È bello guardare un bambino quando fa i compiti, l’impegno della mano nel ricopiare in bella i pensierini, l’aiuto che chiede per non sbagliare le maiuscole e gli accenti, l’impazienza di finire, il sollievo e la gioia di tornare a giocare. E dentro tutto questo risuonano i suggerimenti del papà e della mamma sull’ordine della pagina e sulla cura nel cancellare gli errori.
Fossimo noi grandi, che abbiamo già imparato a scrivere, così belli sotto gli occhi di Dio: attenti ai compiti che la vita ci assegna e certi che il Signore guarda con amore il nostro lavoro.
Gesù ha vissuto i trent’anni della sua vita nascosta, i tre anni della sua vita pubblica, i tre giorni della sua Pasqua facendo la volontà del Padre. Non una imposizione dura, ma il segreto di una relazione unica, eppure donata a tutti coloro che la vogliano accogliere. Il Vangelo coglie la sua gioia nell’aderire al disegno di Dio:
“Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli”.
“Ma che cosa significa «essere piccoli», semplici?” – spiega il Papa, commentando questo passo –. “Qual è «la piccolezza» che apre l’uomo all’intimità filiale con Dio e ad accogliere la sua volontà? Quale deve essere l’atteggiamento di fondo della nostra preghiera? Guardiamo al «Discorso della montagna», dove Gesù afferma: «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio» (Mt 5,8). È la purezza del cuore quella che permette di riconoscere il volto di Dio in Gesù Cristo; è avere il cuore semplice come quello dei bambini, senza la presunzione di chi si chiude in se stesso, pensando di non avere bisogno di nessuno, neppure di Dio”.
Tutto è stato donato all’uomo dal Signore, anche la sua tristezza. San Paolo usa le parole di Gesù nel buio nell’orto degli ulivi, quando nella luce ardente del Signore risorto scrive ai Romani:
“Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Allo stesso modo lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili”.