Due giorni fa quando il quotidiano Le Monde ha annunciato che era in vista in Francia una multa miliardaria per la casa automobilistica italoamericana colpevole di avere barato in termini di emissioni, il titolo Fca ha perso poco meno di un punto percentuale quasi in linea con la discesa della Borsa in generale e anche ieri è arretrato dello 0,55%, poca roba insomma. Oltre nove miliardi di euro di multa per Fca significano l’utile netto di un paio di anni, mica bruscolini, ma gli investitori non hanno fatto una piega, o quasi, per due i motivi.
Il primo è che una cosa è comminare una multa, ammesso che arriverà mai, un’altra è doverla pagare. Soltanto il Gruppo Volkswagen ha ammesso le sue responsabilità per l’installazione dei device che tagliavano le emissioni durante i test prescritti dalla legge, mentre né Fca, né altri costruttori l’hanno fatto. Quindi, ammesso che la multa venga comminata ci sarà un contenzioso che potrebbe durare anni e arrivare fino ai più alti gradi di giudizio europei. Il secondo motivo è che l’Europa ha le sue regole. Tra queste anche quella che prevede che sia il Paese in cui vengono costruite auto che effettua i test per le omologazioni in tutto il continente. La Francia che mette in dubbio i valori delle emissioni di alcuni diesel di Fca, mette in dubbio le capacità e la professionalità e, persino, l’onestà dei tecnici del ministero dei Trasporti italiano. Un vero vespaio internazionale e istituzionale da cui sarà difficile uscirne con un semplice verbale d’infrazione della Direzione generale della concorrenza, consumo e repressione delle frodi (Dgccrf) trasmesso, non la settimana passata, ma nel marzo scorso all’autorità giudiziaria francese.
Ripetiamo a scanso di equivoci. Tutti sapevano che i test effettuati al banco sulle vetture non riflettevano i consumi e le emissioni reali in un uso stradale dei veicoli. I test di laboratori con le auto ferme sul banco (quelle che ancora vengono effettuati in Italia per le revisioni biennali, per intenderci) venivano condotti in condizioni ottimali, favorevoli e identiche per tutti i costruttori. Nessuno avrebbe mai immaginato che qualcuno fosse così stupido da installare sui veicoli un software che riconoscesse i test di legge per settare i parametri delle vetture in modo che potessero superare i test. Qualcuno lo ha fatto (il Gruppo Volkswagen), lo ha ammesso dopo che è stato beccato e la sta pagando abbondantemente sul piano dell’immagine e su quello della vil pecunia. Ma nessun altro costruttore, da quello che si sa, è nelle medesime condizioni, ovvero non è stato trovato un software, o un device che controllava le centraline durante i test riducendo le emissioni. E se ci fosse stato lo avremmo saputo perché funzionari e magistrati di tutto il mondo lo stanno cercando da almeno due anni.
In ogni caso, le multe, i magistrati, non sono niente in confronto a quello che sta arrivando addosso all’intera industria automobilistica europea che, ridendo e scherzando, dà lavoro nel Vecchio continente a 12,5 milioni di persone. Una sorta di Dilemma del prigioniero da sarà difficile uscire. Le emissioni medie delle auto vendute sono state ridotte del 25% negli ultimi dieci anni, ma entro il 2021 dovranno scendere a 95 grammi per chilometro di media (contro i 118 attuali) e adesso si parla di un ulteriore taglio del 30% entro i 2030. Questi valori si possono raggiungere soltanto se si venderanno almeno il 25% di auto a zero emissioni, ovvero elettriche. Ma cercare di piazzare auto elettriche ora in Europa è come cercare di vendere frigoriferi al Polo. Le persone non le vogliono perché sono troppo costose, hanno troppa poca autonomia e tempi di ricarica troppo lunghi.
Quindi i geni del Parlamento europeo offrono queste alternative all’industria automobilistica europea: svenarsi investendo miliardi per cercare soluzioni tecnologiche che possono arrivare, ma anche no, regalare o quasi le auto elettriche e perderci due volte perché non si venderebbe e guadagnerebbe su un’auto normale, oppure pagare multe miliardarie direttamente a quei geni che fanno le regole impossibili da rispettare. Gli anni delle vacche grasse in Europa sono certamente finiti e bisogna cominciare a preoccuparsi della sopravvivenza della vacca.