catalano. Affermò: “La chiesa della Sagrada Familia è realizzata dal popolo, che vi trova riflesso il proprio modo d’essere. E’ un’opera posta nelle mani di Dio e affidata alla volontà del popolo. Vivendo a contatto con il popolo e rivolgendosi a Dio, l’architetto svolge il proprio compito. E’ la provvidenza che, secondo il propri disegni, porta a termine i lavori” (Pensiero di Gaudì raccolto dagli allievi).
Poiché riteneva che la Chiesa fosse l’edificio più rappresentativo di un popolo credente, Gaudì si propose di attuarvi la sintesi spaziale e figurativa dell’immaginario simbolico della tradizione cattolica. La cattedrale sarebbe così diventata figura della Chiesa Universale, celeste e terrestre, oltre che, secondo la sua dedicazione, omaggio di devozione a Gesù Cristo e ai genitori terreni, Giuseppe e Maria, che insieme compongono il modello ideale della famiglia cristiana.
Una impresa delle dimensioni della Sagrada Familia chiede tempi lunghi per essere portata a termine. Alla morte di Gaudì, il 10 luglio 1926, gli successe, alla direzione del cantiere, l’architetto Doménech Sugranyes, già suo collaboratore, che completò, entro il 1930, il coronamento delle torri-campanile e molte sculture. Nel luglio del 1936 la furia iconoclasta dei protagonisti della guerra civile, incendiò la cripta e distrusse il laboratorio di Gaudì. Vennero bruciati molti disegni; rovinata la maggior parte dei modelli in gesso e legno, direttamente modellati dall’architetto.
Alla morte nel 1938 di Sugranyes il cantiere venne affidato all’architetto Francesc Quintana, che ricostruì la cripta del tempio; avviò il restauro dei modelli in gesso della chiesa originale; costruì, infine, la parete con il finestrone neogotico, nel braccio est del transetto.
Nel 1954, a seguito di pressioni da parte di molte personalità di varie parti del mondo che ammiravano l’opera dell’architetto catalano, la Junta Constructora del Templo decise di avviare la costruzione della facciata della Passione. Si organizzarono raccolte di fondi per la continuazione dei lavori, che vennero guidati, in un primo tempo, da Francesc Quintana, poi da Isidre Puig Boada, infine da Lluis Bonet Garì. Entro il 1976 l’architettura dell’intera facciata, compresi i quattro campanili, era ormai conclusa. I lavori proseguirono poi sotto la direzione di Puig Boada e Bonet Garì, fino a quando, nel 1981, questi passarono l’incarico, perché ormai ottuagenari, a Francesc Cardoner.
Del 1985 fino ad oggi l’incarico di progettista capo è stato assunto dall’architetto Jordi Bonet i Armengol, che si impegnò a rinsaldare le fondazioni su cui insisteva la chiesa, a costruire le pareti che delimitano le navate, a innalzare le colonne arborescenti, a chiudere lo spazio perché possa essere utilizzato per il culto.