Apprezziamo sinceramente gli sforzi fatti dal ministro Gelmini nel cercar di capire le ragioni e le osservazioni fatte per contribuire alla costruzione del futuro della nostra scuola, e quindi a ricalcolare le previsioni di posti disponibili nella scuola statale di qui a tre anni. I nuovi numeri per la “programmazione degli accessi” ai corsi di laurea magistrale e al TFA abilitante che stanno circolando non rendono però ragione della realtà dalle scuole italiane, nelle quali insegnano da anni 129mila docenti non abilitati (sono dati Miur…); legare quei numeri ai soli pensionamenti, infatti, riduce la portata del problema e le possibilità effettive. Eppoi, dare cifre complessive, senza un’adeguata disaggregazione per classe di concorso rende difficile valutare la possibilità reale di attivazione dei corsi. Ma, soprattutto, siamo sempre più convinti che occorra spezzare il binomio perverso che lega abilitazione all’insegnamento e reclutamento del personale docente.
Non torneremo qui a spiegare il concetto che sta dietro questa necessaria distinzione, né cosa si nasconde dietro l’affermazione che fornire un’abilitazione corrisponda a promuovere ulteriore precariato. Il ministro Gelmini sa benissimo che abilitare all’insegnamento oggi non implica alcuno sconto o via privilegiata per l’accesso ai ruoli della scuola. Le graduatorie ad esaurimento (GaE) sono ormai, appunto, “ad esaurimento”, e tali debbono restare. E sa pure che l’apertura del canale delle abilitazioni, proprio per questi motivi, non può più alimentare il precariato.
Questo lo sanno e lo vogliono tenere ben fermo anche i giovani, perché hanno ben presente che, qualora le GaE fossero riaperte a nuovi abilitati, questi ultimi finirebbero inevitabilmente in fondo agli elenchi, ad aspettare passivamente un passaggio in ruolo “automatico” che avverrebbe chissà quando. Essi resterebbero ad attendere supplenze, contendendosele con gli altri, a fare corsi su corsi per rosicchiare qualche punto, aspettando poi tre anni per poter aggiornare la propria posizione: una storia infinita. Qualunque riapertura delle GaE produrrebbe solo un’attesa frustrante e, soprattutto, un’umiliante resa alla gerontocrazia dominante (l’Italia, si sa, è un paese per vecchi…). I giovani che oggi desiderano andare ad insegnare, grazie al cielo, non sono “minus habentes” da tenere sotto tutela; e non sono più disposti ad accettare il meccanismo perverso della “fila dal panettiere” legato alle graduatorie. Vogliono insegnare e sono convinti di poter dimostrare di avere tutti i numeri per farlo bene (magari meglio di più “antichi” aspiranti).
Il ministro Gelmini che sul cambiamento della scuola ha giocato tutta la sua credibilità politica tutto questo lo sa, mentre sembra che la dirigenza del Miur abbia qualche difficoltà ad intendere e a recepire (o non vuole: nostalgia di anacronistici privilegi napoleonici?) la novità della distinzione tra abilitazione e reclutamento. Per l’apparato è troppo difficile accettare che l’abilitazione indichi sostanzialmente l’idoneità all’esercizio di un’attività professionale, mentre il reclutamento e solo esso significhi e produca l’effettiva assunzione nei ranghi del sistema nazionale di istruzione. Esso lega indissolubilmente (e strumentalmente) i due aspetti e non vuole intendere ragioni.
L’abilitazione è condizione necessaria per l’esercizio della professione, ma l’assunzione in modo stabile può avvenire solo a seguito di una specifica procedura concorsuale. Nel nostro sistema di istruzione oggi è acquisita questa certezza normativa: senza un percorso formativo specifico e senza l’abilitazione alla professione non è più possibile insegnare. L’abilitazione è, per norma, condizione imprescindibile sia per l’accesso ai ruoli delle scuole statali, sia per i contratti a tempo indeterminato nelle paritarie.
Ciò detto, la domanda non è se “abbiamo bisogno di creare nuovi abilitati”, perché la risposta è evidentemente affermativa: a fare scuola debbono andare gli abilitati all’insegnamento. Piuttosto c’è da chiedersi se è possibile o necessario fare nuovi inserimenti nelle GaE e quali sarebbero le conseguenze di questo. E la risposta, ovviamente, è assolutamente negativa. Proprio la riapertura delle graduatorie, infatti, alimenterebbe la “fabbrica delle illusioni”, il clientelismo politico-sindacale e, quindi, il precariato, negando nel contempo la libertà di insegnamento e di scelta educativa delle famiglie.
Nella tua lettera, cara Mariastella, dici che “una gran parte dei posti disponibili sarà data ai giovani”. Come pensi di poter mantenere questa promessa se non li fai abilitare? I futuri concorsi, che sicuramente stai già elaborando, anche nella migliore delle ipotesi potranno concludersi fra un paio d’anni, non domani; ma, soprattutto, saranno destinati esclusivamente ai già abilitati (e questi “risiedono” ora nelle GaE). La prima conseguenza del blocco delle abilitazioni sarà lo stop generazionale, accompagnato dalla vanificazione del nuovo regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti. Una procedura ancora tutta da scrivere (concorsi) contro una già disponibile (il TFA transitorio per l’abilitazione), che attende solo di essere attuata, assieme alle nuove lauree magistrali per l’insegnamento, e che rappresenta una concreta opportunità per avere titolo a partecipare ai futuri concorsi.
Allora, caro ministro, siccome siamo d’accordo con te quando dici che non vuoi “prendere in giro i ragazzi”, impegniamoci da subito e con chiarezza almeno su questi tre punti:
1. dare a tutti coloro che si sono laureati dopo il 2008 la concreta possibilità di abilitarsi all’insegnamento utilizzando la norma del TFA transitorio già a partire dal prossimo anno accademico. L’accesso al percorso abilitante sia, come previsto, subordinato ad una selezione d’ingresso che alzi l’asticella; i numeri si conterranno automaticamente ed eventualmente sarà la capacità di accoglienza delle università a determinare il limite agli accessi (numeri ragionevoli erano per esempio quelli delle vecchie SISS). Una selezione ed un percorso severi garantiranno insegnanti preparati, i quali, essendo state finalmente e definitivamente congelate le GaE, dovranno costruirsi da sé, in base al proprio potenziale, la personale storia professionale.
2. comunicare contestualmente, con nettezza e trasparenza, quali sono al momento, per ogni classe di concorso e regione, le reali disponibilità prevedibili per le assunzioni a tempo indeterminato nel sistema nazionale di istruzione, almeno di qui a tre anni. Il sistema informativo del ministero possiede tutti i dati e gli elementi per fare una tale previsione con sufficiente accuratezza. Si tratta di un’operazione-trasparenza che può risolvere le attuali ambiguità e i conseguenti possibili fraintendimenti, e nel contempo mettere un punto fermo sulle reali prospettive di impiego. I giovani non sono cretini e capiranno; i meno motivati non si sottoporranno nemmeno alla severa trafila per l’accesso al TFA e al conseguente anno di studio e tirocinio per ottenere un’abilitazione di scarsa spendibilità.
3. chiarire subito con quali nuove regole concorsuali intendi assumere gli abilitati (vecchi, nuovi e futuri) e far partire prima possibile il reclutamento statale per la relativa parte di disponibilità di legge (50% dei posti disponibili). I giovani insegnanti neoabilitati non rifiuteranno l’opportunità di entrare subito stabilmente nell’insegnamento e accetteranno di sottoporsi a prove basate su competenza e merito (pur avendo già sudato la propria abilitazione nel TFA).
Così al ministro Gelmini non andrà solo il giusto merito di aver avviato una delle riforme ordinamentali più attese, più apprezzate e necessarie (quella delle superiori), ma anche quello di aver finalmente introdotto un serio sistema di formazione e abilitazione all’insegnamento accanto ad un altrettanto serio e trasparente sistema di reclutamento alla professione docente. In caso contrario, bloccando le abilitazioni, sarà ricordato come il ministro che ha ucciso il futuro di ben più di tre generazioni di giovani insegnanti.
Un nota bene finale. È noto che la norma impone alle scuole paritarie – giustamente – di assumere personale abilitato, pena la revoca della parità. Molte di queste scuole, in questi dieci anni di vacanza concorsuale e dopo il blocco delle SSIS hanno assunto con contratti temporanei giovani neolaureati non abilitati. Per favore, non si parli di “abilitazione riservata” per questi insegnanti perché queste scuole non sono riserve indiane da proteggere, ma l’unica espressione nel panorama scolastico nazionale della libertà di scelta educativa delle famiglie. Facendo parte a tutti gli effetti del sistema nazionale di istruzione – oltre a contribuire non poco, con i loro costi ridotti, al contenimento della spesa pubblica statale – esse rappresentano al suo interno un riferimento educativo fondamentale. Purtroppo, però, sono anche il punto più facilmente attaccabile sotto il profilo ideologico. Bene, come sempre, Mariastella, continuiamo con il metodo che abbiamo sempre condiviso e che ha fatto apprezzare l’azione del nostro governo: chiarezza e trasparenza, non battaglie ideologiche.