Con l’inizio dell’anno scolastico la riforma è al via. «Le famiglie troveranno percorsi didattici più in linea con le tendenze europee». I precari? «Un dramma, ma il nuovo Regolamento può voltare pagina». La vera autonomia? «Arriverà col federalismo». Lo dice al sussidiario Valentina Aprea, presidente della Commissione Cultura della Camera. Il progetto? «Confido sui tempi lunghi di fine legislatura e sulla possibilità di approvare una legge che modifichi governance e finanziamento delle scuole e anche la professionalità dei docenti, compresi un nuovo stato giuridico e una nuova valutazione dei docenti nelle scuole».
On. Aprea, l’anno scolastico comincia all’insegna della protesta dei precari. Una ricetta per risolvere questa piaga è ancora possibile?
Certamente, a patto che non si voglia risolvere il problema entro domani mattina. La risposta più efficace è arrivata venerdì con l’approvazione del regolamento sulla formazione iniziale degli insegnanti, che prevede prima la formazione universitaria, e poi scolastica con il tirocinio formativo attivo per un numero chiuso di laureati che vogliano specializzarsi all’insegnamento. Il percorso formativo e la programmazione degli accessi, codecisa dall’amministrazione scolastica con le direzioni regionali, dovrebbero da un lato garantire una qualificazione migliore e dall’altro anche ridurre il numero dei docenti abilitati.
E per quanto riguarda la situazione pregressa?
Non c’è da illudersi. I numeri sono molto alti: si può sbagliare per eccesso o per difetto di qualche migliaio di docenti, ma siamo intorno ai 270-290mila docenti abilitati. Ma al di là dei numeri, il dramma è che la formazione non è stata mai accompagnata da sistemi di valutazione legati al lavoro effettivo nelle scuole: è mancato un percorso legato alla qualità delle conoscenze e competenze reali. Ora si volta pagina.
Quando partirà il tirocinio formativo attivo?
Dovrebbe partire molto presto, mi auguro nel mese di gennaio 2011, un primo percorso di tirocinio per quei laureati che non hanno potuto frequentare le Ssis nei due anni in cui c’è stata la vacanza delle scuole di specializzazione. Colmato questo vuoto, si andrà avanti con il percorso ordinario previsto dopo i due anni di formazione universitaria.
Quest’anno , dopo la riforma – Indicazioni nazionali per i licei e Linee guida per gli istituti tecnici e professionali – partiranno classi prime completamente rivoluzionate negli orari e nella didattica. Che cosa deve attendersi una famiglia che manda i figli nella nuova scuola superiore?
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Percorsi didattici senz’altro più in linea con le tendenze europee più efficaci di formazione e di preparazione. La formazione pubblica italiana ha investito molto di più, rispetto al passato, sulla conoscenza delle lingue straniere, sulle nuove tecnologie, sulle scienze, e anche su una migliore e più approfondita competenza in italiano e in matematica.
E secondo lei la riforma porrà ai docenti problemi di attuazione?
Per loro sarà possibile anche formarsi o perlomeno riqualificare la propria preparazione attraverso il corso di studi e formazione previsto proprio dal ministero.
Le iscrizioni ai licei sono in aumento mentre quelle agli istituti tecnici e professionali, che la riforma del ministro Gelmini si proponeva di rilanciare, risultano in calo. Cos’è accaduto?
È un dato che conferma la volontà delle famiglie di investire su percorsi lunghi di formazione, contrariamente a quanto avveniva negli anni ’60-’70 quando c’era un investimento prevalente sul diploma. Però è anche vero che i nuovi istituti tecnici danno la possibilità di acquisire una formazione fortemente propedeutica anche rispetto alla prosecuzione degli studi scientifici. Occorrerà certamente sforzarsi per far conoscere di più e meglio questi nuovo percorsi.
Vuole «togliere» allievi ai licei?
Tutt’altro. Mi limito a rilevare un dato inoppugnabile: da un lato abbiamo bisogno di garantire alle nostre aziende tecnici e quadri qualificati, la richiesta dei quali continua ad aumentare. Dall’altro serve un investimento più che sulla formazione umanistica, su quella scientifica e tecnica.
Secondo lei non c’è il rischio di una eccessiva «licealizzazione» dell’istruzione tecnica?
No, perché la doppia opzione mette al riparo da questo rischio. Essa qualifica il tecnico secondo i nuovi requisiti scientifici e tecnologici, rivisti alla luce delle nuove tendenze e al tempo stesso garantisce la possibilità a chi sceglie i licei di arrivare molto più preparati sul piano tecnico-scientifico alle facoltà legate alle nuove tecnologie. Oggi abbiamo molto più bisogno di laureati in ingegneria, fisica, chimica che di laureati in scienze della comunicazione.
Stando ai dati Ocse di Education at a glance 2010 i problemi dell’Italia rimangono gli stessi: per dirne un paio, eccessiva permanenza in classe rispetto ai livelli di apprendimento, e spesa inferiore ma assorbita dalle retribuzioni di un numero abnorme di docenti. La riforma riesce a porre le basi di un affronto serio di questo problema?
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Pensi che quelli che l’Ocse indica come punti di debolezza del nostro sistema, nel nostro paese vengono da alcune parti ancora indicati come punti di forza. Ora con la riforma Gelmini – che fa tesoro delle indicazioni precedenti, dalla Moratti in avanti – abbiamo ottenuto sia un riequilibrio delle ore sia del numero degli insegnanti per corso e per indirizzo, perché un altro grave limite della scuola italiana è stato frammentare eccessivamente i diversi apprendimenti, con troppi insegnanti anche all’interno della stesa area.
Può spiegarsi?
Gli studenti devono potersi confrontare con un numero congruo di insegnanti, ma se ogni insegnante fa al massimo 2 ore, capisce che il team di docenti diventa troppo variegato. Questo pone problemi di concentrazione dell’alunno e aumenta le difficoltà nel rapporto tra studente e docente. In ogni caso, le criticità segnalate dall’Ocse le abbiamo tenute ben presenti riformando il sistema superiore. Soprattutto con la formazione dei nuovi insegnanti, che devono ora essere formati con competenze sì disciplinari ma essere anche capaci di coprire un’area di insegnamenti più vasta di quella attuale.
I dati Ocse dicono che il 92 percento dei fondi dell’istruzione vengono ancora dal pubblico. Nonostante l’alternarsi di governi di segno opposto, non c’è ancora una preponderanza dirimente dell’apparato ministeriale a scapito di una vera autonomia finanziaria?
È vero, il finanziamento è ancora soprattutto pubblico e su questo aspetto paghiamo una dazio fortissimo alla storia e all’impostazione centralistica della nostra istruzione. Resto dell’avviso che il vero salto di qualità che ha segnato l’evoluzione dell’autonomia a livello mondiale, e ancora manca alla nostra scuola, sarà finalmente possibile con il federalismo. Quando ci sarà un vero federalismo si potrà procedere ad un’organizzazione dell’istruzione più sussidiaria che statuale, più giocata a livello orizzontale che verticale. Mi auguro che a quel punto sia possibile prevedere la possibilità per le scuole di utilizzare finanziamenti anche privati. Occorre cominciare, come credo sia volontà dello stesso ministro Gelmini, a sperimentare sul serio le nuove forme di governance, con progetti di offerta formativa che siano molto più legati alla domanda che non all’offerta.
Una delle novità della riforma è proprio il rapporto con gli stakeholders che sono sul territorio. Come sta procedendo su questo fronte?
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Per ora rimane in un quadro di sperimentazione, perché il Consiglio di stato ha ritenuto la materia estranea alle deleghe concesse dal Parlamento. Il mio auspicio è senz’altro che molte scuole vogliano approfittare di questa opportunità e vogliano cominciare a giocarsi molto di più verso l’esterno. Ma confido sui tempi lunghi di fine legislatura e sulla possibilità di approvare una legge che modifichi governance e finanziamento delle scuole e anche la professionalità dei docenti, compresi un nuovo stato giuridico e una nuova valutazione dei docenti nelle scuole.
Stanti invece le possibilità attuali di utilizzare gli spazi di autonomia previsti dalla riforma, quali novità sono possibili?
Le flessibilità introdotte nei due bienni e nell’ultimo anno dalla riforma aprono percentuali di autonomia sicuramente più alte che in passato. Si tratta ora di approfondire questi schemi di utilizzo.
E per quanto riguarda la situazione degli organi collegiali?
Per quanto riguarda gli organi di governo, so che il ministro ha la volontà di avviare immediatamente nuove forme di sperimentazione, e credo che insieme a lei mi farò promotrice di una loro presentazione quanto prima. Mi auguro poi di poter portare in Parlamento nel 2011 la legge già presentata, discussa e istruita in commissione sulla nuova governance.
Qual è il suo augurio per questo inizio di anno scolastico?
Che la scuola riesca di più a personalizzare i percorsi e a favorire l’innovazione, in modo da essere sempre di più una scuola per ciascuno e non solo per tutti.