È sempre stata considerata santa, Ildegarda di Bingen, ma ora lo è ufficialmente, proclamata nei giorni scorsi dal suo connazionale Papa Benedetto XVI, che si avvia ad inserirla nell’elenco dei “dottori della Chiesa”; togliendola dalle classifiche del pensiero New Age e di un ecologismo panteista, ai quale è stata spesso impropriamente accostata, per ricondurla definitivamente nell’alveo della tradizione cristiana nella quale è nata e cresciuta.
Ildegarda era una monaca benedettina tedesca, che ha saputo coniugare i vertici dell’esperienza religiosa con un’intelligente attenzione ai fermenti culturali della sua epoca e con un’appassionata partecipazione alle vicende sociali, ecclesiali e politiche che travagliavano il Sacro Romano Impero. Siamo in pieno XII secolo, un’epoca di grande dinamismo, di contrasti, di nuove idee. Eletta giovane badessa, la sua fama si diffonde rapidamente, giungendo anche alle orecchie del papa Eugenio III che legge personalmente i suoi scritti durante il sinodo di Treviri e, su consiglio di S. Bernardo, dà a Ildegarda il permesso di rendere noto ciò che lo Spirito le ispirava incoraggiandola a scrivere.
Della sua intensa e poliedrica attività di studiosa, ci restano così molte opere a carattere teologico, musicale, scientifico; opere, che per la fusione di testi, immagini e musiche potremmo classificare come “multimediali”. Ildegarda ha utilizzato in modo potente lo strumento delle immagini, attingendo e riformulando il grande patrimonio dell’immaginazione medievale, che non era semplice frutto di fantasia ma era carica di significati e di valori. Le sue visioni sono infatti delle straordinarie figurazioni intellettuali sviluppate sulla base dell’immaginario collettivo dell’epoca (poiché Dio le parlava dall’interno della sua cultura) nel quale erano attivi anche elementi naturalistici e astrologici ereditati dall’antichità precristiana.
C’è da notare che per Ildegarda le visioni non erano momenti di estasi e tanto meno di trance: per ammissione sua e dei testimoni, durante la visione ella non perdeva mai il controllo, manteneva sempre il contatto con la realtà ed era pienamente consapevole, pur nella sofferenze che accompagnavano quelle singolari esperienze. Possiamo quindi intendere le visioni come modo speciale di “vedere”, un modo particolare di entrare in rapporto con la realtà, un modo diretto, capace di andare nel profondo, di intuire il vero, di cogliere nessi e relazioni, di immaginare possibilità e perciò a volte anche di prevedere vicende future.
Per noi uomini del XXI secolo, è difficile maturare una consapevolezza della rete, articolata e profonda, di corrispondenze fra la nostra umanità, fisica e spirituale nello stesso tempo, e il cosmo. Non così per Ildegarda, per la quale il mistero percepito nella contemplazione della natura non è tanto quello del cosmo in sé, quanto quello del nostro mistero riflesso in quello del cosmo. Le sue visioni si inseriscono nel solco di quanti hanno ricercato il significato delle somiglianze tra le strutture dell’uomo e quelle del mondo. Se al primo si è guardato come a un universo completo ma miniaturizzato, un microcosmo, il secondo è stato visto come un Corpo Totale, un Tutto umanizzato.
Nei primi decenni del XII secolo il tema del macrocosmo ebbe grandissima diffusione: la scuola teologica di Chartres fu il luogo privilegiato dell’approfondimento di una dottrina fondata, con riferimento al Timeo di Platone, sul parallelismo tra macrocosmo e microcosmo. I monaci cistercensi la fecero propria e la arricchirono; presto la si trovò espressa e condivisa in tutti i centri di cultura, partecipata a tutte le mentalità. A livello iconografico, il modello più diffuso nel Medio Evo del rapporto fra microcosmo e macrocosmo era quello dell’uomo zodiacale, con la figura umana al centro di uno o più anelli su cui si trovavano raffigurati i segni dello zodiaco.
Con Ildegarda appare un motivo nuovo o per la prima volta elaborato con chiarezza: l’uomo “splendore di bellezza e di luce” è rappresentato come il nucleo centrale di un cosmo a cerchi concentrici, abbracciati da Dio uno e trino. L’immagine ha una struggente somiglianza con quella della Trinità della stessa Ildegarda, che porta al centro Cristo. Il Rinascimento avrebbe ripreso questa iconografia riducendola alle sole componenti geometrico – proporzionali (si pensi all’uomo a braccia aperte di Leonardo), affidando ad esse il valore di allusione cosmologica.
Questi riferimenti ci portano a parlare dell’opera scientifica di Ildegarda che, se accostata con occhio superficiale, può far sorridere il ricercatore moderno, abituato all’implacabile rigore dei formalismi matematici. Un’analisi più attenta e libera da preconcetti, sa invece rintracciare, tra le pieghe di un linguaggio immaginifico, suggerimenti e indicazioni che toccano il cuore delle questioni più dibattute nelle scienze fisiche, chimiche e biologiche.
Come ad esempio l’esigenza di superare una visione deterministica e chiusa della realtà per rivelarne aspetti imprevedibili e sottili. Una delle opere scientifiche di Ildegarda si intitola proprio “Il libro delle sottigliezze delle creature divine”, a indicare quella caratteristica singolare, lasubtilitas, che ogni serio osservatore non può evitare di scoprire se solo avvicina la natura con la disponibilità a vedere al di là di ciò che appare, a superare il senso comune. È interessante notare come otto secoli dopo, riflettendo sui paradossi emersi dalle conquiste della fisica moderna, Albert Einstein riecheggi la stessa espressione rispondendo a chi alludeva ad un cosmo divenuto ormai inconoscibile: “Sottile è il Signore, ma non maligno”.
Per riuscire a cogliere le sottigliezze della natura, l’impostazione galileiano-newtoniana, che estrae dalla natura i soli fattori quantitativi, si rivela insufficiente. Emerge oggi la necessità di ampliare il corredo metodologico delle scienze reintroducendo, ad esempio, strumenti di pensiero come l’analogia: individuare analogie di forma, di struttura, di funzioni, di organizzazione, di finalità, può aiutare a costruire modelli più adeguati per un’ampia gamma di nuovi fenomeni. L’intera opera di Ildegarda si basa sull’uso dell’analogia e del simbolo: attraverso tali strumenti ella tenta di comunicare non solo le idee ma anche l’esperienza, incomunicabile a parole.
Un altro dei concetti base di Ildegarda è la concezione unitaria del creato, che è ricca di implicazioni per la sua attività scientifica e medica. Non è possibile conoscere la struttura dell’uomo separatamente dalla struttura del cosmo: esse sono compenetrate e rette da una radicale analogia derivante dall’avere una causa comune, la Trinità. Tutti gli elementi del creato si riflettono nell’uomo e l’uomo si riflette negli elementi, potendo contribuire ad una maggiore o minore armonia dell’universo.
Questa stessa concezione ha sorretto l’attività di assistenza e cura di malati che Ildegarda ha svolto assiduamente: dispensando consigli e indicazioni pratiche, stilando ricette di farmaci e medicamenti, assistendo direttamente religiosi e laici infermi. Secondo il tipico approccio medievale, salute del corpo e salvezza dell’anima sono strettamente correlate; del resto l’una e l’altra sono indicate, in latino, dall’unica parola salus; così nelle sue opere, la medicina è concepita essenzialmente come una terapia che aiuta a vivere come piace a Dio. L’uomo può contribuire alla propria redenzione con una misurata condotta di vita; di conseguenza i medicinali sono sempre intesi come regole di vita e viceversa. Nella natura l’uomo trova i costituenti elementari del suo corpo; se interviene la malattia (che è mancanza di viriditas, concetto col quale Ildegarda indica l’energia inerente ad ogni cosa con la quale la potenza del Creatore sostiene il creato), nella natura egli troverà tutto ciò che può sostenerlo e ridargli le forze: “[Il Signore] su questo mondo ha circondato l’uomo di tutto e perfuso ogni cosa di grande forza, così che l’intero creato assista l’uomo in tutto”.
C’è una tensione che attraversa quasi in sordina il mondo contemporaneo: la si può definire bisogno di una visione unitaria (olistica) dell’uomo, della natura, di Dio. Essa affiora spesso deformata nelle correnti esoteriche, oppure concettualmente articolata negli ambiti di scienza come la biologia, la chimica e la fisica. Qualche volta un poeta, oppure un pittore, ce ne danno suggestive rappresentazione attraverso il dinamismo estetico con cui investono al contempo cielo, terra, uomini, cose. La tradizione cristiana nella sua storia, non solo ha conosciuto questa tensione ma ha saputo elaborarne, attraverso l’attività e la riflessione di alcune sue grandi personalità, uno sviluppo critico coerente. Ildegarda di Bingen è luminosa testimone della visione olistica della tradizione cristiana, visione che non è stata per lei soltanto fulminea intuizione, ma anche, e soprattutto, esercizio potente di uno sguardo e di un pensiero aperti alla totalità del reale.
Conoscere la storia, le visioni, la dottrina, il sapere di Ildegarda è introdursi in una concezione dell’esistenza integralmente positiva; è scoprire che, nella costellazione delle grandi personalità cristiane, brilla anche la figura di questa profetessa teutonica.