La recente pubblicazione da parte del Miur della Guida Operativa per la Scuola per le attività di alternanza scuola-lavoro sta fibrillando la scuola secondaria superiore italiana. Preoccupazioni operative (“come diavolo si fa a iniziare già quest’anno?”, ecc.) si mescolano e si confondono, come spesso accade, con perplessità culturali (“ma i licei, cosa c’entrano con l’alternanza?”).
Il tema dell’alternanza scuola-lavoro oggi è un tema “caldo”. Per non raffreddarlo prima del tempo, proviamo ad evidenziarne alcuni fattori.
Tutto sta scoppiando improvvisamente? La scuola italiana, forte di un’identità e di una tradizione culturale “alta”, anche se ora un po’ in crisi (“se solo ci fossero i soldi…”), viene di colpo investita da direttive ministeriali che rischiano di snaturarla?
In realtà, l’alternanza è innanzitutto tre cose: un fenomeno, una metodologia e una sfida.
1. Un fenomeno già presente nella scuola. Perché un fenomeno? Perché non nasce oggi. Da sempre utilizzata nei percorsi di formazione professionale — ora istruzione e formazione professionale —, l’alternanza non è in realtà estranea alla scuola dell’ultimo decennio: già tre anni scolastici fa, secondo i dati ufficiali di un monitoraggio curato dall’Indire, quasi la metà delle scuole secondarie superiori stava sperimentando l’alternanza, coinvolgendo ben 230mila studenti. E non si trattava solo di istituti tecnici e professionali: il 20% erano infatti licei, oltre 600. Non solo: delle 80mila strutture che hanno accolto i ragazzi, il 30% non erano imprese o professionisti, ma comuni (più di 2mila), biblioteche, comunità montane, aziende di promozione del territorio, ecc.
Più di un docente era in effetti dubbioso, ma tanti ragazzi alla fine hanno espresso la loro soddisfazione per un’esperienza che hanno vissuto come preziosa e suggestiva.
Oggi, certo, il passaggio richiesto alle scuole è notevole (quali le novità? Eccole in una scheda sintetica di Diesse), ma non si parte da zero.
Tra l’altro, la guida ministeriale si presenta come un documento interessante, un mix abbastanza insolito di precettività e di spazi di libertà. Al suo interno si possono trovare considerazioni generali sul valore dell’alternanza, direttive operative e addirittura una trentina di pagine di modulistica.
Insomma, abbastanza dettagliato da far capire che l’alternanza diventa davvero un elemento strutturale della scuola superiore italiana, e sufficientemente “lasco” da chiamare direttamente in causa l’autonomia di ogni singolo istituto scolastico.
2. Una metodologia formativa e orientativa. L’alternanza, poi, oltre a essere un fenomeno già presente nella scuola, non è tanto un semplice strumento, ma, come la normativa recente spesso richiama, una metodologia. Diversa, per sua natura, sul versante liceale e sul versante tecnico-professionale, essa presenta dimensioni ancora poco o per nulla indagate: per fare un solo esempio, non si tratta solo di un luogo in cui “si applica” qualcosa di imparato a scuola (concezione un po’ riduttiva…), ma di un luogo in cui si scoprono cose nuove, tra l’altro anche su se stessi. Ovvero: gli studenti possono rientrare a scuola con una consapevolezza più ricca del senso del loro stare in quel determinato percorso scolastico. Effetto, dunque, anche orientativo.
Ma a quali condizioni questo può avvenire agevolmente e non solo in via straordinaria? Su questo occorrerebbe incentrare una buona parte del dibattito.
3. Una sfida strategica. Un elemento metodologico potenzialmente così pregnante per la vita degli allievi e per il mestiere degli insegnanti, che ha così tante connessioni con lo scopo e la funzione di un sistema scolastico e che è in grado di costituirne uno degli aspetti strutturali pone, di per sé, una serie importante di problemi. Ancora di più se ci si trova nel delicato momento di passaggio in cui ciò che fino a ieri era una “buona prassi”, o una sperimentazione, diventa elemento strutturale dell’offerta formativa complessiva.
Occorre quindi individuare e distinguere tra i problemi insiti nell’alternanza scuola-lavoro in genere e quelli specificamente riferiti al fatto che essa è diventata, con la legge sulla Buona Scuola 107/2015, un obbligo da adempiere.
Per quanto riguarda i primi, sono da segnalare:
A) la necessaria personalizzazione di 200 o 400 ore nel percorso del triennio per tutti gli studenti. L’alternanza è infatti per sua natura personalizzazione: ogni studente ha il suo percorso, in aziende diverse, su compiti diversi;
B) la condivisione della responsabilità educativa della scuola con soggetti diversi da sé (il che significa nell’ordine: individuare/evidenziare a se stessa la propria responsabilità, individuare quali aspetti possono essere condivisi, imparare a parlare la lingua del modo del lavoro, riconoscere in diversi partner aziendali le diverse sensibilità educative che possono essere integrate…);
C) l’elaborazione di una teoria della valutazione che sappia integrare aspetti cognitivi e competenze, esiti di percorsi disciplinari e esperienze in situazione, momenti di valutazione esterna e di autovalutazione, ecc.
Il tutto in un quadro comprensibile al ragazzo, a tutti i docenti, alle famiglie, alle imprese e contemporaneamente senza eccessi docimologici, peraltro difficili poi da gestire.
Un lavoro di questo genere implica individuare il curricolo e preparare le basi per la redazione di un Piano dell’offerta formativa degno di questo nome e di tanto lavoro.
Per quanto riguarda i secondi (i problemi relativi all’obbligo dell’alternanza ex legge 107/2015) possono essere evidenziati:
I) la difficoltà di individuare un numero rilevante di partner affidabili con cui si possono avere contatti efficaci, nel proprio territorio o altrove;
Ii) la necessità di individuare un numero sufficiente di figure professionali chiave quali i tutor, che costituiscono un’importante condizione di fattibilità dell’alternanza scuola-lavoro nel complesso della scuola italiana;
Iii) la necessità di creare reti finalizzate, che non abbiano lo scopo di sperimentare il modello ideale, ma di far funzionare in modo sostenibile il sistema nella sua fase di avvio.
La prima serie di problemi richiede un lavoro culturale di ampio respiro, che permette di affrontare, innanzitutto comprendendole, le difficoltà e le sfide concrete, e dagli esiti di queste è a sua volta giudicato e rimodulato.
Il secondo tipo di problemi è di tipo manageriale, e per questo motivo implica anch’esso un profondo lavoro tanto sulle competenze della dirigenza scolastica quanto sulla cultura professionale degli stessi docenti.
Questo lavoro culturale, evidentemente troppo ampio perché se ne possa trattare in un singolo articolo, è però sufficientemente urgente da meritare almeno l’individuazione di due punti di partenza.
1. Un possibile punto di riforma “autentica”. L’alternanza scuola-lavoro non è certo la panacea della scuola o dell’economia italiana, ma probabilmente un significativo punto “eversivo” in un sistema troppo bloccato e inefficace rispetto alla trasmissione delle conoscenze, all’educazione delle giovani generazioni, alla mobilità e alla crescita sociale delle fasce più deboli della popolazione, all’integrazione degli studenti stranieri.
2. La necessità di un luogo di lavoro condiviso. L’esperienza della Bottega sul lavoro di Diesse (ora Teamwork Scuola/Lavoro), che portiamo avanti da anni e che ci ha fatto incontrare, per conferenze e seminari di formazione, tante scuole dall’Emilia alla Calabria, ci conferma che non poche istituzioni scolastiche sono alla ricerca di una nuova visione della scuola, e questa non può non partire dal riconoscere e comprendere meglio ciò che si sta già facendo.
Di fronte al fatto che da oggi occorre pensare un percorso di alternanza per ciascuno degli allievi delle attuali terze di ogni scuola secondaria superiore, a qualsiasi ordina appartenga, la prima cosa da fare è capire in che cosa consista l’esperienza messa in campo dalla propria istituzione scolastica. Quali sforzi abbia significato e quali risultati abbia conseguito, con quali prospettive, attivando quali alleanze virtuose, con quali aziende e a che condizioni.
Da un certo punto di vista si potrebbe sperare che intervenga il ministero a togliere le castagne dal fuoco, imponendo un sistema “talmente vincolante che non ci sia più bisogno di essere autonomi”. Ma, almeno a giudicare dal Vademecum, non sembra questa la strada intrapresa. E questo libera lo spazio per un lavoro di confronto, di analisi, di circolazione di informazioni ed expertise, di individuazione di punti strategici e di soluzioni praticabili nelle singole situazioni che ogni associazione professionale può porre come elemento strategico della sua presenza nella scuola italiana.
Solo cogliendo l’alternanza come una sfida, e riconsiderandola nei suoi diversi aspetti “sfidanti”, essa potrà essere una risorsa non banale per ripensare la scuola di oggi.